Uso esclusivo di bene in comunione: natura giuridica e sorte della clausola attributiva di un diritto reale.

Uso esclusivo di bene in comunione: natura giuridica e sorte della clausola attributiva di un diritto reale.

L’uso esclusivo di un bene in regime di comunione è stato oggetto di un recente pronunciamento da parte delle Sezioni Unite della Cassazione che ha offerto l’occasione per analizzare lo spazio riservato all’autonomia privata nel sistema codicistico dei diritti reali.

La Cassazione ha riaffermato la presenza cogente, nell’impianto codicistico dei diritti reali, dei principi di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali.

Con il principio di tipicità e con il principio del numerus clausus si afferma l’impossibilità da parte dei privati di dar vita a diritti reali atipici o di modificare il contenuto di diritti reali tipici: i diritti reali sono solo quelli previsti e disciplinati minuziosamente dalla legge. Conseguentemente, lo spazio riservato all’autonomia privata, in ambito di diritti reali, risulta ristretto: le parti non possono né modificare il contenuto dei diritti reali, né possono creare diritti reali atipici, non previsti dalla legge.

Una parte della dottrina nega il dogma della tipicità dei diritti reali. Tale impostazione si fonda, in primo luogo, sull’inesistenza nell’impianto codicistico di una norma che espressamente neghi la possibilità di modificare il contenuto di diritti reali tipici, o  che neghi espressamente il potere delle parti di creare diritti reali atipici. In secondo luogo, permettere all’autonomia privata di creare diritti reali atipici consentirebbe alle parti di regolare con maggiore efficienza e celerità le sempre maggiori e diverse  esigenze che nascono dal traffico giuridico – economico.

La prima critica mossa al dogma della tipicità è da ritenersi infondata. Il principio di tipicità dei diritti reali, seppur non espressamente previsto da alcuna norma del codice civile, è sancito implicitamente dall’articolo 1372 c.c. nella parte in cui stabilisce la relatività degli effetti del contratto. Ammettere che le parti possano creare diritti reali atipici attraverso contratti atipici, infatti,  contrasta con la naturale opponibilità erga omnes dei diritti reali: il contratto atipico non può essere fonte di un diritto reale atipico perché il contratto produrrebbe effetti nei confronti dei terzi in violazione del principio della  relatività degli effetti del contratto.

Pertanto, il principio di relatività degli effetti del contratto costituisce il fondamento normativo del principio di tipicità e del numero chiuso dei diritti reali.

Inoltre, una ulteriore argomentazione  a sostegno del dogma della tipicità è ricavabile attraverso un’analisi economica del diritto: l’ordinamento guarda con sfavore ai diritti che limitano la circolazione dei beni economici poiché non consentono la naturale e migliore allocazione delle risorse nel mercato. La circolazione dei beni infatti favorisce, attraverso il meccanismo dello scambio, la migliore allocazione delle risorse sul mercato: tanto si realizza uno scambio  sul mercato,  in quanto  un soggetto valuta una risorsa maggiormente di quanto è valutata dal proprietario in virtù della  consapevolezza  di riuscire a realizzare un uso più efficiente della risorsa.

Ciò significa che la circolazione dei beni economici è in grado di produrre maggiore ricchezza attraverso la migliore allocazione delle risorse.  I diritti reali invece, in particolare quelli su cosa altrui come l’usufrutto, realizzano una diminuzione del valore del bene poiché ne limitano la circolazione per un periodo: usufrutto, uso e gli altri diritti reali su cosa altrui, impedendo la circolazione del bene per un periodo, ne  diminuiscono il valore. Quindi, permettere all’autonomia negoziale di dar vita a  figure di diritti reali atipici comporterebbe l’incontrollata nascita di diritti che limitano la circolazione dei beni e che, conseguentemente, ne diminuiscono il valore. A dimostrazione del fatto che l’ordinamento guarda con sfavore alle limitazioni della circolazione dei beni, si può prendere in considerazione l’articolo 1379 c.c. che disciplina e limita il divieto convenzionale di alienazione: il divieto di alienazione, in primo luogo, ha effetto obbligatorio e vincola solo le parti, così che l’eventuale alienazione in violazione del divieto convenzionale resta comunque valida;  in secondo luogo, il divieto di alienazione non è valido se non contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti. Tale norma conferma lo sfavore con cui l’ordinamento guarda alle limitazioni alla circolazione dei beni che, impedendo lo scambio delle risorse, non consentono di attribuire le risorse a chi le valuta di più ed è quindi in grado di farne un uso più efficiente.

Inoltre, a conferma del dogma del numero chiuso, le norme sulla trascrizione previste agli articolo 2634 c.c. e seguenti, in quanto contengono una elencazione tassativa dei diritti reali soggetti a trascrizione, confermano la presenza del principio di tipicità che informa il sistema dei diritti reali.

Stabilito che la presenza del principio di tipicità dei diritti reali impedisce la creazione di diritti reali atipici, la giurisprudenza si è interrogata sulla configurabilità di un c.d. uso esclusivo su un bene comune. Seppur diffuso nella prassi, il c.d. uso esclusivo su un bene comune non risulta disciplinato da alcuna norma del codice civile. In virtù del principio di tipicità e del numero chiuso dei diritti reali, affinché il contratto o la clausola che dispongano un uso esclusivo a favore di un comunista sia ritenuta valida, è necessario ricercare una base normativa all’interno dei diritti reali che legittimi tale tipologia di uso.

L’articolo 1102 c.c., relativamente alla comunione nonché al condominio, al quale si applicano le norme sulla comunione in generale in virtù dell’articolo 1139 c.c., disciplina l’uso della cosa in comune colorando il diritto di comproprietà: l’uso della cosa comune è consentito a ciascun partecipante, purché non impedisca agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In tal modo, la norma, dando contenuto al diritto di comproprietà, sancisce che l’uso della cosa comune deve essere paritario: l’uso della cosa comune non può impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso. L’uso esclusivo invece, poiché per definizione è un uso riservato al solo titolare, non può essere considerato come un diritto reale che si fonda sulla comunione: l’uso esclusivo comporterebbe uno svuotamento del diritto di comproprietà, che si sostanzia appunto in  un uso comune e paritario del bene oggetto di comunione.

Il diritto d’uso esclusivo non può quindi neanche qualificarsi come servitù prediale: la servitù, che consiste in un rapporto di assoggettamento tra due fondi, non può tradursi in un diritto che determina lo svuotamento del diritto di proprietà del fondo servente.

Il diritto d’uso esclusivo potrebbe essere qualificato come diritto reale in virtù dell’articolo 1126 c.c., che prevede l’uso esclusivo del lastrico solare. Il codice civile disciplina l’uso esclusivo dei lastrici solari quando anche una parte di essi non è comune a tutti condomini, regolando il regime di spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico stesso. Il diritto d’uso esclusivo del lastrico solare, per consolidata giurisprudenza, è qualificato come diritto reale di godimento. Il diritto d’uso esclusivo di un bene diverso dal lastrico solare ed in comproprietà potrebbe quindi essere qualificato come diritto reale d’uso esclusivo ai sensi dell’articolo 1126 c.c. Tuttavia, non sembra corretto far discendere da una norma così settoriale, quale quella sul lastrico solare, un diritto d’uso esclusivo generale. Anzi, la circostanza per cui il legislatore ha inteso disciplinare con una norma l’uso del lastrico solare  depone a favore della eccezionalità della figura in esame, non suscettibile di applicazione generale. La circostanza per cui il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre una norma che consenta un diritto reale d’uso esclusivo sul lastrico solare significa che, se non ci fosse tale norma settoriale, il diritto reale d’uso esclusivo non sarebbe astrattamente configurabile: se fosse riconosciuto in generale il diritto d’uso esclusivo, il legislatore non avrebbe avuto bisogno di disciplinare specificamente il lastrico solare. Perciò, il 1126 non solo non costituisce la base normativa per un diritto d’uso generale, ma al contrario è una norma che nega tale figura in generale.

Non si può desumere un diritto reale d’uso esclusivo nemmeno dall’articolo 1120 comma 2, n. 2 del codice civile. La norma fa riferimento alle opere e agli interventi per la realizzazione di parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari, non chiarendo se i posti auto realizzati devono essere attribuiti in proprietà esclusiva, andando quindi a costituire pertinenze delle singole unità immobiliari, oppure se devono essere  attribuiti in godimento frazionato in favore dei proprietari delle singole unità immobiliari. In ogni caso, non è configurabile un diritto reale d’uso esclusivo: sia che i posti auto vengano attribuiti in proprietà, sia che vengano attribuiti in godimento frazionato, che è un godimento paritario e non è esclusivo, non è ricavabile dalla norma  l’esistenza di un diritto reale d’uso esclusivo.

In conclusione, essendo precluso alle parti la creazione di diritti reali atipici e non essendoci un riscontro normativo del diritto reale d’uso esclusivo, il diritto d’uso esclusivo non può essere qualificato come diritto reale e la clausola che attribuisce tale diritto è da considerarsi nulla.

Tuttavia, l’articolo 1367 c.c., relativamente all’interpretazione del contratto o delle singole clausole, dispone il principio di conservazione degli effetti degli atti giuridici: la clausola o il contratto che non può produrre effetti giuridici deve essere interpretata nel senso in cui possa produrre qualche effetto.

Alla luce del principio di conservazione degli effetti degli atti giuridici, la clausola che dispone l’attribuzione di un diritto d’uso esclusivo deve essere quindi interpretata come clausola attributiva di un diritto reale d’uso tipico ai sensi dell’articolo 1021 del codice civile.

Il diritto d’uso ex articolo 1021 del codice civile attribuisce all’usuario la facoltà di servirsi di una cosa altrui e, qualora il bene sia fruttifero, di raccogliere i frutti per quanto occorre a soddisfare i bisogni suoi e della sua famiglia. Tale limitazione si riflette sulla disciplina applicabile: il diritto d’uso ai sensi dell’articolo 1024 c.c. non è cedibile, in quanto la funzione è prettamente personale e l’eventuale cessione è da considerarsi nulla per violazione di una norma imperativa. Inoltre, essendo applicabili le norme sull’usufrutto ai sensi dell’articolo 1026 c.c., il diritto d’uso si estingue per non uso ed è soggetto alle stesse limitazioni previste per la durata dell’usufrutto: l’uso ha durata limitata e non può protrarsi oltre la vita dell’usuario.

Tali limitazioni incidono negativamente sul valore del diritto attribuito dalla clausola: qualificando il diritto reale d’uso esclusivo come diritto d’uso ai sensi dell’articolo 1021 c.c., il valore del diritto diminuisce in quanto tale diritto non è cedibile, è limitato nel tempo e si estingue per non uso.

 

                                                                                                Mattia Corvino

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