𝑳𝒐 𝑺𝒕𝒂𝒕𝒐 𝒆 𝒍’𝒊𝒏𝒅𝒊𝒇𝒇𝒆𝒓𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒗𝒆𝒓𝒔𝒐 𝒍𝒂 𝒔𝒄𝒖𝒐𝒍𝒂: 𝒖𝒏𝒂 𝒅𝒊𝒂𝒈𝒏𝒐𝒔𝒊 𝒅𝒊 𝑮𝒂𝒆𝒕𝒂𝒏𝒐 𝑺𝒂𝒍𝒗𝒆𝒎𝒊𝒏𝒊 Gaetano Salvemini, storico e politico italiano, offre una visione critica della scuola pubblica italiana intorno all’anno 1900. Il suo quadro è tanto dettagliato quanto provocatorio. Salvemini afferma che allo Stato non importa niente della scuola perché essa rappresenta un pericolo: è un’istituzione che rischia di far pensare le persone, e uno Stato che mira a mantenere il controllo non può permetterselo. Salvemini e il suo contesto Gaetano Salvemini è noto per il suo spirito rivoluzionario e la sua acuta capacità di analisi. Attraverso le sue opere, ricordi e articoli dell’epoca, Salvemini ci offre un panorama molto approfondito e impressionante delle dinamiche sociali e politiche del suo tempo. Secondo lui, lo Stato preferiva sostenere altre colonne della società: il prete, il magistrato, il militare, l’uomo che inganna, l’uomo che condanna, l’uomo che uccide. La scuola come fonte di pensiero critico La scuola, nella visione di Salvemini, non era prioritaria per lo Stato perché un popolo che pensa è difficile da controllare. Prendiamo ad esempio l’Italia di fine Ottocento e inizio Novecento: l’alfabetizzazione era ancora limitata e le scuole erano poche e male equipaggiate. La riforma Gentile del 1923, voluta da Mussolini, ha cercato di creare un sistema educativo elitario che di fatto escludeva le classi popolari dall’accedere a istruzione di qualità. Questo tipo di riforme illustra perfettamente quanto l’istruzione fosse vista come un privilegio per pochi e non un diritto per tutti. Un esempio concreto della scarsa attenzione dello Stato verso l’istruzione lo possiamo vedere nella scarsità di fondi destinati alle scuole pubbliche rispetto ad altre istituzioni come l’esercito. Anche oggi, il divario tra spesa militare e spesa per l’istruzione nei bilanci statali è spesso motivo di controversie. Le vere colonne della società Salvemini sostiene che le vere colonne della società sono figure che perpetuano lo status quo: il prete, il magistrato, il militare. Questi personaggi sono utili allo Stato perché mantengono l’ordine attraverso l’inganno, la condanna e la violenza, rispettivamente. La scuola, se funzionante e accessibile a tutti, potrebbe invece promuovere il pensiero critico e quindi destabilizzare queste colonne. 𝐂𝐨n𝐭𝐢n𝐮𝐚 : 👇👇👇 https://lnkd.in/dpAZm5_2 #scuola #gaetanosalvemini #umanesimodigitale #competenzetrasversali #intelligenzaartificiale #apprendimentocontinuo #lifelonglearning #machinelearning #deeplearning #competenzedigitali #intelligenzacollettiva #infosfera #francobagaglia #consapevolezza
Post di Franco Bagaglia
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Basta alla "scola della Baucàra"! Troppo facile accusare di “passatismo” le proposte per la scuola del Ministro Valditara. Dopo il fallimento della scuola della “tre I” (inglese, informatica, impresa), e di quella di ispirazione sessantottesca dell’”inclusione”, a fronte di una scuola che il Censis cha definito senza giri di parole “La fabbrica degli ignoranti”, bisognerà pur prendere atto che il modello “Lucignolo” non funziona, e pensare a qualche correttivo. Nel mio editoriale di oggi ragiono un po’ su queste tematiche. https://lnkd.in/d5MtQnq3
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Oggi parleremo di studenti, di scuola, di cambiamenti con il professor Alberto Introini che osserva da anni ciò che accade nel suo ambiente lavorativo e condivide le sue impressioni e opinioni con il pubblico che lo segue leggendo i suoi articoli, saggi, raccolte e libri VareseNews
I giovani d'oggi ... a scuola
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Un pensiero sulla scuola della costituzione, partendo dalle parole che oggi definiscono la scuola. La rivoluzione parte dalle parole.
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#vecchipensieri una #riflessione vecchia, ma -ahimè- attuale. C'è una correlazione forte tra la qualità della scuola e quella della #politica. Una #scuola di qualità è generatrice di una politica di #qualità. Il mio punto di vista lo trovate in questo vecchio articolo del 2019 Buona lettura ⬇️⬇️⬇️ https://lnkd.in/dr6NWcFw
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Il Censis nel suo 58° rapporto ha evidenziato solo la punta dell'iceberg di un problema enorme, conosciuto da tempo e sempre ignorato. Bisogna creare una grande consapevolezza perché se ne parli e si attivi quella rivoluzione culturale che tiri fuori dalla comfort zone tutti gli attori in gioco. Qui non servono le riforme, serve un piano emergenziale.
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#PiergiorgioOdifreddi: "Licei e istituti tecnici? Un retaggio #fascista che divide ricchi e poveri. In #America si sceglie in #Italia si subisce un sistema. Nel nostro sistema scolastico scegliamo il nostro destino a 13-14 anni: liceo classico o scientifico? Istituto tecnico o professionale? Un modello che per noi sembra naturale, ma che altrove—come negli #StatiUniti—semplicemente non esiste. Negli Stati Uniti, il sistema scolastico superiore è molto diverso da quello italiano. Non esistono #liceiclassici, #scientifici o #istitutitecnici separati: tutti frequentano la #highschool, che dura 4 anni (dai 14 ai 18 anni) e offre un #curriculum flessibile e personalizzabile". Quindi, secondo Piergiorgio Odifreddi, questa divisione nasce dalla #riformaGentile del 1923, voluta dal #fascismo per separare i figli dell'élite da quelli delle classi popolari. #Mussolini stesso la definì "la più fascista delle riforme". Ma ha ancora senso oggi? Dovremmo riformare la scuola italiana per renderla più flessibile, oppure questo sistema ha ancora valore?
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Secondo una tesi classica, una popolazione largamente istruita sarebbe più consapevole dei determinanti tecnici e culturali che influenzano la propria esistenza e riuscirebbe così a operare scelte migliori per sé e per la collettività. La complementarietà di democrazia e istruzione è iscritta nelle civiltà costituzionali: affinché il popolo eserciti una sovranità effettiva occorre che possegga gli strumenti necessari per acquisire e interpretare le informazioni che riguardano il governo dello Stato. Ciò varrebbe anche quando la sovranità gli è negata, perché le nozioni e il metodo appresi negli anni scolastici lo proteggerebbero dalle mistificazioni del potere. L'istruzione dovrebbe dunque essere imposta a tutti per il bene di tutti, indipendentemente dai suoi vantaggi materiali diretti. Per quanto splendidi a parole, anche questi argomenti scricchiolano nei fatti. Si potrebbe obiettare che 1) a differenza di quella elitaria del passato, l'odierna istruzione superiore di massa fornisce prevalentemente contenuti tecnici mentre quella di base, inclusi i licei, offre una propedeutica blanda e dispersiva. La scuola moderna non produce dotti né tantomeno saggi, né potrebbe mai farlo dovendosi serialmente rivolgere a moltitudini eterogenee, sicché gli istruiti dei tempi nostri imparano poco di tutto nelle scuole preparatorie e tutto di poco nelle università. I più istruiti sono tecnici di alto livello, conoscono il come ma non il cosa, ed è perciò del tutto fuorviante il paragone con la vastità, la profondità e la completezza degli antichi cursus studiorum e la consapevolezza di sé e del mondo che vi si acquisiva. In quanto alla democrazia, 2) la diffusione dell'istruzione a tutti i livelli è stata perseguita con successo anche da Paesi non democratici come la Cina, le monarchie del Golfo, l'Unione Sovietica e le nazioni a est della cortina di ferro, senza che ciò ne abbia intaccato i regimi, mentre 3) nel mondo «libero» proprio la stagione dell'alfabetizzazione universale e della democratizzazione dell'accademia ha visto vette di propaganda, di menzogna pubblica e di impoverimento dialettico mai sperimentate prima. Gli imparati dell'Occidente hanno creduto senza batter ciglio alle provette irachene, alle fosse di Tripoli, alle ciarle scientistiche, ai predicozzi dei ragionieri e insomma a ogni favola scodellatagli dai giornali. Né si può proprio dire che la maggiore istruzione abbia vivacizzato lo scambio culturale e moltiplicato gli apporti al sapere. «Negazionista» e «revisionista» sono solo alcuni degli epiteti con cui si tappa la bocca di chi osa applicare l’osannato «metodo critico» alle nozioni gradite ai potenti.
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MOMENTO DI FORMAZIONE PER I DOCENTI DELLE SCUOLE ORSOLINE Si è tenuta ieri, in quel di Saronno, presso l’Istituto San Giuseppe, la giornata di inizio anno che ha coinvolto tutti i docenti delle tre scuole orsoline lombarde. Alla presenza di Mauro Magatti, ordinario di Sociologia generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, circa 200 insegnanti hanno discusso delle sfide educative del nostro tempo. Magatti ha portato la sua visione a 360 gradi su economia e società attuale e, con verve oratoria che non ha risparmiato nessuno, ha messo il dito nelle piaghe del nostro tempo. La sua ricerca scientifica mira da tempo a trovare il nesso stabile tra l’individuo e i sistemi economici che governano il mondo. Ci ha pertanto parlato della individualizzazione della nostra società, e della conseguente perdita di senso, che in più ambiti constatiamo, della relazione interpersonale. Che, invece, è la nostra unica dimensione esistenziale: viviamo in relazione con un passato di cui siamo figli, e con il futuro che costruiamo. Naturalmente, nasciamo “dipendenti” da qualcuno: dai genitori, da chi si prende cura di noi; e crescendo aspiriamo all’ “indipendenza”, pur facendo fatica, a volte, a definire cosa intendiamo per indipendenza… Per la verità siamo anche “interdipendenti”, abbiamo bisogno degli altri per esprimere la nostra libertà, e quindi siamo effettivamente, come diceva Panikkar, “interindipendenti”. Quasi un ossimoro. Non è possibile pensare che la relazione con l’altro sia limitazione della libertà, quando, anzi, è ciò che la rende possibile. Diventa quindi importante, addirittura urgente, per la nostra società contemporanea, ritrovare il senso grande della relazione: la libertà di cui lo straordinario sviluppo della società attuale ci rende protagonisti, deve necessariamente essere in grado di “generare” anche la libertà dell’altro, di chi è come noi pur essendo diverso da noi. Magatti conclude con un cenno alle tecnologie digitali e al loro enorme sviluppo, nato dalla grande utopia cibernetica, e con una domanda epistemologica rivolta a tutti i docenti presenti: “Che cosa dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi, al di là e oltre il dettato ministeriale?”. Esplicitato anche l’auspicio di un ritorno al Pensiero, inteso come Intelletto e Spirito, in un passo dell’intervento del professor Magatti che ha davvero “scaldato il cuore” a tutti i docenti presenti. In generale, i concetti espressi da Mauro Magatti sono apparsi molto vicini alla sensibilità dei docenti orsolini: il carisma mericiano ci porta a pensare alla scuola come a un luogo di relazione piena di senso, una relazione che è cammino di crescita personale ma che si estrinseca nel nostro vivere insieme agli altri, in società. Questi concetti sono emersi più volte nel lavoro a gruppi che ha occupato il pomeriggio e concluso questo bel momento di formazione e aggiornamento.
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Una breve riflessione in occasione della Giornata Mondiale degli Insegnanti Durante la mia carriera di insegnante sono stato segnato da esperienze negative ed amare, da cocenti delusioni di lavoro e di vita. Eppure, nonostante ciò, sono rimasto un ingenuo ed incorreggibile idealista. Il mio ideale di scuola è un luogo utopico, un sogno irrealizzabile nell'attuale assetto economico di stampo capitalistico. Un luogo di confronto e di scambio pluralistico ed orizzontale, senza voti e note disciplinari, senza la muffa burocratica e le gerarchie istituzionali, senza presidi-sceriffi, né gendarmi. Un contesto in cui discenti e docenti possano agire insieme, in un clima di autonomia e di creatività spirituale, in un rapporto dialettico incentrato sulla libertà di pensiero critico. Dunque, è una scuola distante ed antitetica all'emulazione goffa e maldestra di quei modelli aziendali, oramai anacronistici e decotti. È un ambiente di crescita e di formazione integrale dell'essere umano, in cui siano valorizzati i talenti e le potenzialità di ogni soggetto. Una comunità autentica, che promuova la partecipazione di tutti a forme di autogestione collettiva e diretta. Ogni "comunità scolastica" (si noti che non adopero il termine "istituzione", un lessico "burocratese" e borghese) esprime in sé le proprie peculiarità e le proprie caratteristiche in quanto comunità sociale ed educativa, per cui ha bisogno di valorizzarsi nella propria identità più singolare ed originale. A tale scopo occorre che alla guida di ogni scuola non siano preposti degli ottusi burocrati, sovente ignoranti ed arroganti in virtù di un misero potere perlopiù coercitivo ed inquisitorio calato ed imposto dall’alto, bensì figure che siano elette democraticamente dal basso, ovvero partorite direttamente dal corpo vivo della comunità di base. Penso a figure di presidi elettivi, designati dalla base ed in carica a rotazione, con scadenza temporale. Insomma, è una scuola di autentica democrazia diretta e partecipativa. È una scuola che riconosca la dignità professionale ed umana dei docenti e la libertà di insegnamento, in quanto prerogativa peculiare ed essenziale. Dignità mortificata da fin troppo tempo, a causa di una sequenza rivoltante di "riforme" (temo sia più appropriato apostrofarle come "schiforme"), ossia provvedimenti liberticidi e regressivi varati da una lunga scia di governi, sia di centro-destra, sia di centro-sinistra, che si sono avvicendati in Italia negli ultimi trent'anni ed oltre, senza soluzione di continuità temporale...
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L’indottrinamento politicamente corretto trasforma i nostri atenei in autentici campi di battaglia e gli studenti in inconsapevoli miliziani al soldo del Pensiero unico. La mia analisi sul sito di Nicola Porro 👇
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