Mondrian al Mudec: cronaca di un'occasione mancata
Piet Mondrian (1872 – 1944) è uno degli artisti più celebri del XX secolo. Responsabile della formulazione di un nuovo linguaggio pittorico, basato sulla semplicità delle linee ortogonali e dei colori primari, il pittore olandese ha avuto grande risonanza anche aldilà dei confini della concezione comune di "arte". Per questo motivo, le aspettative riposte nella nuova mostra del Mudec “Piet Mondrian. Dalla figurazione all’astrazione” erano elevate. Cerchiamo allora di capire come tali aspettative sono state disattese e perché era non solo possibile, ma anche doveroso, fare di meglio.
La mostra intende ripercorrere le fasi dello sviluppo estetico di Mondrian, presentandone una selezione di opere meno conosciute e lontane dallo stile riconoscibile dell’artista olandese. Mondrian si approccia inizialmente alla pittura di paesaggio, sulla scia dell’influente Scuola dell’Aja, un gruppo molto attivo nell’Olanda di fine Ottocento. Piet Mondrian, però, volle elaborare un proprio linguaggio: sperimentatore di natura, contamina il paesaggio che lo circonda di influssi espressionisti, seguendo le tendenze avanguardistiche europee di inizio Novecento. Nascono così dipinti come “Mulino Oostzijdse con cielo blu, giallo e viola” del 1907-08 o “Piccola casa al sole” del 1909, in cui elementi tradizionali come il mulino o la casa vengono rielaborati alla luce di nuove e audaci soluzioni cromatiche.
Piet Mondrian (1872-1944), Mulino Oostzijdse con cielo blu, giallo e viola, c. 1907-1908, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
Piet Mondrian (1872-1944), Piccola casa al sole, 1909, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
La scelta di presentare e approfondire il Mondrian paesaggista, estremamente lodevole in quanto mira a riscoprire anche il lato meno mainstream della sua vicenda pittorica, è però minata dal confusionario ordine espositivo: le opere non seguono l’ordine cronologico di produzione e nemmeno la progressione stilistica di Mondrian, bensì sono organizzate secondo i soggetti rappresentati. È così che mulini quasi realisti si intersecano a mulini estremamente espressionisti, la cui struttura è quasi irriconoscibile. Ciascuna sezione presenta al suo interno opere talmente diverse fra loro che il visitatore rimane spaesato da un continuo avanti-indietro nello stile di Mondrian, senza che siano esplicate a sufficienza le influenze e le forze che guidano l’evoluzione del pittore.
C’è però una seconda fondamentale problematica: il passaggio dalla figurazione all’astrazione viene presentato come immediato. Nel testo introduttivo alla mostra si parla infatti di “svolta”, come fosse un evento improvviso. Si tratta di una grave mancanza, testimoniata anche dall’esiguo numero in mostra delle importanti opere di transizione che evidenziano come l’approdo all’astrazione neoplastica sia il frutto di un’estesa e progressiva ricerca formale, in cui gioca un ruolo fondamentale l’avvicinamento di Mondrian alla teosofia (un concetto solamente accennato in mostra ma essenziale per comprendere l’estetica neoplastica).
Le poche opere “di passaggio” esposte, come “Paysage” del 1912 o “Tableau n. 4 / Composizione n. VIII / Composizione 3” del 1913, risentono oltretutto della loro posizione in mostra, lontane dalle sale che ospitano le opere neoplastiche: il ruolo di transizione di queste opere è dunque poco enfatizzato e non del tutto chiaro.
Piet Mondrian (1872-1944), Paysage (Paesaggio), 1912, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
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Piet Mondrian (1872-1944), Tableau n. 4 / Composizione n. VIII / Composizione 3, 1913, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
In linea con gli astrattismi della prima metà del Novecento, Piet Mondrian e Theo Van Doesburg fondano nel 1917 il De Stijl (o Neoplasticismo), senza dubbio uno dei movimenti più complessi della storia dell’arte. Anche nel dipingere solamente e quasi ossessivamente ortogonali linee nere e riquadri colorati, Mondrian si definiva un pittore realista. Potrebbe sembrare un paradosso, eppure l’astrattismo di Mondrian si basa sul reale più assoluto. La riduzione del mondo visibile alla sua essenza, liberandosi del superficiale, risulta in un insieme di opposizioni e contrasti: il verticale e l’orizzontale, il nero e i colori, il maschile e il femminile, il cangiante e l’immutabile, il particolare e l’universale. In pochi e semplici elementi, Mondrian realizza una delle più complesse finalità dell’arte: la rappresentazione del reale nella sua essenza.
“Il ‘neoplasticismo’ ha realizzato la nuova realtà in pittura giacché, astraendo dall’aspetto superficiale esteriore, esprime (cristallizza) soltanto ciò che è più interiore. Il neoplasticismo […] rende possibile l’espressione esatta della legalità grande ed eterna in relazione alla quale ogni oggetto e ogni essere sono soltanto vaghe materializzazioni. Il neoplasticismo conferisce espressione a questa legalità, a questo ‘immutabile’, mediante relazioni ben definite e precise, ossia i rapporti ortogonali. […] Nella composizione, l’immutabile (lo spirituale) si esprime mediante la linea retta e i piani in non-colore (bianco, nero, grigio), mentre il variabile (il naturale) trova espressione nei piani colorati e nel ritmo.”
- Piet Mondrian
La mostra, tuttavia, non esplicita la riflessione teorica e ideologica che si cela dietro al Neoplasticismo e per questo risulta come un ponte spezzato. Il visitatore vede il risultato dell’esperienza estetica di Mondrian ma non ha la possibilità di comprenderlo appieno. Manca una vera spiegazione delle teorie dell’artista olandese, un lavoro sicuramente difficile ma imprescindibile per una mostra che ha l’obiettivo di illustrare il suo percorso artistico.
Piet Mondrian (1872-1944), Composizione con linee e colore III, 1937, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
Piet Mondrian (1872-1944), Composizione con rosso, giallo e blu, 1921, Olio su tela, Kunstmuseum Den Haag
L’esposizione si conclude con un’apprezzabile sezione, curata da Domitilla Dardi, dedicata all’influenza del De Stijl sul design. In particolare, sono presenti opere di Gerrit Rietveld, tra cui la celebre “Red and Blue Chair”. Unica pecca di questo approfondimento è stata l’assenza di riferimenti al Bauhaus, la celebre scuola di architettura e design fondata da Walter Gropius nel 1919, che fu centrale per la diffusione del De Stijl nel disegno industriale.
Per concludere, la sensazione di chi scrive è che il Mudec abbia fatto il passo più lungo della gamba: la mostra risulta intricata e sottotono, complice un allestimento che, nonostante riesca perfettamente nell’intento di immergere i visitatori nel linguaggio creativo di Mondrian, non permette alle opere di risaltare (fallendo dunque nel suo compito primario). Il progetto espositivo è sicuramente meritevole ma, forse, troppo ambizioso. Si tratta, purtroppo, di un’occasione mancata per portare un artista come Mondrian al grande pubblico italiano, nonostante una selezione di opere eccezionali e in gran parte poco conosciute. Dobbiamo tenere conto, infatti, delle necessità a cui è chiamata a rispondere una mostra. Sebbene non si possano ignorare le esigenze economiche che sottostanno ad ogni prodotto di consumo, affinché un’esposizione d’arte possa dirsi riuscita deve avere come primi obiettivi l’educazione e la divulgazione. A mio avviso il coraggioso tentativo di ricerca di questa mostra non è stato, per i motivi elencati in questo articolo, completamente realizzato; questo non significa, però, che la mostra sia stata del tutto fallimentare: il lavoro effettuato sui rapporti fra la Scuola dell’Aja e il primo periodo di Mondrian è esemplare e permette di osservare l’artista da una nuova prospettiva, ma risulta un percorso lasciato a metà, in cui le promesse sono rimaste, per lo più, solamente parole.