Post di Tania Parisi

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Professoressa associata di Sociologia generale presso Università degli Studi di Torino

Qualche ora fa è stata presentata su Orizzonte Scuola un'intervista a Dario Ianes, noto sostenitore dell’inclusione scolastica e sociale intitolata: "Gli alunni speciali sono una ricchezza per i normodotati, gli scettici cavalcano l’onda della fatica". Questo titolo ha suscitato in me notevole preoccupazione per le parole utilizzate. Preoccupazione che si è trasformata in sollievo dopo aver ascoltato l’intervista e constatato che nessuna delle espressioni citate - quali “alunni speciali” e “normodotati” - figurava nelle effettive dichiarazioni di Ianes e, soprattutto, che un titolo così infelice non era minimamente adeguato a riassumere quanto detto. La discrepanza tra titolo e contenuto dell’intervista solleva diverse questioni. Anzitutto quella sul rispetto del pensiero originale dell'autore. Ma non è su questa che vorrei soffermarmi, quanto sull’importanza che hanno le parole che scegliamo per rappresentare la realtà. Le parole plasmano le opinioni, modellano il discorso pubblico e influenzano gli atteggiamenti sociali. Da qui la necessità di un uso più consapevole e avveduto del linguaggio. Dal titolo scelto per l’intervista verrebbe da concludere che gli alunni e le alunne con disabilità andrebbero inclusi anzitutto perché rappresentano un beneficio per il resto della classe. Affermazioni come queste non fanno altro che ribadire la subalternità sociale delle persone con disabilità e la alimentano. L’inclusione delle persone con disabilità va promossa non per ottenere un qualsivoglia “valore aggiunto”, ma perché rappresenta un principio basilare di giustizia sociale. Inoltre, usare espressioni come “alunni speciali” e “normodotati”, per di più in contrapposizione, non solo rafforza una visione segregazionista della scuola ma costruisce un'immagine di persone con disabilità come esseri straordinariamente diversi anziché che come membri a pieno titolo della società. Quello dell’inclusione è un imperativo che riconosce la diversità umana come componente essenziale di ogni società che voglia essere equa e giusta. Con le parole di Ianes, la scuola inclusiva “dà una risposta personalizzata, differenziata, libera, tagliata su misura al 100% delle alunne e degli alunni”. Ecco, questo sì che sarebbe stato un bel titolo da dare all’intervista. (qui l'intervista: https://lnkd.in/dXN46QK5)

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