L’edizione di Forzalavoro di questa settimana: Perché sindacati e partiti continuano a litigare tra loro sui salari. E il risultato è che non abbiamo né il salario minimo, né una riforma della contrattazione collettiva. di Lidia Baratta
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Condivido la riflessione di Marco : è urgente attuare la Costituzione, che fonda la Repubblica sul lavoro. I contratti nazionali sottoscritti dalle organizzazioni realmente rappresentative siano erga omnes. Per un lavoro di qualità e legale: serve ad alle imprese e ai lavoratori. Altro che salario minimo. Confcommercio Roma
Tante volte mi sono trovato a discutere sull’efficacia di un salario minimo per legge o di un salario cittadino. La mia posizione è sempre stata quella dell’applicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni più rappresentative. L’applicazione di una molteplicità di contratti crea, per le stesse figure professionali, divari retributivi enormi. Un seminario della Commissione dell’Informazione del CNEL, presieduta da Michele Tiraboschi, ha messo in evidenza una realtà chiara e preoccupante: il dumping contrattuale crea disparità retributive enormi, penalizzando lavoratori e imprese. Ad esempio, per un commesso addetto alle vendite, la differenza salariale tra i vari CCNL del settore può superare i 400 euro al mese. Questi scostamenti non si limitano ai salari, ma toccano anche maggiorazioni, permessi retribuiti e costi legati agli enti bilaterali. La soluzione? Non un salario minimo, che non affronta il problema alla radice. La strada giusta è rendere efficaci erga omnes i CCNL sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, come previsto dalla nostra Costituzione. Solo così possiamo garantire diritti uniformi e dignità lavorativa per tutti. Un primo passo concreto può essere fatto partendo dalla legge 580 delle Camere di Commercio, per una rappresentanza trasparente e verificata. Per tutelare il lavoro serve un sistema solido, basato sulla qualità dei contratti e non su logiche di competizione al ribasso. 👉La ricerca presentata al CNEL: https://lnkd.in/dvBYTixv
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Tante volte mi sono trovato a discutere sull’efficacia di un salario minimo per legge o di un salario cittadino. La mia posizione è sempre stata quella dell’applicazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni più rappresentative. L’applicazione di una molteplicità di contratti crea, per le stesse figure professionali, divari retributivi enormi. Un seminario della Commissione dell’Informazione del CNEL, presieduta da Michele Tiraboschi, ha messo in evidenza una realtà chiara e preoccupante: il dumping contrattuale crea disparità retributive enormi, penalizzando lavoratori e imprese. Ad esempio, per un commesso addetto alle vendite, la differenza salariale tra i vari CCNL del settore può superare i 400 euro al mese. Questi scostamenti non si limitano ai salari, ma toccano anche maggiorazioni, permessi retribuiti e costi legati agli enti bilaterali. La soluzione? Non un salario minimo, che non affronta il problema alla radice. La strada giusta è rendere efficaci erga omnes i CCNL sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, come previsto dalla nostra Costituzione. Solo così possiamo garantire diritti uniformi e dignità lavorativa per tutti. Un primo passo concreto può essere fatto partendo dalla legge 580 delle Camere di Commercio, per una rappresentanza trasparente e verificata. Per tutelare il lavoro serve un sistema solido, basato sulla qualità dei contratti e non su logiche di competizione al ribasso. 👉La ricerca presentata al CNEL: https://lnkd.in/dvBYTixv
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Intervenendo oggi in audizione in Commissione Lavoro e Affari sociali del Senato della Repubblica sul ddl di delega del #Governo in materia di salario minimo, ho ribadito la posizione di #UGL contraria all'introduzione di un salario minimo, per diverse ragioni: - innanzitutto per la centralità assegnata alla contrattazione rispetto all’intervento del legislatore, quindi per rivendicare l’autonomia negoziale delle parti; - perché un salario minimo legale non è la soluzione al fenomeno del lavoro povero. Ciò che serve è piuttosto un rafforzamento della contrattazione collettiva. - Il lavoro povero risiede nel lavoro nero, nel lavoro grigio, nei part-time involontari, nelle partite Iva o nei rapporti subordinati travestiti da collaborazioni: tutti temi che non verrebbero intaccati da una norma sul salario minimo. Non ultimo - ho spiegato in Commissione - «vi è la preoccupazione che con un salario minimo si produca un effetto opposto a quello voluto, perché un’azienda che non ha un contratto collettivo di riferimento può utilizzare il salario minimo, con il ragionevole rischio che delle aziende possano decidere di uscire dalla contrattazione collettiva. A quei lavoratori resterebbero soltanto il salario minimo e gli istituti tutelati dalla legge (tredicesima, festività, malattia), ma non tutta una serie di altri istituti previsti dai contratti collettivi che comportano diritti».
Ugl - Salario minimo, Malcotti (UGL): «Non risolve il problema del lavoro povero»
https://www.ugl.it
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un articolo decisamente interessante. nessuna pregiudiziale sul sindacato in questione, però da una lettura completa e attenta scaturiscono parecchie riflessioni sul tema dei temi: i salari insufficienti e lo scarso potere d'acquisto dei nostri stipendi
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💬 Salario minimo: un tema urgente che richiede dialogo! 💡 Marco Pepe, consigliere nazionale di Unimpresa, sottolinea la necessità di un confronto aperto per affrontare il delicato tema dei salari sotto i 5 euro l’ora. 👉 Qual è la strada migliore per garantire contratti di qualità, equi e certificati? 📖 Leggi le sue dichiarazioni per scoprire le proposte di Unimpresa e le possibili implicazioni della recente sentenza sulla direttiva UE sui salari minimi. 🔗 Scopri di più qui ➡️ https://lnkd.in/dwShBXEu 📣 La tua opinione conta! Condividi cosa ne pensi nei commenti. 👇 #SalarioMinimo #Unimpresa #Lavoro #ContrattiCertificati #EquitàSalariale #Italia #GiustiziaSociale 💼✨
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Contrattare e non scioperare: PERCHÉ? Per aumentare i salari, ai sindacati non resta che lo strumento che un tempo si chiamava contrattazione, a partire dai tanti rinnovi in corso. Non certo bloccare proditoriamente ogni venerdì la gente che di quei salari ha bisogno. Tra l'altro se, come da tempo sostiene lo stesso Landini, le imprese hanno fatto tanti profitti, è attraverso i contratti collettivi che i lavoratori possono ottenere la loro parte. Ma questo vorrebbe dire spostare il focus dalla "rivolta sociale" fuori tempo e fuori luogo alla contrattazione e dall'opposizione politica all'economia reale. Ma quello che i sindacati si rifiutano di ammettere è che la storia recente dimostra che i salari più alti si trovano nei paesi in cui la produttività è più alta. E l'equazione da fare è semplice: Per avere una maggiore produttività, e dunque salari migliori, occorre scommettere più sulla “contrattazione decentrata”, dove le aziende contano di più e dove i sindacati contano di meno e meno sulla contrattazione nazionale, dove i sindacati contano di più e le aziende un po' meno. Ma per scommettere di più sulla contrattazione decentrata, che permetterebbe ai lavoratori di essere più produttivi e di essere pagati di più, i sindacati dovrebbero ammettere che l'unico modo per migliorare i salari in Italia è rinunciare a qualche contratto nazionale, togliendo dunque potere ai sindacati medesimi. Vale per il lavoro e vale per i salari. La verità che i sindacalisti non possono ammettere è che per avere stipendi migliori e avere più occupati più che rivoltare il paese come un guanto a essere rivoltato come un calzino dovrebbe essere con urgenza l'agenda dei sindacati.
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MIA INTERVISTA A HUFFINGTON POST SU 3 MODI PER ALZARE I SALARI Occupazione record e salari bassi. Come va letto questo dato ambivalente? C’è da meravigliarsi che non si prenda atto che i problemi del mondo del lavoro di oggi non sono il Jobs act, i contratti a termine. Ma i salari, il part time involontario, i contratti collettivi che non vengono rinnovati e l’assenza di un salario minimo. Dieci anni fa, con il governo Renzi, il dibattito si concentrava principalmente su quanto fosse difficile per le aziende licenziare i lavoratori. Tutta la letteratura economica del decennio precedente era concentrata su questo: quanto le protezioni molto alte dello Statuto dei lavoratori in tema licenziamenti avessero influito sulla bassa occupazione di allora, portandoci in un mercato del lavoro più statico rispetto ad altri paesi. Invece, oggi? Oggi incredibilmente si parla ancora di Jobs act. Va ricordato che quella riforma non si occupa di salario minimo, contratti collettivi, part-time involontario. Non si occupa di cui oggi ci dobbiamo occupare. Giustamente: sono passati dieci anni. E il mondo è cambiato, perché nel 2014 uscivamo dalla doppia crisi del 2008 e del 2011-12. L’occupazione era al minimo. E c’era l’urgenza di intervenire su questo fronte. Un’altra proposta del centrosinistra degli ultimi mesi è l’introduzione del salario minimo. In questo caso è una battaglia adatta ad affrontare il problema? È una battaglia giusta. Io sono a favore del #salariominimo legale. E lo era anche il governo Renzi, tanto che lo inserì nella delega della riforma del lavoro dieci anni fa. Ci furono altre occasioni con il governo Conte II e anche con Draghi. Il problema è che erano e sono contrari i datori di lavoro ma anche i sindacati. Sono convinti che con il sistema della contrattazione collettiva coprono tutti i lavoratori. Ma questo non è vero. E infatti i salari non crescono, altrimenti non staremmo facendo questa intervista. Saranno tutti coperti, ma sono coperti male. Un altro grande problema attuale sono i contratti collettivi scaduti da anni, che sono più della metà del totale. Ci sono due sottoproblemi qui. Primo: nessun paese che punta sulla contrattazione collettiva riesce a coprire in maniera adeguata tutti i lavoratori. Pensiamo al 6-7% della forza lavoro che sono gli immigrati, la logistica, i delivery, la security nei locali ecc. Per i #salari bassi dei lavoratori non coperti da contratti collettivi, va introdotto il salario minimo. Mentre per tutti gli altri, quelli del secondo problema? Si può fare una norma che dice che se non rinnovi devi comunque poi recuperare ex post, quando firmi il nuovo contratto, l’inflazione. Non è tollerabile che le trattative restino in stallo perché i datori di lavoro non si siedono al tavolo in attesa che l’inflazione rientri. https://lnkd.in/dQp-Hez9
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Il parere negativo dell'Avvocato Generale sulla direttiva sul salario minimo non è la fine del salario minimo. Intanto perché già lo hanno adottato 25 Paesi su 27. E in Italia la battaglia continua: «Si tratta solo di un parere, e noi siamo ottimisti che la decisione finale rispetti invece nel merito e nel metodo i principi della direttiva europea», obietta Pasquale Tridico, capo delegazione M5S all’Europarlamento. «In Italia poi la situazione è ancora più grave rispetto ai Paesi scandinavi - prosegue l’eurodeputato - dove la contrattazione collettiva funziona meglio e la necessità di un salario minimo legale è secondaria. La legge d’iniziativa popolare rappresenta uno strumento di pressione della società civile per obbligare il governo a non voltare le spalle al vergognoso fenomeno del lavoro povero, che cresce in Italia». La legge d’iniziativa popolare sul salario minimo è stata consegnata un mese fa alla Camera da una delegazione di parlamentari del Partito democratico, del Movimento 5 stelle e dell’Alleanza Verdi e Sinistra. «Abbiamo raccolto 120 mila firme - afferma Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro del Pd - La questione europea non incide sulla nostra battaglia, perché non riguarda i contenuti della direttiva. Abbiamo chiesto la calendarizzazione della nuova proposta di legge entro Pasqua». La legge sul salario minimo vede una forte contrapposizione tra Cgil e Uil da un lato e Cisl dall'altro. Alla tesi che in Italia la contrattazione collettiva è autosufficiente si contrappongono i dati del Cnel sul dumping contrattuale: le differenze retributive per la stessa identica figura professionale possono essere enormi. Per esempio per un commesso addetto alla vendita arrivano a ben 415 euro mensili: si va dai 1718,75 euro del Ccnl Confcommercio, livello 4°, ai 1304,55 del Ccnl Anpit, livello D1. Differenze consistenti anche sul piano normativo.
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💰 In Italia si guadagna troppo poco. Gli stipendi ristagnano, eppure il dibattito sul salario minimo sembra sparito dall’agenda politica. Nel nostro Paese la quasi totalità (il 97,8%) delle imprese con più di 10 dipendenti, escluso il settore agricolo, applica almeno un contratto collettivo nazionale (dato ISTAT). Una soluzione per alzare i salari quindi ci sarebbe, ed è rinnovando la contrattazione collettiva. 🔖 Il rinnovo del contratto del commercio Saranno 3 milioni i lavoratori coinvolti dal recente rinnovo del contratto nazionale del commercio, stipulato tra Confcommercio-Imprese per l’Italia e Confesercenti Nazionale con Filcams Cgil Nazionale, Fisascat Cisl Nazionale e Uiltucs Uil. Le categorie coinvolte sono elencate all’articolo 13 dello stesso contratto. Tra le nuove regole, in vigore da aprile 2024 a marzo 2027, è previsto un aumento di 240 euro, ma solo per chi è inquadrato nel quarto livello. Gli importi saranno suddivisi in 6 tranche: 30 euro a partire dal 1° aprile 2024; 70 euro dal 1° aprile 2024; 30 euro dal 1° marzo 2025; 35 euro dal 1° novembre 2025; 35 euro dal 1° novembre 2026; 40 euro dal 1° febbraio 2027. In più ci sarà una Una Tantum aggiuntiva di 350 euro, distribuita in due pagamenti da 175 euro a luglio 2024 e a luglio 2025. A conti fatti si tratta di 7mila euro in più in un quadriennio. 📜 Un’esistenza libera e dignitosa I minimi tabellari fissati all’interno dei CCNL sono il riferimento preso dai giudici del lavoro in caso di contenzioso giudiziario. Obiettivo è in quei casi accertare se le retribuzioni rispettano l'articolo 36 della Costituzione, secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». 📒 I CCNL vigenti A dicembre 2023 risultavano depositati e vigenti 1.033 CCNL, di cui 971 del settore privato, 18 del pubblico e 44 accordi economici che riguardano autonomi e parasubordinati. Il numero complessivo di lavoratori in attesa di rinnovo è oggi di circa 5 milioni, mentre lo scorso anno erano circa 7,7 milioni, come indica il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL). ✍ Ilaria Mariotti #contrattonazionalecommercio #rinnovo #salariominimo #CCNL
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🟦 La soluzione al problema del lavoro povero deve essere ricercata attraverso una maggiore valorizzazione della contrattazione collettiva Il Segretario Generale, Francesco Cavallaro, segnala il rischio che una eventuale legge sul salario minimo possa, in realtà, mascherare un intervento, del tutto arbitrario e di dubbia legittimità costituzionale, in materia di rappresentanza e rappresentatività sindacale Approfondisci sul nostro sito 👉🏻 https://lnkd.in/ghjMvX-m @follower @fan più attivi
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