... come dire... un bel "problemino" strutturale sulle spalle di tutti gli italiani... Dal Corriere della Sera La rincorsa prezzi-salari — che innescherebbe una preoccupante spirale inflattiva che ricorda tanto gli anni della «scala mobile» — è da evitare, certo. L’Italia però è inviluppata da anni in una storia di salari troppo bassi, come plasticamente evidenziato da questa classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90 (vedi tabella in alto). D’altronde c’è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso, spesso finisce travolto — è il caso dei giovani — nel girone dantesco dei tirocini. L’Inps, registrò l’allora presidente Pasquale Tridico, ritiene che questa area sia composta da «due milioni di lavoratori», fatta anche di contratti stagionali nel turismo e nei servizi in cui la dimensione del «nero» non è irrilevante e le cornici contrattuali scavalcate da illegalità e difese malamente dai pochi controlli. Il salario reale: la discesa inesorabile dal 1990 La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Paghiamo anni di redditi al palo bloccati (anche) da una produttività stagnante e il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha. Il problema è che si tratta di una tara storica. Come agire sul potere d’acquisto per alleviare le difficoltà di chi «vive sotto i 35 mila euro all’anno» però è oggetto di dibattito da sempre
Post di Giovanni Tagliavini
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Il mercato del lavoro necessità di una ristrutturazione in termini di adeguamento al contesto economico sociale, il modello attuale fermo alla contrattazione collettiva appare ormai superato.Il Welfare può rappresentare una soluzione ma va considerato non come una misura marginale o facoltativa, ma come elemento necessario per aumentare le retribuzioni e la produttività.
In Italia si guadagna meno che nel 1990, è l’unico paese Ue dove i salari reali sono scesi: il grafico Il grafico dell’Ocse sul raffronto tra il costo della vita e i salari nei principali Paesi europei: Italia con variazione negativo e fanalino di coda Un interessante articolo su #CorrieredellaSera “L’Italia è inviluppata da anni in una storia di salari troppo bassi, come plasticamente evidenziato dalla classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90. D’altronde c’è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso, spesso finisce travolto — è il caso dei giovani — nel girone dantesco dei tirocini, composta da «due milioni di lavoratori», fatta anche di contratti stagionali nel turismo e nei servizi in cui la dimensione del «nero» non è irrilevante e le cornici contrattuali scavalcate da illegalità e difese malamente dai pochi controlli. La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Paghiamo anni di redditi al palo bloccati (anche) da una produttività stagnante e il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha. Il problema è che si tratta di una tara storica. Come agire sul potere d’acquisto per alleviare le difficoltà di chi «vive sotto i 35 mila euro all’anno» però è oggetto di dibattito da sempre. Il ritardo storico I salari reali in Italia, secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i #salari e i #prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la #produttività. La quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. Il nanismo delle nostre imprese Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo». #flpnews
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Italia: Un confronto economico preoccupante Condivido post e articolo ricchi di Interessanti spunti Secondo l'ultimo studio dell'#OCSE, l'Italia rimane l'unico paese dell'UE dove i salari reali, ovvero quelli adeguati al costo della vita, sono diminuiti rispetto al 1990. Con un calo del 7,3% solo nel 2022, si evidenzia una crisi del potere d'acquisto significativa. Mentre altre economie europee registrano incrementi salariali, l'Italia lotta con una produttività stagnante e un mercato del lavoro frammentato da contratti precari e scarsa innovazione nelle #PMI. Questo scenario solleva questioni urgenti sulla #sostenibilità del modello economico italiano e sulle #politiche necessarie per rivitalizzare la crescita e il benessere dei lavoratori. È tempo di riflettere seriamente su come invertire questa tendenza negativa e garantire un futuro economico più equo e prospero. #EconomiaItaliana #Salari #Produttività #MercatoDelLavoro #Innovazione
In Italia si guadagna meno che nel 1990, è l’unico paese Ue dove i salari reali sono scesi: il grafico Il grafico dell’Ocse sul raffronto tra il costo della vita e i salari nei principali Paesi europei: Italia con variazione negativo e fanalino di coda Un interessante articolo su #CorrieredellaSera “L’Italia è inviluppata da anni in una storia di salari troppo bassi, come plasticamente evidenziato dalla classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90. D’altronde c’è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso, spesso finisce travolto — è il caso dei giovani — nel girone dantesco dei tirocini, composta da «due milioni di lavoratori», fatta anche di contratti stagionali nel turismo e nei servizi in cui la dimensione del «nero» non è irrilevante e le cornici contrattuali scavalcate da illegalità e difese malamente dai pochi controlli. La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Paghiamo anni di redditi al palo bloccati (anche) da una produttività stagnante e il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha. Il problema è che si tratta di una tara storica. Come agire sul potere d’acquisto per alleviare le difficoltà di chi «vive sotto i 35 mila euro all’anno» però è oggetto di dibattito da sempre. Il ritardo storico I salari reali in Italia, secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i #salari e i #prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la #produttività. La quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. Il nanismo delle nostre imprese Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo». #flpnews
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In Italia si guadagna meno che nel 1990, è l’unico paese Ue dove i salari reali sono scesi: il grafico Il grafico dell’Ocse sul raffronto tra il costo della vita e i salari nei principali Paesi europei: Italia con variazione negativo e fanalino di coda Un interessante articolo su #CorrieredellaSera “L’Italia è inviluppata da anni in una storia di salari troppo bassi, come plasticamente evidenziato dalla classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90. D’altronde c’è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso, spesso finisce travolto — è il caso dei giovani — nel girone dantesco dei tirocini, composta da «due milioni di lavoratori», fatta anche di contratti stagionali nel turismo e nei servizi in cui la dimensione del «nero» non è irrilevante e le cornici contrattuali scavalcate da illegalità e difese malamente dai pochi controlli. La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Paghiamo anni di redditi al palo bloccati (anche) da una produttività stagnante e il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha. Il problema è che si tratta di una tara storica. Come agire sul potere d’acquisto per alleviare le difficoltà di chi «vive sotto i 35 mila euro all’anno» però è oggetto di dibattito da sempre. Il ritardo storico I salari reali in Italia, secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i #salari e i #prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la #produttività. La quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. Il nanismo delle nostre imprese Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’Università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo». #flpnews
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Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Poi ci si domanda perché i giovani emigrano all'estero e in Italia nascono pochi bambini....! https://lnkd.in/dDuzEC47
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IN ITALIA SI GUADAGNA MENO CHE NEL 1990: E' L'UNICO PAESE DELL'UNIONE EUROPEA DOVE I SALARI REALI SONO SCESI. La Redazione Economia del Corriere della Sera dedica oggi un interessante articolo alla riduzione dei salari reali, che riguarda in modo particolare nel nostro Paese le giovani generazioni. Quando si parla di calo della natalità, è inevitabile individuare in questo fenomeno uno dei fattori principali che impediscono o ritardano il desiderio di genitorialità delle giovani coppie. Riporto di seguito alcuni stralci dell'articolo e allego il grafico, giustamente definito impietoso. "La rincorsa prezzi-salari — che innescherebbe una preoccupante spirale inflattiva che ricorda tanto gli anni della «scala mobile» — è da evitare, certo. L’Italia però è inviluppata da anni in una storia di salari troppo bassi, come plasticamente evidenziato da questa classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90 (vedi grafico allegato). D’altronde c’è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso, spesso finisce travolto — è il caso dei giovani — nel girone dantesco dei tirocini." "La vera misura di quanto guadagnano le persone è quello che in economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie il Paese in cui i salari reali sono diminuiti di più. Meno 7,3% solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie. Paghiamo anni di redditi al palo bloccati (anche) da una produttività stagnante e il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha. Il problema è che si tratta di una tara storica." "I salari reali in Italia, secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. L’alta inflazione generata dalla guerra in Ucraina e della veloce ripresa post Covid aggrava un problema che avevamo già. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i salari e i prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la produttività. La quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività."
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L’Ocse: “L’Italia è il Paese con il maggior calo dei salari reali tra le grandi economie”. E richiama il governo sull’Assegno di inclusione: “Estendere l’accesso all’Adi a tutta la popolazione a rischio di povertà e con limitate prospettive di lavoro permetterebbe di proteggere i più vulnerabili concentrando le limitate risorse per la formazione sulle persone più vicine al mercato del lavoro" https://lnkd.in/dEhffdZ6
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L’occupazione in Italia cresce a livelli record. Ma il grande problema restano i salari. Nonostante il rallentamento della spinta inflazionistica, il nostro Paese è quello che ha registrato il maggior calo dei salari reali – quelli parametrati al costo della vita – tra le maggiori economie dell’Ocse. Che vuol dire, in pratica, perdita del potere d’acquisto per i lavoratori italiani.
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"L’Italia è stata l’unica tra le economie avanzate ad avere registrato un calo degli #stipendi reali tra il 1990 e il 2020: -2,9%. Successivamente, le cose sono andate di male in peggio: alla fine del 2022, un altro -7,5% rispetto a prima della #pandemia. I lavoratori italiani perdono #poterediacquisto da diversi decenni e non s’intravede all’orizzonte alcuna svolta positiva, malgrado l’aumento della #occupazione ai massimi storici. Il calo degli stipendi è stato sempre spiegato perlopiù dalla bassa crescita della #produttività del #lavoro. E’ vero fino ad un certo punto. E’ vero anche il contrario. Per dirla con una battuta inglese, 'paga noccioline e avrai scimmie a lavorare per te'. La bassa #occupazione, specie al Sud, si deve anche all’incapacità delle imprese di pagare i #lavoratori con #retribuzioni eque. Il lavoro non è appetibile; in particolare, molte donne non trovano conveniente rinunciare ad occuparsi della #famiglia per prendere quattro lire al mese. Alzate gli stipendi! E così che funziona il #mercato. I #prezzi determinano l’equilibrio tra #domanda e #offerta. Fa parte della mentalità italiana pensare che debbano adeguarsi solamente i lavoratori alle condizioni del #mercato, non anche gli imprenditori. In altre parole, si punta solo al calo degli stipendi per assumere. Quando c’è carenza di lavoratori, invece, non si suppone che debba accadere il contrario. E anche questo #pregiudizio è figlio delle basse dimensioni aziendali. Manca una #mentalità dinamica e si frigna anche troppo. Non stupiamoci se restiamo in fondo alle classifiche internazionali per tasso di #occupazione, #innovazione e #crescita."
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Italia, stipendi “reali” fermi da decenni. A conti fatti, dove si può vivere meglio? Dagli anni Novanta, i nostri salari reali si sono inceppati al pari della produttività stagnante. L’inflazione degli ultimi mesi è stata una ulteriore mazzata. Ma se si considera il costo della vita, quali sono i Paesi migliori? Non è tutto come sembra. Un interessante articolo di Raffaele Ricciardi su #LaRepubblica “MILANO – #Stipendi italiani al palo, ma considerando il #costo della #vita chi sta meglio di noi? Se si prende l’ultimo Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing, che si basa su dati #Ocse, si vede che (anno 2022) la retribuzione media annua in Italia rimane una delle più basse dell’area e d’Europa. Ragionando in termini di parità di potere d’acquisto, con 44.893 dollari siamo al 21esimo posto tra i 34 Paesi osservati dall’Organizzazione. La media è a 53.416 dollari e siamo più vicini al Messico (ultimo) che all’Islanda prima. “Dei 17 Paesi dell'Eurozona inclusi nel grafico - dice il Salary Outlook – l'#Italia si colloca al 10° posto, al di sotto di Paesi come il Lussemburgo, la Germania e la Francia, mentre la Grecia è l'ultima in classifica (25.979)”. E poco dopo che "i #salari italiani sono strutturalmente bassi: tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%”, la metà della crescita europea (23%). E se si ragiona in termini di potere d’acquisto, ecco il testacoda con l’Italia che va in rosso del 2% mentre la Ue cresce del 2,5%. I salari reali dal 2000 per l’Italia, così come per la Spagna, “sono rimasti allo stesso livello negli ultimi 23 anni (rispettivamente -0,9% e -0,3%). La Lituania ha registrato la crescita più elevata, pari al 156% (praticamente triplicando il salario medio), mentre alcuni Paesi presi come riferimento e spesso paragonati all'Italia, ovvero Francia e Germania, mostrano tassi di crescita rispettivamente del 21% e del 14,8%”. Questi problemi strutturali si calano poi nella vita reale delle persone. E allora bisogna cioè “pesare” i salari per il costo della vita. “Salvo pochissime eccezioni, si può affermare che, sebbene appaia evidente una relazione tra i due indicatori, ogni paese ha una propria particolare dinamica, diversa da quella del nostro paese”, si legge nel documento. Francia, Spagna, Regno Unito e Germania offrono invece tre dinamiche differenti. Tutte, comunque, si posizionano alla nostra destra cioè con un bilancio vantaggioso. “In Francia, i due indici sono abbastanza allineati, quindi se in proporzione i salari netti sono più alti che in Italia, il costo della vita è altrettanto più alto; in Spagna, i salari netti di poco inferiori ai nostri sono più che compensati da un costo della vita sensibilmente più basso che da noi; infine, in Germania e nel Regno Unito, i salari sono più elevati rispetto a quelli dei lavoratori italiani, ma il costo della vita è solo di poco superiore al nostro”.” #flpnews Seguimi su LinkedIn: https://lnkd.in/dgUYdM5s.
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Negli ultimi anni, il dibattito sulle retribuzioni in Italia ha assunto un ruolo centrale, sia per comprendere l’esodo di giovani talenti che per analizzare la reale capacità di spesa degli italiani rispetto ad altri Paesi europei. Il rapporto OCSE 2023 evidenzia una retribuzione lorda media di 44.893 euro, ma il nostro Paese si posiziona solo al 21° posto su 34, ben al di sotto della media OCSE di 53.416 euro. Anzi secondo i dati PPPs, che sono quelli depurati dal diverso potere d'acquisto delle monete in dollari abbiamo: Germania = 65.719 $ Francia = 59.087 $ Spagna = 51.336 $ Italia = 48.874 $ Retribuzioni PPPs - Anno 2023 Fonte OECD (Average annual wages per full-time equivalent dependent employee) Il confronto internazionale diventa più significativo considerando le retribuzioni nette e il costo della vita. Servizi pubblici inefficienti, pressione fiscale elevata e un mercato del lavoro poco attrattivo aggravano il quadro. Nonostante il nostro patrimonio culturale e naturale unico, è urgente un intervento strutturale su produttività, servizi e fiscalità per trattenere i talenti e attrarne di nuovi. Il futuro dell’Italia dipende dalla capacità di affrontare queste sfide con visione e determinazione, per garantire ai cittadini una qualità della vita adeguata e un’economia competitiva. MANAGERITALIA; Marco Ballarè; Simone Pizzoglio; Monica Nolo; Antonella Portalupi; Enrico Pedretti; Dario Donato; nicola quirino
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Da counsellor ti faccio sentire al sicuro nella tua relazione con te stesso* | Da supervisore affianco colleghi nell’espressione delle loro capacità | Da terapeuta VIC apro la tua immaginazione alle tue risorse.
10 mesiNel frattempo, gli stipendi dei cosiddetti politici sono aumentati...