Il Lato Oscuro della paura
Ninna nanna, ninna oh,
questo bimbo a chi lo do?
Se lo do all'uomo nero,
se lo tiene un anno intero.
(Ninna nanna popolare)
Una comunità si definisce come “un insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni”, tuttavia è un termine che rimane solo formale se non implica una definizione del sistema sociale in forme concrete di identità, auto-organizzazione, inclusione, solidarietà e cooperazione.
Tale prospettiva, in "tempi di pace", non è percepita come prioritaria e comporta spesso rapporti interpersonali "distanti" e connessioni "labili"; tuttavia - durante le crisi - si pone il problema di fornire una risposta comunitaria, cosa che implica un drastico cambiamento nei meccanismi dello stare insieme, ovvero ripensare la nostra posizione (e le nostre abitudini) nei confronti dell'altro, identificato come "qualsiasi cosa diversa dal Se".
Il fatto è che l'idea stessa di una convivenza, magari forzata da eventi incontrollabili, con la diversità, non solo mette a disagio: fa paura.
Ora, se l'ignoto, è sorgente di un timore "naturale" - qualcosa che non conosco può mettere a rischio la mia integrità - la componente culturale imperante deforma tale emozione verso posizioni di
contrasto: l'alienità che posso identificare e combattere è la causa del problema e insidia ciò io possiedo.
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L'antropologo Marc Augé ha così identificato il carattere cumulativo e globale della paura nella società contemporanea: attraverso le forme asettiche della comunicazione passiva o intangibile si è accentuato il senso di distacco dell'individuo dal sistema sociale a favore di un sistema più simbolico che idealizza una somma di ansie diverse, dal senso di esclusione alla crisi economica, dal cambiamento ambientale all'emergere di conflittualità globali.
Ecco che il razzismo e la xenofobia, diventano non solo un problema latente, ma campanello d'allarme, patologie (se non devianze vere e proprie) che fanno riaffiorare il mito dell’uomo nero, latente nel sistema educativo laddove il binomio fiducia/pericolo siano perpetuati come forma di controllo e non come normali precauzioni del rischio.
Così, quando in tempi di crisi la paura è un sentimento diffuso e pervasivo, l'altro (e con questo termine mi riferisco anche solo al vicino di casa) diviene elemento disorientante e le diversità elemento non di ricchezza e integrazione, ma di pericolo per l'integrità.
Questo meccanismo porta alla distruzione della comunità diffusa a favore delle comunità chiuse alla collaborazione, rendendo ancora più difficile trovare una risposta efficace alla crisi da affrontare.
E, sempre così facendo, il "rischio esogeno" (vero) viene paradossalmente temuto meno (perché non si può controllare singolarmente) che non il "rischio endogeno"; in altre parole temiamo più l’aggressione da parte del diverso da noi e, anzi, ci sentiamo in diritto di un'azione violenta preventiva, piuttosto che trovare una soluzione comunitaria al problema vero.
Sostengono gli antropologi e gli psicologi che tale paura dell'altro (inteso non esclusivamente in senso etnico, ma anche politico, sessuale o religioso) si può contrastare, nei suoi effetti destrutturanti, favorendo la conoscenza, l'educazione alla tolleranza e la ricerca di valori condivisi.
Difficile? Affatto desiderabile? Impossibile?
Una cosa è certa: in emergenza, fare comunità, ovvero ricercare attraverso il dialogo, il rispetto e la collaborazione, una risposta collettiva, è l'unica soluzione possibile...
Ovvero, parafrasando ancora una volta il film di Oliver Stone, "Ogni maledetta domenica": o risorgiamo come comunità o saremo annientati individualmente dal (lato oscuro) delle nostre paure.