La moda brucia petrolio
Va detto che già nel 2020 il Parlamento europeo stimava che l’industria della moda fosse responsabile del 10% delle emissioni globali di anidride carbonica, più dei voli internazionali e delle spedizioni marittime messi insieme. E il boom del fast fashion cinese, guidato da società in grande crescita come Shein e Temu, sta aggravando la situazione.
Non è un caso che il 14 marzo scorso la camera bassa del Parlamento francese abbia approvato una legge che prende di mira proprio il modello di business di queste aziende, con una misura volta a compensare l’impatto ambientale dell’industria del fast fashion, vietando la pubblicità di alcune aziende e penalizzandole con una tassazione che prevede incrementi annuali crescenti fino a 10 euro per capo di abbigliamento entro il 2030.
A giudicare dai numeri di Shein e Temu, però, non sarà semplice arginarle. Shein è l’app più scaricata in Europa, nel settore dell’abbigliamento. Alle origini di questo colosso, che sta accarezzando l’idea di quotarsi a New York, c’è la società Nanjing Dianwei Information Technology, fondata nel 2008 a Nanchino. L’idea iniziale era occuparsi principalmente di abiti da sposa, ma nel 2012 uno dei fondatori, Chris Xu, ha deciso di puntare tutto su un nuovo brand di abbigliamento femminile acquistando il dominio Sheinside.com, poi ribattezzato Shein nel 2015. La sede centrale si trova oggi nel sud della Cina, nella metropoli di Guangzhou, dove si concentra la maggior parte delle fabbriche di fornitori.
Oggi i profitti di Shein sono saliti a 2 miliardi di dollari e nel 2023 tramite il suo sito sono state vendute merci per oltre 45 miliardi di dollari, secondo il Financial Times.
Le raffinerie cambiano rotta
Aziende come Shein e Temu sono fra le ragioni per le quali diverse raffinerie private cinesi, come Rongsheng Petrochemical e Hengli Petrochemical, hanno speso miliardi per costruire nuovi impianti specializzati in prodotti chimici come l’etilene. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, circa il 90% dell’incremento della domanda di petrolio in Cina tra il 2021 e il 2024 proviene dalle materie prime chimiche. Mentre i consumi di benzina e persino di carburante per aerei aumentano appena.
Secondo Bloomberg la produzione cinese di fibre sintetiche è aumentata di 21 milioni di tonnellate tra il 2018 e il 2023, abbastanza per filare più di 100 miliardi di magliette all’anno. Molte di queste costano sui siti del fast fashion meno di 5 euro. Il consumo spropositato di petrolio, così come le emissioni di anidride carbonica, sono diretta conseguenza.
I vestiti in discarica
Il tutto mentre nei luoghi più remoti del mondo, come il deserto di Atacama (nel nord del Cile), o lungo le spiagge del Ghana, crescono discariche a cielo aperto dove vengono ammucchiati magliette, jeans e indumenti invenduti per centinaia di acri.
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