SEPARAZIONE LEGALE
Ogniqualvolta la magistratura entra in crisi, come accade oggi a seguito dell'affaire Palamara, si rinnovano gli interventi di quanti tentano di scongiurare una separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
L'ultimo, ma soltanto in ordine di tempo, Gustavo Ghidini (avvocato specializzato in diritto dell'impresa e professore emerito dell'Università degli Studi di Milano) sulle pagine del Corriere, in un intervento strutturato come lettera al direttore.
Gli argomenti sono sempre gli stessi: la comune cultura della giurisdizione, il dovere di entrambi di accertare la verità dei fatti, la negazione del ruolo di parte del PM all'interno del processo.
Il nonsense della separazione delle funzioni, che rappresenta nient'altro che un'ovvietà, in ragione delle previsioni del codice di rito e dell'ordinamento giudiziario.
Sono sofismi, teoria del processo.
La cultura della giurisdizione è condivisa da tutti gli attori del processo, proprio perché la giurisdizione non rappresenta un concetto astratto a sé stante, ma è (o, meglio, dovrebbe essere) il risultato della corretta celebrazione del processo, della puntuale applicazione delle regole e dei principi, della cui osservanza il difensore è il garante.
Il dovere del PM di accertare la verità rappresenta una mera petizione di principio, un precetto privo di sanzione, una norma non cogente. Nella realtà quotidiana, i PM non ricercano alcuna prova a favore dell'indagato e men che meno la raccolgono, salvo che non ci inciampino sopra nel corso dell'attività di indagine. In genere, ricevono i pacchetti pronti dalla Polizia Giudiziaria, con tanto di richieste di intercettazioni, di perquisizione e sequestro e di misura cautelare pronte da firmare dopo un copia/incolla su carta intestata della Procura della Repubblica competente.
Il PM è una parte del processo. Certo, una parte privilegiata, con poteri esorbitanti rispetto alle altre parti. Chi nega tale circostanza ignora consapevolmente l'onere di dedurre le prove nel rispetto del principio della discovery al pari delle altre parti, il potere di impugnazione (che può spettare soltanto alle parti) ed il controllo operato sulla sua attività da parte del Giudice, per ricordare soltanto alcuni aspetti.
Se queste sono le sole motivazioni che militano contro la separazione delle carriere, il sospetto, ormai nutrito da gran parte dei cittadini, che si tratti di puro lobbismo rischia di prendere vigore, finendo per screditare anche anche quella (gran) parte della magistratura che esercita il proprio ruolo con coscienza e rispetto delle regole.
E che, per prima, dovrebbe militare a favore della separazione.