Oggi ricorre la Festa della mamma e per questo voglio rilanciare la mia intervista a Orna Donath sul suo saggio-ricerca "Pentirsi di essere madri", uscita sul numero 0 di Prismag. La Festa della mamma e la narrazione di tutti i giorni celebrano la maternità come una benedizione, un dono, qualcosa di cui essere profondamente grate. Eppure la maternità può portare con sé sentimenti complessi, contrastanti, di cui non si può ancora parlare. Con la sua ricerca Orna Donath ha affrontato un tabù, raccontando la storia di ventitré donne pentite di essere diventate madre. Dall'intervista: Come possono le giovani donne liberarsi dalla narrazione eteronormativa della maternità? «Conosci te stessa e rifiuta di interiorizzare l’imperativo sociale secondo il quale solo perché sei etichettata come donna vorrai naturalmente essere madre – sono due cose che, suppongo, potrebbero aiutare le giovani donne a trovare sé stesse in questo labirinto crudele. Riconoscere che ci sono donne non a proprio agio con la maternità e che provano rimpianto significa concedere loro la libertà di essere proprietarie dei loro corpi, pensieri, ricordi, emozioni, abilità, disabilità, desideri e bisogni. Questi suggerimenti sono presumibilmente pericolosi per una società che dipende dalla collaborazione delle donne per rispettare il proprio ruolo senza metterlo in discussione e senza cercare di capire cosa sia giusto per loro – in base alle loro personalità e abilità. Proprio per questo credo che il “pericoloso” atto di parlarne possa essere cruciale per ridurre la sofferenza in un numero sconosciuto di vite femminili, poiché sempre più donne saranno in grado di decidere autonomamente se diventare madri o no». Potete leggere l’intervista qui: https://lnkd.in/e8q9fgyc
Post di Jenny Scheiding Stefana
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Nessuna donna dovrebbe affrontare contemporaneamente la perdita di un bambino e la sberla di un’azienda che non mantiene le promesse. Con la storia di gender gap di oggi raccontiamo la situazione di molte. Se desiderate raccontare la vostra storia potete scrivere a donnelavoro@repubblica.it
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Ci sono cose che non possono aspettare. Cose che non possono aspettare nemmeno il mio rientro dalla maternità (appena iniziata, btw). Una di queste è mostrare 𝗮𝗹𝗹𝗲𝗮𝗻𝘇𝗮, la pratica di chi sostiene i 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 e supporta le 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗲 di gruppi marginalizzati di cui però non fa parte. Il numero di 𝙄𝒏𝙘𝒍𝙪𝒔𝙞𝒐𝙉𝒆𝙬𝒔 di questo mese, ma soprattutto il mandato di scrivere la sua intro, hanno stimolato in me molte domande, approfondimenti, vecchie e nuove letture, e verifiche sul campo con chi viene razializzato tutti i giorni nella (e dalla) nostra società. ❓Davvero sappiamo cosa significhi razzismo oggi nel 2024? ❓Noi che abbiamo il 𝘸ℎ𝘪𝑡𝘦 𝘴𝑘𝘪𝑛 𝑝𝘳𝑖𝘷𝑖𝘭𝑒𝘨𝑒 sappiamo riconoscere un atto di razzismo sistemico? Probabilmente no. Iniziare ad avere delle rappresentazioni mentali reali su cosa siano razzismo e antirazzismo oggi è fondamentale 𝒑𝒆𝒓 𝒓𝒊𝒄𝒐𝒓𝒅𝒂𝒓𝒄𝒊 che ci sono lotte che probabilmente 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗹𝗼𝗻𝘁𝗮𝗻𝗲 𝗱𝗮 𝗻𝗼𝗶, che però hanno lo stesso valore etico e 𝗰𝗵𝗲 𝗵𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗯𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗼 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗶𝗺𝗽𝗲𝗴𝗻𝗼 𝗰𝗶𝘃𝗶𝗹𝗲 𝗲 𝗱𝗶 𝗴𝗶𝘂𝘀𝘁𝗶𝘇𝗶𝗮 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹𝗲 delle lotte che sentiamo invece più vicine. Grazie alla super speciale Shata Diallo per generare tutti i giorni - e condividere con noi - stimoli, domande e pensieri su questi temi. Tanti di questi sono nella nostra 𝙄𝒏𝙘𝒍𝙪𝒔𝙞𝒐𝙉𝒆𝙬𝒔 di maggio. Buona lettura! Per ricevere InclusioNews: https://inclusion.mida.biz #inclusionmanagement
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Pezzo mio sul libro di Manuela e Monica, colleghe coraggiose e intense. Leggete!
"Diventare madre in Italia è una libera scelta? E soprattutto, come mai è oggi un argomento così divisivo? Da un lato idealizzato, dall'altro vituperato, l'argomento della maternità ha trasceso da tempo l’aspetto socio-biologico per diventare campo di battaglia squisitamente politico. Al centro di questa disputa, la realtà di quasi 10 milioni e mezzo di donne che nel Paese vivono con almeno un figlio: funambole in sofferenza, come ci raccontano i dati, lasciate sempre più sole, penalizzate in ambito lavorativo, prive di un’adeguata rete di servizi, schiacciate tra lavoro domestico, cura di genitori anziani, educazione dei figli, impieghi spesso precari, mal pagati e part-time". Eppure, a fronte di tutto questo, fortunatamente resiste "l'energia delle donne, la loro capacità unica di fare rete, di solidarizzare, di specchiarsi a vicenda e creare legami sociali potenti". Cerchiamo di non sprecarla oltre. Grazie a Eleonora de Nardis Giansante e alla straordinaria rete di GiULiA giornaliste per la attenta e profonda lettura di "Mamme d'Italia. Chi sono, come stanno, cosa vogliono", scritto da Monica D'Ascenzo e da me, edito da Il Sole 24 Ore, con la prefazione di Alessandro Rosina.
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Il tema della genitorialità è strettamente legato allo #STEM e al divario di genere poiché ha un impatto diretto sulle opportunità e sulle scelte di carriera, specialmente per le donne. Le responsabilità familiari, comprese quelle legate alla genitorialità, influenzano notevolmente la partecipazione femminile nelle discipline STEM. Le aspettative sociali e culturali spesso pongono sulle #donne un maggior peso in termini di responsabilità familiari, limitando così il tempo e le risorse per una carriera in ambiti come la scienza e l'ingegneria. Affrontare le sfide della genitorialità in modo equo e inclusivo può contribuire a ridurre il divario di genere nel settore STEM, promuovendo politiche e iniziative che sostengano genitori e madri nel bilanciare le responsabilità familiari con le aspirazioni professionali. Il seminario "Crescere Insieme - Percorsi di Promozione alla Salute: Donna, Coppia, Famiglia, Comunità", organizzato presso lo stabilimento AvioAero di Pomigliano D’Arco, si inserisce in questo contesto. Gli ambienti di lavoro che promuovono la salute sono cruciali per sostenere le donne e le famiglie durante la gravidanza e oltre. Il lavoro nei Centri di Assistenza alla Nascita e nei percorsi di genitorialità consapevole offrono sostegno, informazioni e connessione emotiva durante questa fase critica della vita. È fondamentale l'empowerment delle donne durante la gravidanza e nel periodo post-parto, così come il coinvolgimento attivo dei padri. Creare una cultura dell'allattamento inclusiva e fornire sostegno emotivo e pratico in ogni fase sono obiettivi condivisi. L'obiettivo è creare un futuro più sano e inclusivo per tutti. #WeAreAvioAero #SaluteLavoro #GenitorialitàConsapevole #mammalavoratrice #maternità #worklifebalance, #famigliaelavoro.
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La maternità sembra essere diventata un campo di battaglia, terreno di scontro tra visioni sempre più inconciliabili. Di qua chi ne magnifica le virtù, idealizzandola. Di là chi ne denuncia i lati oscuri e penalizzanti, rivendicando con orgoglio la scelta di rifiutarla. In mezzo ci sono le madri reali: 10,4 milioni di donne che in Italia vivono con almeno un figlio. Acrobate del quotidiano, che tutte le indagini statistiche ci rivelano in sofferenza: sempre più sole, penalizzate sul lavoro, senza un’adeguata rete di servizi che le sostenga, costrette spesso a sobbarcarsi la cura dei bambini, dei genitori anziani e della casa. Una miniera di saperi e di energie che scompare dietro le quinte, nel fumo delle dispute ideologiche. Alzare il sipario sulle mamme d’Italia appare, invece, doveroso. Anche per sgombrare il campo da un equivoco che giorno dopo giorno diventa più opprimente: quello secondo cui la questione della denatalità sia un affare delle donne, una piaga che discende dal rifiuto egoistico delle giovani di diventare madri. Una visione miope, perché – come non si stanca di ripetere il demografo Alessandro Rosina – omette il ruolo dei padri, mentre la questione del perché ci sono poche nascite andrebbe posta allo stesso modo a donne e uomini. Così avere figli è una scelta ponderata e non scontata, che investe direttamente la capacità del Paese di garantire prospettive di benessere e di opportunità. Spostare lo sguardo dalle decisioni individuali alla cultura collettiva dentro la quale quelle decisioni maturano è, dunque, un’operazione ineludibile. Ne abbiamo scritto Manuela Perrone ed io in Mamme d'Italia, con la prefazione fondamentale di Alessandro Rosina, edizione Il Sole 24 Ore Grazie a Elisa Macellari per la magnifica copertina #mammeditalia già in edicola e dal 10 maggio in libreria
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L'istinto materno non esiste, lo dice la scienza! Una nuova e necessaria riflessione sulla maternità. L'istinto materno è stato troppo spesso considerato un alibi, per uomini e donne, utile ad associare "felicemente" e inevitabilmente le donne al ruolo di mamma. Sono d'accordo con Silvia De Bernardin: la genitorialità si può desiderare, sicuramente, ma poi si deve imparare, giorno dopo giorno, come pratica responsabile - e condivisa (meglio se con un intero villaggio) - che si inserisce all'interno di vite complesse e multiformi. Tenere insieme tutto (ognuno secondo la propria legittima scala di valori) diventa competenza che, in molti casi, può generare beneficio anche sul lavoro, soprattutto in un contesto in cui il lavoro è comunque relazionale, e quindi di cura, e vita privata e vita professionale non sono facilmente separabili. #maternitá #genitorialitá #competenze #complessitá #cura #relazioni
L'istinto materno non esiste: anche la scienza, ormai, sostiene che la genitorialità - di madri e padri - è qualcosa che si impara in corso d'opera, attraverso pratica ed esperienza, fatte anche di tentativi, inciampi, errori e ripartenze. A ben vedere, è una bellissima notizia, che ci libera tutte e tutti da sentimenti di inadeguatezza, che legittima forme diverse di genitorialità al di là di stereotipi e vecchie narrazioni, che valorizza il "villaggio" come strumento per una genitorialità diffusa e più sostenibile. Che ci ricorda che abbiamo un'occasione preziosa per metterci in discussione e aprirci a nuove versioni di noi stessi. Il tema ha ripercussioni anche nel mondo del lavoro perché ruoli genitoriali finalmente sganciati da ripartizioni nette tra lavoro di cura e lavoro "fuori casa" significano anche nuovi posizionamenti e opportunità professionali per tutte e tutti, a favore di una società più equa e inclusiva. Ne parlo nel nuovo numero di questa settimana di "Ci vuole un villaggio" seguendo un filo rosso fatto di riflessioni, libri e progetti. Si legge qui: https://lnkd.in/d5DNWnvN
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Ieri, in occasione della Festa della Mamma, abbiamo riflettuto sulla sfida che molte donne affrontano nel conciliare la maternità con la carriera lavorativa. Secondo uno studio recente riportato su La Gazzetta del Mezzogiorno, ben il 20% delle donne lascia il lavoro al momento della nascita del primo figlio, evidenziando le difficoltà che molte donne incontrano nel gestire entrambi gli aspetti della loro vita. Le statistiche mostrano che il 20% delle donne abbandona il lavoro dopo il primo figlio, spesso a causa di difficoltà nel trovare un equilibrio tra le esigenze familiari e quelle professionali. Questo fenomeno può essere attribuito a una serie di fattori, tra cui la mancanza di politiche di welfare aziendale adeguate, la carenza di servizi di assistenza all'infanzia accessibili e la persistente disparità di genere nei luoghi di lavoro. Inoltre, il 46% delle donne italiane intervistate ritiene che la maternità abbia influenzato negativamente la propria carriera lavorativa. Di queste, il 18% ha dichiarato di aver subito un calo del proprio stipendio dopo la maternità. L'impatto economico di lasciare il lavoro dopo la nascita di un figlio può essere significativo, con conseguenze a lungo termine sulle opportunità di carriera e sul benessere finanziario delle donne. È importante che le aziende e le istituzioni adottino misure concrete per sostenere le donne che desiderano continuare la propria carriera dopo la maternità, offrendo politiche di licenza parentale retribuite, flessibilità nell'orario di lavoro e opportunità di sviluppo professionale. Inoltre, è fondamentale promuovere una cultura aziendale che valorizzi il ruolo delle donne nel mondo del lavoro e che riconosca il valore aggiunto che possono portare con la loro esperienza e competenza. Solo attraverso un impegno concreto e un cambiamento culturale possiamo sperare di creare un ambiente di lavoro più inclusivo e sostenibile per tutte le mamme lavoratrici. In occasione della Festa della Mamma, rendiamo omaggio a tutte le donne che, nonostante le sfide, continuano a dedicarsi con impegno sia alla loro famiglia che alla loro carriera. È importante riconoscere il loro valore e sostenere la loro lotta per una maggiore equità e uguaglianza nel mondo del lavoro.
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Il 2023 ha registrato un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Le donne italiane scelgono di non diventare #mamme o comunque di avere meno figli di quanti ne vorrebbero. Tra le varie motivazioni emerge fortemente la difficolta di conciliare impegni familiari e lavorativi, specie nelle donne di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%)*. La nostra mission come azienda è prenderci cura della #salute delle #donne in ogni fase della loro vita. Crediamo, infatti, che il lavoro debba essere un alleato e non un ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi di vita. Per contrastare questa tendenza e il divario di genere, in Organon promuoviamo una cultura aziendale che tutela la genitorialità, l’equità e la parità salariale. Attraverso politiche concrete, ci impegniamo affinché le mamme – e i papà - possano conciliare il loro desiderio di genitorialità con la volontà di realizzarsi professionalmente Per far sì che diventare mamma torni ad essere un arricchimento, non una privazione. *FONTE: 9° edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” prodotto da @Save the Children.
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Le donne affrontano la maternità come delle equilibriste. In bilico tra vita professionale e personale, strette tra un mercato del lavoro che spesso le penalizza e un sistema di cura che le vede come protagoniste senza possibilità di scelta. Una mamma su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio. Il 30% delle donne in Italia si occupa dei figli per 10 ore al giorno tutto i giorni, contro un 6% degli uomini. Un equilibrio che diventa ancora più precario, quando le mamme provengono da situazioni di svantaggio socio-economico. Allora camminano su un filo con la paura di cadere nel vuoto, senza una rete di protezione. Ne parliamo nel rapporto ‘Le equilibriste’ di Save the Children Italia Servono politiche per la famiglia stabilì e di lungo periodo e un cambiamento culturale che vada verso la vera parità di genere e la comprensione delle aspirazioni e delle aspettative dei neo genitori. Perché il fertility gap (la differenza tra l’aspirazione di diventare un genitore e poi la sua realizzazione) non sia più un ostacolo alla genitorialita’. Ne abbiamo discusso oggi con Azzurra Rinaldi #susannacammusso #elenaleonardi Barbara Leda Kenny #stefanociccone Alessandra Minello Antonella Inverno
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Dal 1976 al 2016 sono morte 68 donne lesbiche e bisessuali in serie TV americane: si tratta del 35% dei casi su 193 personaggi (fonte: Autostraddle). “Ma perché, le persone etero non muoiono nelle serie TV? 🤔” Sì, certo. La verità però è che, sebbene anche i personaggi etero possano morire nelle serie TV e siano di fatto un numero più grande, le persone queer e in particolare le donne sono in proporzione molto più spesso soggette a finali tragici e violenti. Tra il 2015 e il 2016, ad esempio, le donne queer in serie TV sono state “uccise” cinque volte tanto rispetto a qualsiasi altro personaggio (fonte: Vox). Se stai pensando “Ma è solo fiction, è solo una storia”, forse non stai tenendo in considerazione il peso che una rappresentazione negativa può avere sulla salute mentale delle persone. Soprattutto quando i riferimenti sono così pochi, in particolare anni fa, il topos del “personaggio lesbico che muore” ha lasciato un segno amaro in un’intera generazione cresciuta senza Netflix. Questo fenomeno, infatti, non è passato inosservato alla comunità queer che gli ha addirittura dato un nome. In inglese si chiama “Dead lesbian syndrome”, in Italia se ne sente parlare come della “Sindrome della poiana”. Il nome viene dal film del 2001 “Lost and delirious” (o “L’altra metà dell’amore”, in cui - spoiler - una delle due protagoniste si toglie la vita, gettandosi dal tetto insieme a un rapace). Le cose stanno cambiando, e noi tiriamo un sospiro di sollievo. Una giornata come quella della visibilità lesbica, però, ci porta a riflettere su come non basti rappresentare e dare spazio. È anche il “come” a contare: venire espostə a narrazioni positive è essenziale a costruire la propria identità in modo più sereno, a sentirsi bene con se stessə ed allontanare lo stigma. Conoscevi la “Sindrome della poiana”?
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Artista di progettazione grafica presso blossom-art
10 mesiMi viene da dire che per una scrittrice puó essere ancora piú difficile immedesimarsi in un ruolo per via del fatto che I suoi personaggi di cui deve interpretare emozioni e sentimenti possono essere di entrambi e sessi. Quindi é bello accattarsi ma se lo chiedi a una scrittrice il discorso é piú complesso. Grazie Jenny!