Per le persone senza dimora il diritto alla salute è spesso una chimera. Per avere un medico di medicina generale occorre avere la residenza, senza di essa resta solo il Pronto soccorso. Ed è qui che interviene la proposta di legge a firma Marco Furfaro, approvata all’unanimità alla Camera. Il testo passa quindi al Senato. Il via alla sperimentazione è prevista dal gennaio 2025 nelle città metropolitane
Antonietta NembriFondazione Progetto Arca
Non esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B. Per noi, il diritto alla salute deve essere garantito a tutte e tutti.
Oggi in Commissione Sanità abbiamo presentato un progetto di legge regionale per garantire l’assistenza primaria ai cittadini senza fissa dimora. In parole semplici: dare la possibilità alle persone senza casa che purtroppo vivono in giacigli di fortuna, nei dintorni delle stazioni, in edifici abbandonati e non solo, di avere un medico di medicina generale e di poter essere seguiti sotto ogni aspetto che riguarda la propria salute - sempre e non solo nei casi d’urgenza.
A oggi, queste donne, questi uomini e questi minori sono costretti ad andare in pronto soccorso per ricevere aiuto sanitario. I più fragili tra i fragili.
Un impegno intrapreso anche con la legge nazionale approvata alla Camera, a prima firma del nostro deputato Marco Furfaro, che prevede la sperimentazione in 14 città metropolitane e già realtà in cinque regioni: Emilia-Romagna, Puglia, Abruzzo, Liguria e Marche.
L’articolo 32 della Costituzione è il nostro faro. Vogliamo cancellare ogni sorta di disparità nell’accesso alla sanità, a partire da quella primaria. Chiediamo una sanità diversa, migliore, che non lasci indietro nessuno. Restituiamo dignità a queste persone.
Come possiamo migliorare l’accesso alle cure per i pazienti cronici e rari?
Oggi a Roma, alla presentazione del XXII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, si parla di come affrontare le criticità del nostro sistema sanitario e supportare chi vive ogni giorno queste sfide.
L’evento, organizzato da Cittadinanzattiva APS e dal CNAMC, è un’occasione preziosa per riflettere e contribuire al dialogo tra pazienti, caregiver e istituzioni, in un momento cruciale per l’approvazione del nuovo Piano Nazionale della Cronicità.
Partecipo con interesse agli interventi, incluso quello del Sottosegretario Marcello Gemmato, per portare avanti il confronto su politiche sanitarie più inclusive e sostenibili.
#Cronicità#Advocacy#PoliticheSanitarie
A quasi 46 anni dall'introduzione della Legge 883/78, la Fondazione GIMBE richiama l'urgenza di un nuovo patto politico e sociale che, al di là dei cambiamenti di governo e delle ideologie politiche, riaffermi il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) come pilastro fondamentale della nostra #democrazia, un bene irrinunciabile per la coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico del Paese.
😧 La perdita del SSN avrebbe conseguenze gravi non solo sulla salute pubblica, ma anche sulla stabilità sociale e sulla crescita economica. Questo patto deve coinvolgere tutti: i #cittadini devono essere consapevoli dei propri #diritti ma anche dei doveri, come l’uso responsabile dei servizi sanitari, limitando richieste inappropriate e promuovendo stili di vita sani.
🤝 Infine, è necessaria una collaborazione tra tutti gli attori della sanità: oggi più che mai, è il momento di mettere da parte gli interessi di categoria per proteggere il bene comune rappresentato dal nostro SSN.
Il 7° Rapporto GIMBE è liberamente scaricabile su www.rapportogimbe.it
🛟 #SalviamoSSN#RapportoGIMBE
Presidente Fondazione GIMBE - LinkedIn Top Voices Italy 2020
C'erano una volta i princìpi fondanti del Servizio Sanitario Nazionale: universalismo, uguaglianza, equità. Oggi si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della #salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate
#SalviamoSSN#RapportoGIMBE
C'erano una volta i princìpi fondanti del Servizio Sanitario Nazionale: universalismo, uguaglianza, equità. Oggi si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della #salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate
#SalviamoSSN#RapportoGIMBE
La gestione del nostro Servizio sanitario nazionale è una questione politica, nonostante a qualcuno faccia comodo sostenere il contrario, perché fare delle scelte piuttosto che altre cambia in base al proprio sistema valoriale.
L’inaccettabile disuguaglianza nell’accesso alle cure fra Nord e Sud del Paese, ad esempio, è frutto di precise scelte politiche. L’Autonomia differenziata ne è la dimostrazione.
Questa riforma, infatti, avrà l’effetto di aggravare il divario, costringendo sempre più persone a spostarsi nelle Regioni del Nord per curarsi. Voglio ricordare che il “turismo sanitario” non è gratis, ma sposta le risorse dalle Regioni povere alle Regioni ricche.
Ne ho parlato oggi a L'aria che tira su La 7.
1 milione di italiani senza assistenza domiciliare
Il sistema sanitario nazionale è in crisi con un grave impatto sulla vita di milioni di italiani non autosufficienti.
Gianluca Giuliano, segretario nazionale della UGL Salute, ha dichiarato che circa 2 milioni di persone su quasi 3 milioni di over 65 hanno ricevuto l'assistenza domiciliare di cui avevano bisogno nel 2023.
E le previsioni per il futuro non sono più rosee: entro il 2030, 5 milioni di anziani avranno bisogno di cure a domicilio.
Numeri che evidenziano una grave carenza di personale sanitario, che costringe le famiglie a rivolgersi a servizi privati, spesso con costi insostenibili e risultati non sempre all'altezza.
La situazione è resa ancora più critica dalla media di sole 18 ore di assistenza domiciliare ricevute dagli anziani nel 2023, ben al di sotto degli standard europei.
In Sencare, crediamo che una gestione più efficiente possa fare la differenza, aiutando a colmare il gap tra la domanda crescente e l'offerta limitata di servizi assistenziali.
Il nostro software per l’organizzazione dell'assistenza domiciliare, infatti, si pone l'obiettivo di ottimizzare le risorse disponibili e migliorare la qualità delle cure fornite.
L'intervista a Tonino Aceti, presidente di SALUTEQUITÀ, nello speciale "La sfida delle cure domiciliari" su Sanità33.
Aceti lancia l’allarme sul mancato varo dei decreti per l'applicazione della legge per ridurre le liste d'attesa, questione urgente che potrebbe essere gestita anche con un'implementazione efficace dell'assistenza territoriale integrata.
“Vi sono liste d'attesa anche per l'adozione dei provvedimenti nazionali. Non si possono avere ritardi nell'accesso alle prestazioni e ritardi nell'approvazione e nell'attuazione dei provvedimenti che servono per ridurre questi ritardi. È un controsenso ed è insostenibile per la cittadinanza.”
Superare il modello di cura ospedalo-centrico, potenziando l'assistenza territoriale e domiciliare è indispensabile per rispondere prontamente alle criticità attuali del servizio pubblico e al fabbisogno di salute delle persone, in continua evoluzione con il cambiamento demografico e l'aumento di pazienti anziani e cronici.
Composto da quattro notizie di approfondimento, lo speciale intende aumentare la consapevolezza di stakeholder istituzionali, società scientifiche, ospedali, aziende di servizi e soprattutto delle persone riguardo l’importanza di un nuovo rapporto «Ospedale-Territorio».
Guarda l'intervista: https://lnkd.in/dMpVTcvC#dispositivimedici#noicisiamo#innovazioneperlavita
Roma, 20 giugno - Sul tema dell'autonomia differenziata, la legge approvata ieri a Montecitorio, della quale riferiamo in altra parte del giornale, la Fondazione Gimbe aveva presentato nello scorso mese di marzo un suo articolato report che evidenziava come l'attuazione delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto avrebbero avuto conseguenze dirompenti...Continua a leggere
#analisi#autonomiadifferenziata#Gimbe#report
É ora di poter concorrere realmente alle decisioni che ci riguardano.
Ne 1978, quando fu istituito Servizio Sanitario Pubblico, la norma 833 asseriva che «le associazioni di volontariato possono concorrere ai fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale nei modi e nelle forme stabiliti dalla legge».
L’obiettivo era quello di innovare le modalità di "costruire" il sistema sanitario includendo la voce dei pazienti e dei loro familiari.
In realtà per anni le associazioni pazienti sono state strumentalizzate come portafogli a cui attingere per finanziare progetti e hanno finito spesso per essere complici di un occultamento di carenze strutturali del servizio sanitario pubblico.
Ardua é stata la lotta di molte associazioni per ottenere di essere ascoltate a tutti i livelli organizzativi e, soprattutto, ottenere che l’ascolto non fosse fine a se stesso ma una leva potente del cambiamento e del miglioramento della cultura della cura e dei servizi sanitari.
Ancora, spesso, considerate nei fatti come oggetto di decisioni, le associazioni pazienti hanno compreso la necessità di crescere in consapevolezza, preparazione, conoscenza degli argomenti e dell'organizzazio-
ne, al fine di contribuire effettivamente alla co-progettazione e alla coco-struzione di nuovi contenuti.
Da qui la necessità di diventare organizzazioni di pazienti e operatori esperti.
Sentiamo ora la necessità di dare finalmente una spallata alle reticenze e agli atteggiamenti ostativi delle istituzioni, di smascherare le resistenze della volontà politica per fare in modo che dai proclami teorici si passi all'azione concreta.
É giunto il momento di andare oltre ai tavoli di confronto di opinioni che poi restano tali e di riconoscere alle associazioni pazienti, attraverso un empowerment partecipativo, possibilità decisionali e concretamente realizzative.
Le case di comunità devono essere abitate per lo più da professionisti che stabilmente vi lavorano per la maggior parte del loro tempo , che collaborano tra loro, si parlano, costruiscono progetti di salute ,fanno medicina di iniziativa, interloquiscono con il sociale. Come è pensabile che si possano fornire servizi efficienti basandosi solo su una presenza oraria saltuaria di medici di famiglia provenienti da realtà diverse ? In giro per l’Italia ci sono già esempi di Medicine di gruppo integrate efficienti che lavorano in equipe con mmg, personale infermieristico e di segreteria e che spostate in toto nelle Case di comunità finirebbero per riempirle fornendo un servizio adeguato e qualificato.
Perché non lavorare perché queste forme vengano implementate e finiscano per lavorare nelle nuove Case della Comunità ?