Tribunale di Cassino, Sezione Lavoro, del 9 aprile 2024
Se la malattia del lavoratore è dipesa dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore per superamento del periodo di comporto.
L’art. 2087 cc. impone al datore di lavoro di evitare la creazione e la permanenza non solo di mobbing o straining, ma anche di condizioni di lavoro stressogene o costrittive, anche da un punto di vista psichico.
A ricordarlo una recente sentenza del Tribunale di Cassino, Sezione Lavoro, del 9 aprile 2024, che richiama la giurisprudenza di legittimità.
Vediamolo insieme.
Una lavoratrice impugna il licenziamento intimatole per superamento del periodo di comporto di malattia, asserendo appunto che la sua malattia era derivata dalla nocività dell’ambiente di lavoro, nocività sostanziatasi in condotte del datore di lavoro stressanti nei propri confronti.
Il datore di lavoro si era difeso, contestando tali condotte e asserendo che l’ambiente di lavoro era privo di nocività.
La lavoratrice non era però riuscita a provare la affermata nocività dell’ambiente di lavoro e che la sua malattia era derivata da tale nocività: la sua domanda era stata quindi rigettata.
Ma il Tribunale ha colto l’occasione per spiegare che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cc., ha un obbligo di sicurezza verso il lavoratore e quindi deve prevenire ed eliminare la nocività dell’ambiente di lavoro. Il che non significa solo prevenire ed evitare il mobbing o lo straining propriamente detti, ma anche condizioni di lavoro stressogene o costrittive, anche da un punto di vista psichico.
Il Tribunale ha anche ricordato che se la malattia del dipendente deriva dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro, il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore per superamento del periodo di comporto.
Avv. Monica Bombelli