ADOLESCENZA E DISTURBI ALIMENTARI
FEDERICA LIBERATI

ADOLESCENZA E DISTURBI ALIMENTARI FEDERICA LIBERATI

In questo mio piccolo elaborato, tenterò di affrontare le motivazioni che possono condurre un adolescente, solitamente di sesso femminile, ad un disturbo del comportamento alimentare, in un contesto educativo del tutto ordinario.

Come evidenziato nel testo “adolescenza e compiti di sviluppo” trattasi di un periodo critico e delicato, e l’anoressia e la bulimia nervosa rientrano nella più ampia categoria dei disturbi alimentari , disturbi che, pur essendo conosciuti a livello scientifico da secoli negli ultimi tempi si sono presentati in costante aumento, imponendosi come problema socio-culturale.

Solitamente l’anoressia comincia con una dieta dimagrante avviata senza un controllo medico, accompagnata dalla percezione di essere comunque “troppo grassa”: apparentemente, dice il nostro testo, tale comportamento sembra essere influenzato da stereotipi pubblicitari e sociali, in realtà segnala disagi psichici profondi ( in cui spesso sono coinvolti i legami familiari vissuti dalla ragazza) orientati verso una corporeità percepita in modo conflittuale eccessivo.

Pietropolli Charmet (2000) parla a questo proposito di “ipermentalizzazione” del proprio corpo da parte dello adolescente, che si traduce in una esagerata dedizione ad esso, alla sua cura, a quanto avviene al suo interno, attenzione eccessiva che arriva ad invadere anche il livello psichico e a proporsi come unica modalità di attività mentale ed affettiva. Si esiste a partire da quanto si pesa e da come gli altri notano e commentano il lavoro di dimagrimento messo in atto: controllando il proprio corpo , l’adolescente pensa di poter controllare anche il mondo che la circonda di cui ha forte paura.

La bulimia, pur avendo caratteristiche specifiche, presenta il medesimo sintomo dell’anoressia, un’ossessione per il cibo e il peso corporeo che viene usata in modo difensivo per evitare di affrontare temi e conflitti legati alla costruzione della propria identità personale.

Per entrambi i disturbi il percorso di integrazione identitaria in atto devia da un progetto psicologicamente e culturalmente adeguato, e intraprende direzioni caratterizzate da frammentarietà e insicurezza riflettendo elementi di confusione presenti in un quadro culturale più ampio e complesso, in cui la donna è chiamata a rintracciare il proprio ruolo e la propria identità.

Anoressia nervosa e bulimia nervosa: quali rapporti con il proprio corpo

L’anoressia nervosa è un fenomeno in costante aumento, colpisce maggiormente le donne, è soprattutto una malattia del periodo adolescenziale e compare tra i 14 e i 18 anni; negli ultimi tempi l’età di comparsa è diminuita è può colpire già intorno gli 11 anni.

Gordon (1994) nel suo interessante lavoro, riprende il concetto di disturbo etnico (Devereux 1955) e fa rientrare in questa categoria anoressia e bulimia, al fine di sottolineare ed evidenziare la forte componente culturale e sociale sottesa a tali disturbi, interpretabili come espressione delle contraddizioni e delle ambivalenze a carico dell’identità femminile nella società attuale.

L’anoressia viene comunemente riconosciuta come un disordine dello sviluppo adolescenziale “risultante da una incapacità di far fronte alle richieste evolutive di quel periodo, in particolare al bisogno di sviluppare una identità e un senso di capacità chiaramente definiti” ( Gordon 1994)

Le adolescenti anoressiche spesso si presentano come persone sostanzialmente positive, che nascondono dietro comportamenti adeguati sentimenti di forte inadeguatezza e insicurezza, sentendosi obbligate a compiacere il mondo esterno e cercando di adeguarsi a ciò che viene loro richiesto dall’esterno.

Spesso l’anoressica alterna periodi di digiuno a episodi in cui mangia in modo eccessivo, liberandosi poi con il vomito o l’uso di lassativi , del cibo ingerito.

Tali episodi bulimici si possono presentare nelle adolescenti anoressiche e segnalano uno stato avanzato del disturbo, proponendosi come reazione compensatoria del corpo che si ribella alla mancanza prolungata di cibo.

Le bulimiche presentano anch’esse problemi legati al cibo e alla sua assunzione, come le anoressiche sono ossessionate dall’idea del peso e hanno una visione distorta della propria immagine corporea.

Tale disturbo consiste in assunzioni esagerate di cibo allo scopo di sedare uno stato di ansia che si avverte come insopportabile, seguite da assunzioni di lassativi e digiuni alimentari. Data questa altalenante assunzione di cibo, le bulimiche non perdono peso in modo significativo e mantengono una facciata di “normalità”.

Anche per queste donne il problema è quello di trovare un’integrazione adeguata tra senso di sicurezza personale e bisogno di condiscendenza e compiacenza, presentando un se’ spaccato e diviso.

Come per l’anoressia, anche la bulimia può essere colta come un disturbo legato allo sviluppo: la prima compare però più precocemente, ed è più strettamente collegata a tematiche adolescenziali, la seconda emerge più avanti spesso in relazione all’ingresso nel mondo degli adulti e alle tematiche di separazione e individuazione che tale compito comporta.

Vivere non serve, morire nemmeno

Questo è il titolo di una biografia di una adolescente francese, Mathilde Monaque, la quale di colpo a 14 anni si sente crollare il mondo addosso: smette di mangiare e avverte un vuoto sconfinato dentro di sé, provando indifferenza contro tutto e tutti. Quando l’anoressia, la porta a pesare 38 kg i genitori la ricoverano in ospedale.

Qui Mathilde vuole solo dormire annullarsi e scomparire. Dirà in seguito: “ vivere non serve… morire nemmeno. Per questo non mi sono suicidata.” .

Eppure proprio in quel momento ha inizio il suo lungo cammino verso la guarigione, il viaggio di un anno interno che la porta ad amare la vita. Cosa provocò tutto ciò?

L’ansia di perfezionismo per far contenti gli altri?

Il desiderio di sentirsi amata per ciò che era?

Un’idea sbagliata di purezza?

……..

Un altro esempio può essere quello di Isabelle Caro: modella francese morta a fine 2010, definita come la “bambina che non voleva crescere”.

Una madre che non voleva perdere la figlia, vederla crescere e andare nel mondo. Inizia così la discesa di Isabelle nell’inferno dell’anoressia.

Giornate scandite dalla bilancia, dal calcolo ossessivo delle calorie fino ai primi ricoveri in ospedale “dello scheletro che cammina”.

Anni ritmati dall’oppressione della madre, dall’indifferenza dei medici, dall’inadeguatezza delle strutture e dall’ignoranza di tutti gli altri. Quindi Isabelle soffriva sin dall'età di 13 anni di una grave anoressia nervosa. Nel 2006 arrivò a pesare 25 chili e cadde in coma. Divenne famosa dopo aver posato nuda per una controversa campagna pubblicitaria del fotografo Oliviero Toscani nel 2007. Morì il 17 novembre 2010 dopo circa due settimane di permanenza all' hôpital Xavier-Bichat di Parigi dove era stata ricoverata appena arrivata da un viaggio aereo proveniente da Tokyo; aveva 28 anni e pesava 31 chili. La notizia della morte venne annunciata dalla famiglia soltanto il 29 dicembre successivo. La causa della morte, ufficialmente attribuita ad una generica polmonite, è stata contestata dal padre di Isabelle, Christian Caro, che ha denunciato l'ospedale per omicidio colposo, ritenendolo responsabile di gravi negligenze.

Prima di morire ci rivolse un invito: “ la prossima volta che incrociate per strada una ragazza troppo magra, regalatele un sorriso. Ne ha davvero bisogno”. Il 4 gennaio 2011 la madre di Isabelle, Marie Caro, sopraffatta da sensi di colpa, soprattutto per aver permesso il ricovero della figlia in ospedale, si tolse la vita. Aveva anche scritto anche un libro dal nome La ragazza che non voleva crescere.

Anoressia e sport

Per mentalità anoressica si intende uno scarso amore per il cibo. Può sovrapporsi all’ortoressia quando il cattivo rapporto con il cibo assume toni maniacali di attenzione verso la salute. In molti casi però la mentalità anoressica semplicemente vede il cibo come un puro mezzo di sopravvivenza; in altri casi infine è visto come un vero e proprio pericolo, fino a un rifiuto più o meno totale, arrivando all'anoressia.

Non a caso si sostiene che i disturbi alimentari non sono che il sintomo di una personalità non perfettamente equilibrata e che, per risolvere definitivamente il problema, è necessario modificare in meglio la personalità del soggetto.

Senza voler discutere dei casi clinici più gravi, è sicuramente riscontrabile nella popolazione un sottoinsieme, per fortuna limitato, di soggetti che hanno una mentalità anoressica e che non arrivano a farsi del male semplicemente perché riescono a gestirla abbastanza bene da non andare in crash.

Resta comunque il fatto che la qualità della loro vita ne esce molto penalizzata.

Gli anoressici conclamati sono semplicemente soggetti i cui meccanismi di controllo della loro nevrosi non funzionano e nei quali il problema alimentare esplode.

Da quanto detto, una mentalità anoressica non porta necessariamente all'anoressia, ma non per questo va sottovalutata.

Il cibo e il sesso sono due esigenze fisiologiche, quindi, nel momento in cui il soggetto non è portato verso di esse o ha un problema fisiologico (patologia) oppure psicologicamente sopprime gli istinti.

Può accadere per apparire più belli e quindi avere successo e approvazione (anoressia), ma anche per motivi derivanti dall'educazione, persino per motivi religiosi.

Questi motivi sono quelli che, più o meno consciamente, portano a una limitazione degli istinti.

Mentalità anoressica e alimentazione

Si potrebbe parlare di mentalità anoressica di primo livello.

Il soggetto vuole rimanere magro e adotta una strategia semplice: mangiare poco, evitando molti cibi e senza mai avere eccezioni alimentari.

Questa strategia è comune a molti giovani donne perché sembra ottenere dei risultati: a causa della giovane età, il metabolismo è ancora alto (nell'adolescenza addirittura parte delle calorie introdotte servono all'anabolismo della crescita) e il soggetto resta magro; è talmente convinto della bontà della sua strategia che, a poco a poco, il cibo viene "accantonato", un puro mezzo di sussistenza, senza nessun piacere collegato.

Nella mentalità anoressica di primo livello si possono identificare tratti comuni che elenchiamo in un ordine di gravità crescente.

La mancanza di razionalità – Molte mentalità anoressiche hanno una buona cultura, ma è veramente bassa la percentuale di coloro che hanno una mentalità scientifica, cioè orientata ai numeri. Nei casi meno gravi, la cultura è sufficiente per recepire messaggi corretti e la mentalità anoressica svanisce.

I casi più resistenti sono quelli in cui il soggetto ragiona solo qualitativamente e ciò determina una visione del mondo in bianco e nero, senza toni di grigio (non ci sono i numeri a modulare: o tutto o nulla!) e ciò spiega l'estremismo verso cui tendono.

Risulta pertanto naturale escludere moltissimi cibi perché "troppo calorici", senza comprendere che le calorie introdotte nell'organismo sono il banale prodotto della quantità per la densità calorica.

La presenza di una forte volontà nevrotica e di una bassa forza di volontà anevrotica –

Se vogliamo, la mentalità anoressica è una delle dimostrazioni che parlare di semplice forza di volontà è molto riduttivo; mentre quella nevrotica può essere distruttiva (pensiamo allo stress per raggiungere a tutti i costi un risultato nel proprio lavoro), quella anevrotica è positiva.

Poiché l'anevrotica non è collegata a uno scopo, indica il vero controllo che la persona riesce a esercitare su di sé. Un individuo con forte volontà anevrotica sa benissimo che per perdere il chilo che ha preso gli basterebbe mangiare di meno per qualche giorno, senza ridursi al digiuno.

Nella mentalità anoressica scatta la paura per l'assenza di questo autocontrollo, paura che viene utilizzata dalla forza di volontà nevrotica per impostare un rigidissimo piano che "assicurerà" il raggiungimento dell'obbiettivo.

Con un'analogia, è come se un uomo che fosse ossessionato dalle tentazioni della carne e fosse determinato a vincerle (forza di volontà nevrotica), si evirasse per la paura di non sapervi resistere (bassa forza di volontà anevrotica).

Bassa autostima – In alcuni casi l’autostima è naturalmente bassa (personalità debole), in altri un'autostima da risultato è crollata proprio perché il risultato non è stato raggiunto, per esempio dopo un fallimento in campo sentimentale o lavorativo. In questi casi, più vicini all'anoressia, il controllo del cibo e del proprio peso sono spesso un risultato che tiene in piedi l'autostima ed è quindi molto difficile modificare i comportamenti.

Mentalità anoressica e sport

I messaggi più semplici con cui smontare una mentalità anoressica di primo livello passano attraverso la comprensione di poche e semplici verità:

1. Finché si è giovani, la strategia può funzionare, ma già dopo i 30 anni con il rallentamento del metabolismo, una vita più tranquilla ecc. è praticamente impossibile non mettere su peso, a meno di privazioni alimentari veramente penalizzanti.

2. Le privazioni alimentari, la dieta a vita predispongono ad avere un corpo poco resistente, cosa che penalizza in tutte le attività quotidiane.

3. Il semplice mangiare poco non mette al riparo da altri spauracchi delle adolescenti come per esempio la cellulite o l'invecchiamento.

4. Non è più semplice fare un po' di attività sportiva che permetta di mangiare di più e amare il cibo?

Queste semplici considerazioni riescono a convincere una percentuale di mentalità anoressiche a rientrare nella normalità.

Possono però aggravare il quadro quando sono verità scoperte dal soggetto stesso, senza la guida di una persona equilibrata.

Scatta la mentalità anoressica di secondo livello, quella che, a causa dei primi due punti (ma non degli ultimi due!), aggiunge lo sport a una dieta ferrea. Il confine con l'anoressia si assottiglia sempre di più.

Nella mentalità anoressica di secondo livello è possibile rilevare fattori comuni nel modo in cui lo sport viene gestito. Vediamo i principali.

Quantità – Il soggetto svolge una quantità ingiustificata di attività sportiva. Poiché per la salute non è necessario ammazzarsi di sport, resterebbe un'unica giustificazione: la prestazione. In realtà le prestazioni di questi soggetti non sono per nulla eccezionali (cioè non sono campioni, professionisti e neppure agonisti) e, paradossalmente, l'enorme mole di sport che svolgono non viene finalizzata alla prestazione sportiva, essendo già completamente dirottata verso il dimagrimento (a volte in associazione con la cura estetica del corpo, cioè con la tonificazione). Due ore di palestra per un soggetto non agonistico sono un reale campanello d'allarme, soprattutto se sono diversificate su più attività e se poi magari sono seguite da attività all'aperto.

Resistenza – A causa della grande mole di attività svolta, il soggetto privilegia la resistenza all'intensità del gesto. A differenza che nel vero sportivo di resistenza, anche quando sembra arrivare a livelli interessanti, il suo livello di fatica non porta mai all'esaurimento o allo sfinimento perché ciò che conta è comunque conservare la possibilità di agire più a lungo, di lavorare ancora. Metabolicamente, il soggetto è spesso in riserva di glicogeno e la sua capacità di "andare a grassi" lo rende particolarmente lento, soprattutto quando la condizione dura da anni.

Insoddisfazione – Qualunque risultato raggiunto viene visto solo come un punto di partenza, mai come uno d'arrivo.

Insufficienza – A causa di una bassa autostima, si cerca spesso l'approvazione dell'istruttore o del compagno di allenamenti, sia per non sbagliare sia per ottenere una qualche gratificazione temporanea.

Idea dominante – All'interno dell'ambiente in cui si svolge l'attività fisica (palestra o gruppo sportivo), l'idea dominante del dimagrimento è spesso traslata sugli altri, dando per scontato un'importanza assoluta (cioè per tutti dovrebbe essere così!) dell'obbiettivo che si vuole raggiungere.

Spesso appare evidente l'enorme energia mentale che il soggetto spende nel cercare, magari con il confronto con gli altri, le strade più produttive per non fallire, tanto che può essere isolato o trattato con diffidenza.

L'idea dominante può essere così forte da far perdere lucidità nell'analisi dei principali fattori sportivi, arrivando a grossolani errori.

L'alimentazione – Non viene vista in funzione dello sport, ma è lo sport che viene visto come pre-requisito al cibo.

Mentre nel salutista la frase "faccio sport per mangiare" viene detta con ironia e con la consapevolezza che significa "faccio sport per mangiare un po' di più", nella mentalità anoressica manca sempre "quel po' di più".

Quali sport?

Prevalentemente ginnastica ritmica, danza, corsa, mezzofondo, ciclismo … dove la malattia raggiunge il 90% dei casi.

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