Post di Samuele Papiro

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Fisioterapista, Master in Medical Humanities

I corpi non si aggiustano, si curano. Esistiamo nel tempo e nello spazio, mutando, donando senso e creando significati. Essendo un processo, le logiche di osservazione, valutazione e intervento non possono essere meccanicamente lineari ma rispondono all’approccio sistemico e narrativo, in cui emergono funzionamenti non riducibili alla somma delle parti e situati nel trascorrere del tempo.. In questa prospettiva teorica, gli assunti di Mente e Corpo decadono: non siamo computer con dei software, né corpi sulla scena da aggiustare come automi. Il punto di vista più coerente è nell’intercorporeità. Il soggetto è visibile solo all’interno delle relazioni che genera, di cui è parte. La prima distinzione fenomenologica quando si parla di corpo è tra Korper e Leib. Il primo è il corpo anatomico, quello che si studia sui libri; il secondo è il cosiddetto corpo_mondo. Nei processi di cura, lo spazio tra il corpo del curante e del curato diventa un campo, un mondo nuovo. Tale corpo può essere allargato a tutto l’insieme dei curanti. Quel luogo di significato è dove avvengono atti condivisi, ma anche immagini, suoni, idee, proposte e motivazioni. In una prospettiva embodied, tale zona è ricca del vissuto corporeo soggettivo narrato al fine di quel gesto, idea proposta, esercizio, eccetera. Se non è così, la prospettiva rimane soggetto-oggetto dove viene esaltata la tecnica e l’abuso. L’efficienza senza relazione è potere che interviene e non coopera, non condivide ma separa. La salute non è qualità ma simulacro. La cura è un processo morale che richiede la messa in gioco del curante, che deve conoscere sì le tecniche ma soprattutto se stesso, mettendosi in una posizione di crescita continua, senza illudersi di sapere a priori chi è e cosa fa. Questa posizione etica è determinata da una visione di mondo precisa, che è relazionale, sistemica, incarnata – dove il potere è utilizzato per migliorare la qualità di singoli e della comunità. Essere individui non significa essere separati, ma indivisibili. All’aumentare della nostra separazione, aumenta l’idea di avere una mente, di averla separata da un corpo, di avere questa mente chiusa nella scatola cranica e di farla corrispondere al nostro pensiero, in particolar modo quello che crediamo razionale. Questa prospettiva scissa e dissociata è una visione malata e che porta ad azioni, verso noi stessi e gli altri, che non creano nè qualità né salute. La mente è tra di noi, ciascun soggetto ne ha riflesso anche in una sensazione interna, ma è parziale. Dobbiamo provare a trovare cosa osservare insieme, perché abbia senso e significato. Osservare, valutare e agire insieme porta a qualità e salute. Un corpo separato dagli altri è un Korper, è morto. corponarrante.com

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