Post di Silvia Pelucchi

Qualche giorno fa mi è successo qualcosa che mi ha fatto riflettere, ancora, sull’#efficacia dei #codici di brand nel nostro #riconoscimento di una #marca. Tutto è partito da questo orecchino e da quella “V” che ha attirato la mia attenzione. Un “semplice” dettaglio che da solo ha attivato una serie di percorsi, e di domande: • ma dove l’ho già visto? • casa mi ricorda? • di chi è? Poi ho capito: era un pezzo della collezione di Valentina Ferragni. Ora, al di là del nome e del fatto che possa piacere o meno, questo episodio semplifica quanto anche i più piccoli elementi visivi, che definiscono nell’insieme i codici del brand, ci permettano di identificare immediatamente una marca attivando ricordi legati, in questo caso, alle pubblicità e alle campagne di marketing che avevo visto in passato. Questi dettagli visivi, se ripetuti con coerenza, si imprimono nella memoria dei consumatori, creando associazioni durevoli e facilmente richiamabili sia in una ricerca intenzionale sia quando meno te lo aspetti. • • • #brandmemorability #brandknowledge #brandidentity ͠  ☕️ Ti fermi a fare due chiacchiere? Qui parliamo di #Branding e di #strategie curiosando su cosa accade intorno a noi per capire meglio come questa affascinante materia, che è appunto il Branding, circonda le nostre vite e ci influenza tanto nel quotidiano quanto nel medio-lungo periodo.

I brand dovrebbero lasciare in pace le proprie imperfezioni. C’è una cosa che i brand proprio non sopportano: apparire imperfetti. Troppo rischioso. Meglio perfezionarsi fino a scomparire, ripulire ogni difetto, ogni sbavatura. E così, via a campagne impeccabili, slogan che sembrano usciti da un corso di mindfulness e identità così levigate da diventare anonime. Ma ammettiamolo: chi ha voglia di parlare con un automa? Le persone sono attratte da ciò che è vero, autentico, umano, credibile, non da ciò che sembra artefatto. Eppure, i marchi continuano a combattere le proprie sbavature come se fossero il nemico pubblico numero uno. “Basta con il botox” e le identità di plastica: ci piacciono i brand con cicatrici che raccontano storie vere. Che non hanno paura di sfidare le convenzioni. Quindi, cari brand, fateci un favore: rilassatevi. Non c’è bisogno di dimostrare sempre qualcosa, né di aumentare continuamente il gap con la realtà. Un consiglio spassionato: lasciate in pace le imperfezioni. Sono loro a fare il lavoro sporco di rendervi umani.

Un completo con un occhio celeste ben in vista. E subito riconoscibile. • sarà stata la bimba a volerlo? • sarà stata la mamma a prenderlo? • sarà forse stato un regalo? Comunque sia, quel completo con quell’occhio rappresenta qualcosa che va oltre l’oggetto fisico in sè. E lo fa per tutti i soggetti coinvolti, anche se ognuno di loro porrà attenzione a elementi diversi. Il punto è che la #Marca (e anche in questo caso è una Marca) è capace di raccogliere insieme e con continuità i diversi elementi ai quali le diverse persone danno attenzione e rilevanza, creando una sola rete di #significati, #messaggi, #percezioni, simboli, elementi di riconoscimento. A monte, quindi, serve la volontà e l’impegno dell’azienda di intendersi come Marca e lavorare con coerenza su questi elementi. Poi, per carità, sappiamo anche che le Marche giocano la loro partita nel contesto della quotidianità sempre più competitivo, con tanti elementi in campo, social media, comunicazione, scelte strategiche da fare, a volte sbagliando. Per esempio, per questa specifica Marca, è recente la notizia dell’iconico negozio di Milano pronto a chiudere le porte. Un evento che ci ricorda quanto il mercato sia in continua evoluzione e come anche i brand più riconoscibili debbano affrontare sfide impreviste. Per molti oggi quell’occhio lì significa altro. Ma questa è un’altra storia. •  •  • #realbranding #chiaraferragni #strategiedimercato ͠   ☕️ Ti fermi a fare due chiacchiere? Qui parliamo di #Branding e di #strategie curiosando su cosa accade intorno a noi per capire meglio come questa affascinante materia, che è appunto il Branding, circonda le nostre vite e ci influenza tanto nel quotidiano quanto nel medio-lungo periodo.

🚩 𝗟𝗲 𝗮𝘇𝗶𝗲𝗻𝗱𝗲 𝗼𝗳𝗳𝗲𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼 𝗹'𝗶𝗻𝘁𝗲𝗹𝗹𝗶𝗴𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘀𝘂𝗺𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶, e ne ripagano in #reputazione, #affidabilità e #credibilità 🚩 Non consapevolmente, ma è ciò che ne scaturisce dopo un tentativo di #rebranding andato fondamentalmente male. Parliamo di #VictoriasSecret. Dopo essere stata per anni sinonimo di modelle alte, magrissime e con una bellezza irraggiungibile, il #𝗩𝗶𝗰𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮𝘀𝗦𝗲𝗰𝗿𝗲𝘁𝗙𝗮𝘀𝗵𝗶𝗼𝗻𝗦𝗵𝗼𝘄 fu sospeso nel 2019 a causa di critiche crescenti sulla mancanza di diversità, inclusività e la promozione/normalizzazione di una cultura tossica con il cibo, con il fitness e con il proprio corpo. Oggi l'azienda per aumentare la propria #awarness, ha deciso di tornare con un evento che ha promesso di essere diverso, più #inclusivo, e rappresentativo di una gamma più ampia di corpi e identità. É ancora presto per dire se questo rebranding avrà successo o se seguirà le orme di altri tentativi falliti, come quello di #HarleyDavidson, che si è trovato a fare marcia indietro quando i suoi sforzi non sono riusciti a convincere il #target tradizionale, né a creare una nuova base di clienti fedeli perché il cambiamento era percepito come 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗮𝘁𝗼 e non rispecchiava l'#anima dell'azienda, che si era costruita su un'#identità ben precisa. Ma nonostante volti nuovi come #AshleyGraham , #ImaanHammam #ValentinaSampaio, ciò che io ho trovato nell'ultimo Fashion Show di pochi giorni fa è la ripresentazione dello stesso spettacolo, dello stesso #linguaggio e della stessa identità che l'azienda aveva promesso di cambiare. ❗ Aver fatto sfilare modelle trans con un'espressione di genere estremamente femminile, modelle con origini diverse che rientrano comunque nell'ideale di bellezza occidentale o ancora, modelle plus size con un fenotipo ginoide (vita stretta e fianchi larghi) tipico del sesso femminile, mi racconta di un brand che cerca di "differenziarsi" pur restando nella propria identità. É totalmente mancata quell'azione #disruptive indice di un reale cambiamento, 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼 ed 𝗲𝘀𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼. ❗ 👉 La vera inclusività non può essere limitata a poche apparizioni in passerella o a campagne temporanee. Serve un #cambiamento che parte dall'interno dell'azienda, un impegno tangibile e duraturo che tocchi ogni aspetto del brand, dalla progettazione dei prodotti alla cultura del lavoro. Nell'attesa e nella speranza che le aziende possano iniziare a prendere realmente a cuore tematiche così importanti e complesse senza utilizzarle semplicemente per campagne di marketing, tu cosa ne pensi? 💬 Ti leggo nei commenti 👇

Come serie tv tra cui "Stranger Things" utilizzino la nostalgia come strategia di branding. Vi sembrerà pazzesco, lo so, ma le strategie di branding sono OVUNQUE. Oggi vorrei analizzare una serie tv molto amata dal pubblico:"Stranger Things", appunto, notissima serie Netflix a tema fantasy- horror la cui protagonista Undici, possiede un dono speciale Mentre guardate questa serie potrebbe capitarvi di essere assaliti dalla nostalgia, ma di che cosa? In una parola TUTTO Dalle ambientazioni, alle musiche passando per le acconciature, le bibite e persino il filtro video. Tutto urla a gran voce quanto fossero belli gli anni 80 (certo a parte l'ambientazione fantasy-horror, comunque molto anni 80 come horror) Ho già detto anni 80? Molti brand, oggi, utilizzano la nostalgia nello stesso identico modo. Brand come The Coca-Cola Company ad esempio sotto Natale, con il suo colore rosso, quella punta di rosso specifico oppure Barilla Group col il suo slogan "dove c'è Barilla, c'è casa" qui però c'è associata anche la strategia del nido familiare. Tornando a Stranger Things, cosa fa la serie? Crea un legame emotivo: Il richiamo agli anni '80 fa scattare una connessione emotiva in chi ha vissuto quell'epoca, ma non solo. Anche le nuove generazioni trovano affascinante l'estetica retrò, perché è stata resa #cool. Utilizza riferimenti culturali: I giochi da tavolo come @Dungeons & Dragons, i walkman, i poster dei film cult e le sale giochi non sono semplici oggetti di scena. Sono simboli che evocano ricordi ed emozioni specifiche, trasformandoli in punti di connessione con il pubblico. Racconta una storia universale: La nostalgia è un mezzo per raccontare storie che parlano di amicizia, avventura e crescita, valori che trascendono le generazioni. . Domanda per il pubblico: Qual è il brand che vi fa tornare bambini ogni volta che lo vedete? Marketing Espresso mi sembra ne avessi parlato anche tu, se non ricordo male. #Branding #Marketing #Nostalgia #StrangerThings #Anni80

📌 LA PAURA DELLA SEMPLICITÀ 🎃 Se non uso termini complessi e tecnici, come faccio a sembrare professionale? E così parte la raffica di parole incomprensibili, da "approccio proattivo alla clusterizzazione esperienziale" a "sincronizzazione strategica della mission proattiva". ➡️ La reazione? 🧛 I clienti non capiscono un ca**o e si allontanano. Idem per la grafica….piena di elementi complessi e decorazioni senza senso…scritte, disegni ovunque...e non riesci a capire dove guardare. ➡️ La reazione? 🧛 I clienti non capiscono un ca**o e si allontanano. La stessa cosa succede quando descrivi il tuo brand con termini complessi e tecnicismi: crei una sensazione caotica che confonde invece di attirare. ➡️ La reazione? 🧛 I clienti non capiscono un ca**o e si allontanano. La verità...è che più rendi complicato il linguaggio e meno il tuo brand sarà accessibile e interessante. Un messaggio efficace non ha bisogno di paroloni per funzionare...anzi…la semplicità è la chiave per attirare l'attenzione e farti ricordare. Parla del tuo brand come ne parleresti ad un amico che non conosce il settore: chiaro, diretto e senza fronzoli...così facendo non solo sembri più vicino al tuo pubblico, ma fai capire che sai davvero di cosa stai parlando. Se ti capiscono ti seguono….se ti seguono si ricordano del tuo brand…e vissero tutti felici e contenti. 🎃 + 🎃 + 🎃 + 🎃 Ciao, sono Silvia Pelucchi e sono una brand designer Questo è il primo post della mia settimana di Halloween! Seguimi qui su LinkedIn con #iltuobrandfapaura per scoprire ogni giorno le paure più comuni di chi vorrebbe iniziare a fare branding, ma non trova il coraggio di fare quel passettino in più. In questa lotta agli orrori non sono sola! Ci sono anche #brandHorror di Francesco Turriani l’ormai mitico #orroriDigitali di Laura Copelli e le frasi cinofile #frasicinofiledahorror di Rocco Voto

Se anche la svendita rimane invenduta c'è davvero da chiedersi quale sia stato il valore intrinseco del Brand Chiara Ferragni. Nelle bancherelle non si riescono a vendere i capi d'abbigliamento col suo marchio e nei supermercati i quaderni rimangono sugli scaffali. Allora la domanda è: se l'impero crolla d'un botto e nessuno si identifica più in quello che mostravi, cosa mostravi realmente? Possibile che non esista neanche una piccola percentuale della fanbase aggrappata se non all'immagine di Chiara Ferragni perlomeno ai suoi prodotti? Neanche quelli più funzionali e utili? E perché anche la persona più lontana dai teatrini social sembra essere coinvolta in questa sorta di "ghosting"? E da qui nasce l'altra riflessione: è davvero lungimirante associare ogni prodotto al proprio nome e vederlo appiccicato ad ogni capo/oggetto possibile inimmaginabile? Secondo me se sei un influencer di questa portata evidentemente no. Prevedere una crisi reputazionale fa parte del rischio d'impresa, nessuno vuole farsi un giro con il nome di una persona in crisi nella t-shirt o sulla borsetta. Gli unici prodotti della Ferragni che non hanno subito una svendita totale sono i gioielli che non hanno ben visibile né il nome né il logo. Una crisi reputazionale davvero senza precedenti che ci mostra l'inconsistenza di un brand che identifichiamo esclusivamente nel volto di una persona che non da nulla in cambio se non un freddo sguardo, spesso distratto e fasullo, rivolto alle sue giornate. Col senno di poi possiamo dire che per il fatto di non aver mostrato nel corso degli anni nessuna caratteristica intellettuale o artistica e per l'impossibilità di indentificarla semplicemente in un prodotto da vendere, beh, neanche il più accanito dei follower trova più un motivo per acquistare l'ultimo degli ultimi prodotti del brand Ferragni. #ferragni #personalbranding

Parliamo un attimo di JACQUEMUS e di quanti conti ormai il saper raccontare le storie nella moda, al netto di un prodotto fatto male, pensato peggio ma comunicato alla perfezione. E questo senza prendere in considerazione quell'enorme macchina che si chiama marketing. Perché Jacquemus nelle sue collezioni ha un solo obiettivo: parlare di sé stesso e di niente altro che non sia lui. E non ha la minima voglia di scendere nei significati, che invece costerebbero uno sforzo maggiore. Secondo i critici, quello che più funziona da Simon Porte è il sistema valoriale solido e un progetto creativo appetibile, entrambi veicolati sapientemente su Instagram. Non metto becco sulla creatività. Sul sistema valoriale invece avrei dei dubbi. Quello che invece oggettivamente funziona da Jacquemus, e che diciamocelo, ha pochi eguali, è la capacità di leggere le istanze del contemporaneo. Mutevoli, contraddittorie, a tratti precarie e soprattutto superficiali. Senza considerare la capacità di riuscire ad incipriare storie che diventano subito chiare a chi però non ha grossi riferimenti culturali. Quella che sembra un'operazione verità, è invece la costruzione di un mondo che non esiste e che non esisterà mai. Jacquemus non ha intenzione di costruire significati e chi compra i suoi prodotti di farsi troppe domande. Forse questo parla di una nuova fase della moda. La differenza la fanno i contenuti.

RIFLESSIONI SULLA DEMOCRATICITÀ DELLA MODA Nell’ultimo periodo mi sono spesso interrogato durante confronti lavorativi, fatti prevalentemente di numeri, ma costantemente di percepiti, percezioni, trend e gusti. La risposta è sempre è stata valida nella mia testa durante tante confronti che nascono in merito alla valutazione di un capo. Al percepito di un campione, al “mi piace” di turno, al “ha un percepito alto” del momento. La risposta risiede nella più grande verità che appartiene ad ogni sfera sensoriale umana, e quindi anche all’estetica ed al gusto. La moda è democratica perché soggetta al gusto, e so che a tanti non farà piacere sentirlo ma il gusto è democratico. Possiamo immaginare i più grandi esperti della materia, i più creativi tra tutti i direttori creativi, i più competenti tra gli addetti ai lavori, seduti attorno ad un tavolo osannando il più grande brand, articolo o accessorio del momento, ricevere obiezione dall’ “inesperto” di turno a cui quel capo, accessorio, brand non piace per nulla. E non ci sarà niente da fare. All’inesperto non piacerà mai, e nessuno sarà in grado di fargli cambiare idea. Poi è ovvio che le idee possono cambiare, possono essere digerite, possono maturare. Ma in quel preciso momento ci potrà sempre essere quel voto contrario alla massa che farà perdere quell’aura di intoccabilità a qualsiasi cosa. Ed è solo presunzione e poca affinità all’autocritica pensare che quel voto valga meno del proprio solo perché si è del settore, o perché si ha “più gusto”. Il gusto è soggettivo. Il gusto è democratico. In maniera sacrosanta. Proprio ieri pubblicavo su Instagram una foto di una vetrina natalizia di un classico negozio di quartiere (che vi allego) realizzata senza alcun tipo di pretesa, senza alcun tipo di “procedura”, quasi anarchico. Ha scatenato una duplice reazione, estremamente precise. Gli addetti ai lavori, gente del mestiere e di processi, che ne criticavano la monotonia, commentando anche il fatto che avesse sbagliato tutto quel che c’era da sbagliare. Commento sacrosanto. E tanti inesperti, ma pur sempre clienti (di qualcuno), entusiasti e quasi affezionati ad una vetrina ritenuta così autentica, senza troppe masturbazioni mentali, e precisa. Gente che se dovessi pubblicare la vetrina di Dover Street Market allestita con la più grande installazione del più grande tra i vetrinisti del mondo mille volte, manco se ne accorgerebbe. Ed anche questo commento è sacrosanto. Non c’è un peso differente, e questa è una cosa meravigliosa. Il gusto è democratico, e questo rende anche la moda estremamente democratica. Viva la democrazia. E viva la moda.

L’altro giorno, chiacchierando con un amico-ex-collega, mi ha riportato alla mente questa frase: “I brand, senza le persone, non esistono”. Immediatamente ho visualizzato interi Imperi Griffati sparire nel nulla, gigantesche Gabbie del Fast Fashion essere rase al suolo semplicemente perché ignorate dalla gran parte delle persone, grossi centri commerciali svuotati della loro attrattiva perché nessuno ci metteva più piede… Lo so, una visione apocalittica e poco probabile, eppure questo potrebbe accadere sul serio se iniziassimo ad usare l’Incredibile Potere delle (nostre) Scelte!!! Spiego I brand esistono perché le persone comprano i loro prodotti, interagiscono con le loro campagne social, commentano le loro sfilate. I brand esistono perché le persone lavorano per loro, cuciono per loro, disegnano per loro e creano le campagne con cui altre persone interagiranno successivamente. I brand esistono perché ci sono persone che, con i loro soldi, permettono al brand di continuare a progettare, produrre, vendere. Ed esistere. I BRAND, DA SOLI, NON ESISTONO!!! Spesso si pensa che siano i brand ad avere “il potere” sulle persone, ed effettivamente dopo anni e anni di comunicazione e lavaggi del cervello fatti a modino (dove il Brand si innalza sul piedistallo, dispensatore di stile e saper fare supremo a cui tutti si devono inchinare) questo potere glielo abbiamo in qualche modo regalato. Eppure è esattamente il contrario. Cosa succederebbe se, di punto in bianco, nessuno comprasse più Gucci? O se da Primark non ci entrasse più nessuno? Per chi farebbero collezioni? Per chi terrebbero aperti i loro negozio? Che senso avrebbe il BRAND se le persone lo ignorassero? Vi lascio questo pensiero così…aperto a riflessioni, visioni o previsioni future talmente apocalittiche da risultare rosee ;) Liberi di commentare o semplicemente di pensare a quanto potere abbiamo nelle mani…