CANCRO AL PANCREAS: SCOPERTA UNA SINERGIA FRA IMMUNOTERAPIA E FARMACI MIRATI I risultati di un nuovo studio IEO, sostenuto da Fondazione AIRC, pongono le basi molecolari per una terapia combinata efficace contro il cancro del pancreas. I dati sono stati pubblicati sulla rivista “Sciences Advances”. In uno studio condotto al Dipartimento di Oncologia Molecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia, il gruppo di ricerca coordinato da Gioacchino Natoli ha scoperto il meccanismo molecolare per cui due terapie contro il tumore del pancreas singolarmente poco efficaci, se combinate ottengono invece un buon risultato terapeutico. Si tratta del trametinib associato a immunoterapia: insieme hanno dimostrato nei modelli preclinici di poter acquisire un controllo molto significativo della malattia. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono stati appena pubblicati sulla rivista Sciences Advances. Il tumore del pancreas è caratterizzato da un insieme di mutazioni del DNA molto ben definite. Tra le meglio conosciute ci sono le mutazioni del gene KRAS, i cui prodotti proteici mimano una stimolazione costante e abnorme da parte di fattori di crescita, inducendo così una proliferazione non controllata delle cellule. Contro tali mutazioni sono stati sperimentati alcuni farmaci a bersaglio molecolare, progettati proprio per contrastare questi effetti. Tuttavia, i tentativi di bloccare in maniera mirata la trasmissione di stimoli proliferativi indotti dalla mutazione di KRAS, in particolare con l’inibitore trametinib, non hanno finora prodotto i risultati terapeutici attesi. “Abbiamo utilizzato procedure avanzate di analisi genomica e computazionale per determinare le ragioni della sorprendente resistenza delle cellule di carcinoma del pancreas al trametinib. Questa analisi ha mostrato un effetto sorprendente: anche se il trametinib non rallenta significativamente la crescita delle cellule tumorali, attiva però dei meccanismi che possono renderle bersaglio di una risposta immunitaria. Sulla base di questi dati, in collaborazione con il gruppo di Andrea Viale presso l’MD Anderson Cancer Center di Houston, abbiamo valutato in modelli preclinici l’effetto terapeutico della combinazione del trametinib con farmaci che aumentano la risposta immunitaria contro i tumori, i cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, ottenendo effetti terapeutici significativi” spiega Natoli. CONTINUA A LEGGERE https://lnkd.in/d8WkF3TY
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https://lnkd.in/dTUM435q Il budesonide, un farmaco utilizzato per il trattamento dell’asma, può avere significativi effetti antiproliferativi sulle cellule del tumore pancreatico. Perché tra i pazienti asmatici si osserva una minore incidenza di tumore al pancreas? La domanda ha guidato un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb) assieme a colleghi e colleghe dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, dell’Istituto de Investigaciones Biomedicas Sols-Morreale di Madrid e della statunitense Università del Tennessee. Una risposta potrebbe essere un effetto del budesonide, un farmaco ampiamente utilizzato per il trattamento dell’asma. Il composto sembra infatti avere la sorprendente capacità di contrastare la proliferazione delle cellule tumorali dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), la forma più frequente di tumore al pancreas. I risultati dello studio sono stati pubblicati a luglio 2024 sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, rivista del gruppo Springer Nature. “Ci siamo concentrati sulla correlazione inversa che, secondo dati statistici, vede un’associazione negativa tra i pazienti asmatici sotto terapia da lungo tempo e la frequenza del tumore al pancreas. Abbiamo così scoperto che il budesonide, un farmaco glucocorticoide già in commercio per il trattamento dell’asma, è in grado di limitare le caratteristiche più aggressive delle cellule umane di tumore del pancreas, come la capacità di proliferare, migrare e invadere altri tessuti e organi, alla base della disseminazione delle metastasi”, spiega Gabriella Minchiotti (Cnr-Igb), coordinatrice del lavoro. “In esperimenti con cellule in coltura e animali di laboratorio, abbiamo dimostrato che il budesonide arresta la crescita delle cellule del tumore pancreatico modificandone il metabolismo e interferendo in particolare con i cambiamenti necessari alla progressione tumorale”. Oltre a essere una delle forme più frequenti di tumore al pancreas, l’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC) è anche particolarmente aggressivo. Nel 2023 in Italia sono state stimate circa 14.800 nuove diagnosi, secondo i dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia, pubblicato a cura dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (www.aiom.it) in collaborazione con l’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM). Essendo un tumore spesso resistente alle terapie classiche, quali chemioterapia e radioterapia, la sopravvivenza stimata a cinque anni dalla diagnosi è inferiore al 12%. Per questa patologia, inoltre, non esistono metodi di screening efficaci: questo fa sì che, al momento della diagnosi, spesso il tumore sia già diffuso (...) Patrizia Lazzarin, 25 luglio 2024 Continua la lettura sulla pagina facebook de Il giornale dei giornali
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NEI BATTERI INTESTINALI IL SEGRETO PER SMASCHERARE IL CANCRO Uno studio del Pascale di Napoli e dell'stituto Europeo di Oncologia di Milano ha individuato fattori batterici che predicono la risposta all’immunoterapia dei pazienti con melanoma avanzato e possono aumentarne l’efficacia. Un gruppo di ricercatori, coordinati da Luigi Nezi dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), in collaborazione con gli oncologi Paolo Ascierto e Luigi Buonaguro del Pascale di Napoli, ha individuato nel nostro microbiota intestinale i fattori in grado di predire, con un semplice test eseguito su cellule del sangue, quali pazienti con melanoma avanzato risponderanno all’immunoterapia e quali no, aprendo una nuova strada per lo sviluppo di un vaccino terapeutico. I risultati sono pubblicati ieri sulla prestigiosa rivista Cell Host and Microbe. Per questo studio sono stati arruolati presso l’IEO di Milano e l’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) “Fondazione Pascale” di Napoli 23 pazienti con melanoma inoperabile e candidati a ricevere la terapia che, bloccando la proteina linfocitaria PD-1, riattiva la risposta immunitaria antitumorale. Da ciascun partecipante sono stati raccolti dati clinici e diversi campioni biologici, sia prima dell’inizio della terapia che mensilmente durante il periodo del trattamento (fino a 13 mesi), consentendo così di associare variazioni del microbiota intestinale con altri marcatori infiammatori ematici. Il legame fra microbiota intestinale e immunoterapia è noto da tempo, ma ora lo studio dimostra perché e come avviene l’interazione. Infatti, da un’analisi approfondita dei geni batterici (metagenomica) emerge che il microbiota intestinale dei pazienti responsivi all’immunoterapia è arricchito di alcuni geni che portano alla sintesi di peptidi (frammenti di proteine), i quali mimano esattamente la struttura di alcuni dei principali antigeni tumorali espressi dalle cellule di melanoma. Poiché la somiglianza consente a linfociti diretti contro i peptidi batterici di riconoscere anche i loro analoghi tumorali, l’immunità antitumorale ne esce rafforzata. Questa scoperta consentirà in breve tempo di condurre uno screening dei pazienti candidati a immunoterapia grazie ad un test ematico per ricercare linfociti che riconoscono i peptidi batterici analoghi a quelli del melanoma. “La possibilità di avere a disposizione marcatori che predicono la risposta ad un trattamento o meno – dice il Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento Melanoma e Immunoterapia dell’Irccs partenopeo - rappresenta un aspetto importantissimo della ricerca oncologica. In questo modo si selezionano i pazienti che possono realmente avere un beneficio da una terapia evitando inutili costi e possibili effetti collaterali a coloro che non ne avranno beneficio. Inoltre, - sostiene Ascierto - consente di focalizzare la ricerca su quei pazienti resistenti ab initio ad un trattamento”.
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Cancro alla vescica, scoperto ‘interruttore’ molecolare utile per nuove cure https://ift.tt/5FyQUBz (Adnkronos) – Un ‘interruttore’ molecolare nel cancro alla vescica, un meccanismo che costituisce un biomarcatore nell’evoluzione di questo tumore. E’ la scoperta che apre la strada a nuove strategie terapeutiche frutto dello studio, condotto dal team di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) e dell’Università degli Studi di Milano, pubblicato su Nature Communications. La ricerca dimostra inoltre che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, contrariamente a quanto ritenuto fino ad ora. Lo studio sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro è stato coordinato da Salvatore Pece, docente di Patologia generale e vice-direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale di Milano, direttore del Laboratorio ‘Tumori ormono-dipendenti e patobiologia delle cellule staminali’ dello Ieo. All’origine dell’intero processo sembra esserci la proteina Numb, che è normalmente espressa nella vescica, ma viene perduta in oltre il 40% di tutti i tumori vescicali umani. Questa perdita causa una cascata di eventi molecolari che rendono il tumore altamente proliferativo e invasivo, consentendogli di oltrepassare gli strati superficiali della mucosa vescicale per raggiungere gli strati più profondi. L’evento rappresenta il punto di svolta nella evoluzione clinica della malattia, determinando la progressione dei tumori vescicali superficiali, i cosiddetti non-muscolo-invasivi, verso tumori profondi, definiti muscolo-invasivi, che richiedono l’intervento di rimozione chirurgica totale della vescica. Nonostante l’operazione radicale, queste forme di malattia sono caratterizzate da un decorso clinico spesso sfavorevole. “Dunque la proteina Numb – spiega Pece – funziona come un interruttore molecolare che, se è spento, accelera la progressione tumorale e influenza il decorso clinico della malattia. E’ un biomarcatore molecolare che consente di identificare i tumori superficiali a elevato rischio di progressione verso tumori muscolo-invasivi. La nostra scoperta ha un forte e immediato potenziale di applicazione nella pratica clinica. I criteri clinico-patologici utilizzati nella routine per predire il rischio di progressione dei tumori vescicali superficiali a tumori muscolo-invasivi sono infatti del tutto insufficienti e inadeguati a individuare i pazienti a basso rischio, che potrebbero beneficiare di trattamenti più mirati, di tipo conservativo, in protocolli di sorveglianza attiva. I pazienti ad alto rischio necessitano invece di trattamenti più aggressivi, quali la chemioterapia e l’asportazione chirurgica della vescica, che hanno purtroppo considerevoli effetti collaterali e un elevato impatto sulla qualità della vita”. “Abbiamo analizzato il profilo molecolare sia in cellule in coltura e animali di...
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Un nuovo target terapeutico per il glioblastoma Uno studio internazionale, che ha visto la partecipazione di ricercatori della Sapienza Università di Roma, ha descritto un nuovo meccanismo molecolare che contribuisce all’inibizione della risposta immunitaria nel glioblastoma da parte di una specifica popolazione cellulare immunitaria, esasperando così l’aggressività di questo tumore. I risultati di questo studio, pubblicato sulla rivista Immunity, propongono nuovi bersagli cellulari e molecolari per il disegno di approcci terapeutici innovativi per il glioblastoma Il glioblastoma è la forma più aggressiva di tumore cerebrale nell’adulto e le opzioni terapeutiche oggi disponibili sono molto limitate. La marcata ipossia (mancanza di ossigeno) e l’immunosoppressione che caratterizzano il microambiente di questo tumore rendono inefficaci anche le più recenti strategie di immunoterapia. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Immunity, frutto della collaborazione tra i ricercatori del Moffitt Cancer Center di Tampa in Florida, coordinati da Filippo Veglia, e i ricercatori del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università di Roma, coordinati da Aurelia Rughetti, ha identificato una sottopopolazione di cellule immunitarie, i macrofagi, caratterizzata da livelli elevati del recettore del glucosio (GLUT1) che mostrano una marcata capacità immunosoppressoria, in grado di inibire la risposta immunitaria e favorire la progressione del glioblastoma. “Il nostro lavoro – spiega Aurelia Rughetti della Sapienza – ha evidenziato che l’attività immunosoppresssoria dei macrofagi GLUT1+ presenti nel tumore è regolata a livello epigenetico dalla lattilazione, che prevede l’aggiunta del lattato sui residui di lisina degli istoni. Questo meccanismo molecolare, recentemente descritto, sembra essere responsabile della riprogrammazione metabolica della popolazione macrofagica GLUT1+ che risulta così in grado di sopprimere i linfociti T anti-tumorali. La caratterizzazione di questa popolazione cellulare immunosoppressoria e l’identificazione del meccanismo molecolare con cui i macrofagi sono riprogrammati nel tumore rappresentano nuovi potenziali target per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici con cui rimuovere il blocco dell’immunosoppressione e poter così potenziare l'efficacia delle terapie immunologiche. Al progetto hanno partecipato i dottorandi Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi e Angelica Pace del Dottorato di Network Oncology and Precision Medicine coordinati da Aurelia Rughetti e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e i clinici Luca D’Angelo e Antonio Santoro della UOC di Neurochirugia del Policlinico Universitario Umberto I.
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Lotta ai tumori, scoperto a Candiolo il gene che rende il mieloma "invisibile" al sistema immunitario La resistenza del mieloma multiplo alla chemioterapia dipende anche dalla «scomparsa» di uno specifico gene nelle cellule tumorali che diventano così «invisibili» al sistema immunitario. A scoprirlo è uno studio condotto dall’IRCCS Candiolo, i cui risultati sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Blood. «Il farmaco bortezomib inibitore del proteasoma, organuli cellulari in grado di rimuovere le cellule danneggiate, contrasta il mieloma multiplo sia direttamente, colpendo le cellule tumorali, che indirettamente, attivando il sistema immunitario e provocando la cosiddetta morte cellulare immunogenica – spiega Annamaria Gullà, responsabile del Laboratorio di Ematologia Traslazionale e Immunologia di Candiolo -. La perdita di efficacia a lungo termine del farmaco può derivare dall’insorgenza di forme nuove di resistenza alla terapia, in cui il farmaco non è più in grado di stimolare il sistema immunitario a riconoscere il tumore. A causa della perdita di un gene noto come “Gabarap”, infatti, il mieloma multiplo diventa “invisibile” al riconoscimento da parte del sistema immunitario». Il mieloma multiplo è il secondo tumore del sangue per frequenza in Italia colpisce ogni anno circa 2700 donne e 3000 uominied è provocato da un’eccessiva riproduzione delle plasmacellule nel midollo osseo. La maggior parte delle persone con mieloma ha una recidiva di malattia dopo il primo trattamento. Con il progredire della malattia, il susseguirsi delle recidive e dei trattamenti, il mieloma diventa sempre più difficile da trattare. «L’attuale paradigma terapeutico per il mieloma multiplo comprende una terapia di combinazione che può includere agenti immunomodulatori, inibitori del proteasoma, corticosteroidi e anticorpi monoclonali anti-CD38 – afferma Gullà -. Tuttavia, numerosi pazienti recidivano e/o diventano refrattari a queste classi terapeutiche. Per questo i nostri sforzi sono concentrati sulla ricerca di nuove armi più efficaci per prolungare la risposta a lungo termine e migliorare la qualità di vita dei pazienti». «I risultati di questo lavoro sono un’ulteriore dimostrazione del nostro impegno continuo rivolto alla ricerca di nuovi approcci per la terapia dei tumori, anche quelli più difficili da curare, come appunto il mieloma multiplo – commenta Salvatore Nieddu, direttore Generale dell’Irccs Oncologico del Piemonte di Candiolo -. Questo specifico tumore del sangue sembra essere in grado di difendersi dai farmaci attualmente in uso tramite diversi meccanismi di resistenza. È quindi necessario sviluppare un armamentario sempre più ricco di farmaci che, combinati assieme, possano ridurre o evitare che il tumore sviluppi la capacità di resistere ai trattamenti».(fonte: la Stampa) https://lnkd.in/ddE7Zd8e
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Relazione tra variante del gene della trascrittasi inversa della telomerasi rs10069690 con il cancro ovarico e altri tumori 18 Novembre 2024 Pierangelo Lucchini Le prove attualmente disponibili suggeriscono che l’attivazione della telomerasi è un passaggio cruciale nella tumorigenesi. La trascrittasi inversa della telomerasi (TERT), codificata dal gene umano TERT, è fondamentale per l’espressione della telomerasi. La variante TERT rs10069690 (C > T) è stata identificata come associata al rischio di neoplasie anche se i risultati sono incoerenti. Per tale motivo, un gruppo di ricercatori ha eseguito una meta-analisi completa con l’obiettivo di chiarire l’associazione tra questa variante e la suscettibilità nei confronti dei tumori. Sono stati esplorati attentamente i database PubMed, EMbase, MEDLINE e Cochrane Library alla ricerca di lavori pertinenti pubblicati fino al 30 aprile 2024. Alla fine, gli esperti hanno selezionato 55 documenti per un totale di 334.196 pazienti oncologici e 741.187 controlli. Tutte le analisi statistiche sono state eseguite dal software STATA (versione 11.0). I risultati aggregati hanno mostrato un’associazione significativa tra rs10069690 e un aumento del rischio di cancro secondo il modello allelico (OR = 1,10, IC 95%: 1,07-1,13, P < 0,001), soprattutto nelle popolazioni europee e asiatiche. Quando stratificata per tipologia di neoplasia, questa variante è stata correlata a un rischio elevato di cancro mammario (OR = 1,11, 95% CI: 1,07-1,15, P < 0,001), ovarico (OR = 1,14, 95% CI: 1,10-1,19, P < 0,001), del polmone (OR = 1,20, 95% CI: 1,07-1,35, P = 0,003), della tiroide (OR = 1,23, 95% CI: 1,15-1,32, P < 0,001), dello stomaco (OR = 1,31, 95% CI: 1,19-1,45, P < 0,001) e di carcinoma a cellule renali (OR = 1,29, 95% CI: 1,07-1,55, P = 0,007). Al contrario, è stato rilevato un rischio diminuito per carcinoma epatocellulare, cancro della prostata e cancro del pancreas. I risultati indicano anche che questa variante è significativamente associata a tumori solidi (OR = 1,11, 95% CI: 1,07-1,14, P < 0,001) ma non a tumori del sangue. Gli Autori concludono che la variante TERT rs10069690 rappresenta un fattore di rischio per la comparsa del cancro. Tuttavia, gli effetti di questa variante possono variare a seconda della tipologia neoplastica e differire tra le diverse etnie. BMC Cancer. 2024 Aug doi: 10.1186/s12885-024-12833-2
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Mieloma multiplo, scoperta all’IRCCS Candiolo: perdita di un gene lo nasconde al sistema immunitario Dopo aver dimostrato che il farmaco bortezomib è in grado sia di attaccare direttamente le cellule tumorali che di attivare il sistema immunitario, gli scienziati del Candiolo hanno messo in luce che il tumore può sviluppare una resistenza anche al riconoscimento da parte del sistema immunitario in seguito alla perdita del gene GABARAP. Lo studio apre la strada a nuove combinazioni terapeutiche in grado di contrastare la capacità del tumore di resistere al trattamento. L’'utilizzo combinato del bortezomib con la rapamicina è in grado di rendere nuovamente le cellule del mieloma multiplo visibili e quindi attaccabili dal sistema immunitario. La resistenza del mieloma multiplo alla chemioterapia dipende anche dalla “scomparsa” di uno specifico gene nelle cellule tumorali che diventano così “invisibili” al sistema immunitario. A scoprirlo è uno studio condotto dall’IRCCS Candiolo, i cui risultati sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Blood. “Il farmaco bortezomib inibitore del proteasoma, organuli cellulari in grado di rimuovere le cellule danneggiate, contrasta il mieloma multiplo sia direttamente, colpendo le cellule tumorali, che indirettamente, attivando il sistema immunitario e provocando la cosiddetta morte cellulare immunogenica – spiega Annamaria Gullà, responsabile del Laboratorio di Ematologia Traslazionale e Immunologia di Candiolo -. La perdita di efficacia a lungo termine del farmaco puo’ derivare dall’ insorgenza di forme nuove di resistenza alla terapia, in cui il farmaco non è più in grado di stimolare il sistema immunitario a riconoscere il tumore. A causa della perdita di un gene noto come GABARAP, infatti, il mieloma multiplo diventa ‘invisibile’ al riconoscimento da parte del sistema immunitario”. Il mieloma multiplo è il secondo tumore del sangue in Italia, che colpisce ogni anno circa 2700 donne e 3000 uomini, ed è provocato da un’eccessiva riproduzione delle plasmacellule nel midollo osseo. La maggior parte delle persone con mieloma ha una recidiva di malattia dopo il primo trattamento. Con il progredire della malattia, il susseguirsi delle recidive e dei trattamenti, il mieloma diventa sempre più difficile da trattare. “L’attuale paradigma terapeutico per il mieloma multiplo comprende una terapia di combinazione che puo’ includere agenti immunomodulatori, inibitori del proteasoma, corticosteroidi e anticorpi monoclonali anti-CD38 – afferma Gullà -. Tuttavia, numerosi pazienti recidivano e/o diventano refrattari a queste classi terapeutiche. Per questo i nostri sforzi sono concentrati sulla ricerca di nuove armi più efficaci per prolungare la risposta a lungo termine e migliorare la qualita’ di vita dei pazienti”. https://lnkd.in/dSwCKzSK
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TEST DELLE URINE PER DIAGNOSI PRECOCE DI CANCRO: TESTATO SUI TUMORI TESTA-COLLO Negli ultimi anni la ricerca è impegnata nel trovare sistemi diagnostici per i tumori in una fase estremamente precoce. Una diagnosi precoce semplifica di molto i trattamenti e aumenta considerevolmente le probabilità di guarigione dei pazienti. Uno degli approcci più seguiti è la “biopsia liquida” su campioni di sangue, ovvero la ricerca di DNA tumorale circolante (ctDNA). Ricercatori dell'Università del Michigan Health Rogel Cancer Center, guidati da Muneesh Tewar, hanno sviluppato un test basato sull’analisi delle urine, che rileva piccoli frammenti di DNA rilasciati dai tumori della testa e del collo. In questo caso non parliamo di frammenti come quelli rilevabili nel sangue (ctDNA) che, per le loro dimensioni, non passerebbero nelle urine, ma di frammenti ultracorti, con meno di 50 basi definite “Transrenal cell-free tumor DNA” (TR-ctDNA). A questo risultato i ricercatori sono arrivati dopo il sequenziamento dell'intero genoma per poi identificare i frammenti di TR-ctDNA liberati dalle cellule tumorali di diversi tipi di cancro. Questi piccoli frammenti passano nel flusso sanguigno e da questo filtrate nelle urine. Da segnalare che il test “PCR digitale” per TR-ctDNA, ha rilevato le recidive del cancro in una fase molto prima di quanto evidenziabile da tecniche di imaging. Inoltre, date le piccole dimensioni (<50 bp) delle TR-ctDNA, è probabile che questi frammenti non siano rilevabili dai test convenzionali usati per il DNA tumorale circolante (ctDNA). I risultati di TR-ctDNA nelle urine sono stati confrontati con i risultati di ctDNA nel sangue. I due risultati erano allineati. Un bel passo avanti per la diagnosi precoce dei tumori testa-collo dove attualmente non si dispone di sistemi di screening affidabili. , Nulla impedisce che questo approccio potrà, in seguito, essere esteso ad altri tumori, in teoria a tutti i tumori, una volta identificate le piccole sequenze di DNA associabili ad ogni singolo tumore. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati “open access” il 22 marzo 2024, su JCI Insight. https://lnkd.in/dhKzH7Ar. #tumori #diagnosi #biopsia_liquida #TRctDNA Maggiori info: https://lnkd.in/dWDEtPam
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TUMORE DEL POLMONE: la Commissione europea approva alectinib come prima e unica terapia a bersaglio molecolare in adiuvante per il tumore al polmone ALK-positivo in stadio iniziale Come dimostrato nello studio di fase III ALINA, alectinib ha determinato una significativa riduzione del rischio di recidiva della malattia o decesso pari al 76% nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) ALK-positivo resecato. L’approvazione di alectinib risponde a significativi bisogni clinici fino ad oggi insoddisfatti nel setting dello stadio iniziale, in cui circa la metà dei pazienti manifesta una recidiva della malattia dopo l’intervento chirurgico, nonostante la chemioterapia adiuvante. La diagnosi e il trattamento precoci del cancro al polmone possono ridurre l’impatto associato alla progressione della malattia e offrire alle persone le migliori possibilità di cura. Roche ha annunciato oggi che la Commissione europea ha approvato alectinib in monoterapia come trattamento adiuvante dopo la resezione del tumore in pazienti adulti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) positivo per la chinasi del linfoma anaplastico (ALK) ad alto rischio di recidiva (NSCLC in stadio da IB [≥ 4 cm] a IIIA [secondo il sistema di stadiazione della Union for International Cancer Control/American Joint Committee on Cancer - UICC/AJCC, 7a edizione). La domanda di autorizzazione all’immissione in commercio è supportata dai dati dello studio di fase III ALINA, in cui alectinib ha dimostrato una significativa riduzione del rischio di recidiva della malattia o decesso pari al 76% nei pazienti con NSCLC ALK-positivo resecato “Per la prima volta in Europa le persone con NSCLC ALK-positivo sottoposte a resezione chirurgica, hanno la possibilità di essere trattate con un inibitore di ALK in grado di ridurre significativamente il rischio di recidiva della malattia o di decesso. - ha dichiarato Levi Garraway, M.D., Ph.D., Roche’s Chief Medical Officer and Head of Global Product Development - Questa approvazione rappresenta una svolta importante per i soggetti ad alto rischio di ricomparsa del tumore dopo l’intervento chirurgico. Grazie a questa nuova indicazione, i benefici rivoluzionari di alectinib possono essere estesi ad un numero ancora maggiore di pazienti affetti da cancro al polmone ALK-positivo”. CONTINUA A LEGGERE https://lnkd.in/dq2w9a9d
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🧫 Le potenzialità di questo approccio sono state dimostrate in due nuovi studi: uno pubblicato sulla rivista Molecular Therapy e un altro in corso di pubblicazione sul Journal of Translational Medicine. 🧫 Entrambi i lavori sono stati condotti nell’ambito del progetto CAR-T nazionale di Alleanza contro il Cancro. Complimenti! #RicercaSulCancro #TerapieInnovative #Immunoterapia #CelluleNK #CARNK #TumoreColonRetto #Oncologia #CancroColonRetto #MedicinaDiPrecisione #ImmunoterapiaAvanzata #AlleanzaControIlCancro #ProgettoCAR_T #RicercaScientifica #TumoriAggressivi #InnovazioneMedica #CuraDelCancro #Oncogenomica #MedicinaPersonalizzata #HER2 Ministero della Salute Candiolo Cancer Institute IRCCS Anna Sapino Ruggero De Maria
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Specialista in estetica oncologica, tossicità cutanee da terapie oncologiche e farmacologiche.
11 mesiFrancesco Mannavola