Il sogno della label
Quando la promozione indipendente è più efficace di una label nella musica classica.
In un mercato musicale che ha visto crollare le vendite dei CD e impennarsi le piattaforme digitali, molti musicisti classici si trovano a confrontarsi con una realtà diversa da quella che ci si aspetterebbe: pubblicare con una label non significa necessariamente “arrivare,” né ottenere quel riconoscimento che tradizionalmente si associa a un marchio discografico.
Per anni, etichette come Decca, Deutsche Grammophon, Sony, sono state il sogno, il top assoluto. Icone del settore, sinonimo di eccellenza, garanzia, distribuzione su larga scala. Parliamo di etichette nate a cavallo tra Ottocento e Novecento, costruite su un modello che premiava i migliori, selezionava artisti con una cura estrema, creando un’onda lunga di aspettative per ogni nuovo nome in catalogo. E offrivano tutto il pacchetto: produzione, distribuzione, qualità e promozione.
Oggi invece, dietro la firma con una label, si nascondono spesso condizioni e oneri non indifferenti. Con il digitale che ha drasticamente ridotto le vendite fisiche e tagliato i budget, molte case discografiche hanno rivisto i loro modelli. Sempre più spesso, invece di produrre, forniscono servizi, spostando sull’artista i costi di produzione, del master, delle copie fisiche, a volte persino con l’obbligo di cessione dei diritti sul master per anni. In pratica, l’artista finisce per finanziare da sé il proprio disco, senza però mantenere il controllo completo.
Eppure, la legittimazione dell’etichetta è talmente idealizzata che molti sono disposti a tutto pur di avere un logo, anche se poi quella label non investe davvero nel progetto ma vende più che altro un servizio e con un supporto promozionale minimo.
Questa dinamica riflette una fragilità che è alla base del percorso di tanti artisti. Per un musicista classico – e un po' per tutti, va detto – la ricerca di conferme esterne è potente e la label diventa così un vero oggetto del desiderio, il simbolo di una legittimazione che culturalmente ha un peso non indifferente. Il risultato è che, pur di pubblicare un disco con un’etichetta, si arriva a investire cifre importanti, comprare copie, cedere diritti, tutto pur di potersi presentare come parte di quel mondo.
Nel pop, la parola “indipendente” ha oggi quasi una connotazione eroica. Gli artisti pop l’hanno fatta loro, si auto producono e ne vanno fieri, perché vedono i risultati: grazie ai social e allo streaming, costruiscono il proprio pubblico e una carriera, conquistando uno spazio autentico.
La musica classica, invece, è più lenta ad accettare questo cambiamento, rimanendo ancorata all’idea del marchio come conferma di valore. Ma le piattaforme digitali rappresentano oggi anche per il mondo classico una risorsa potentissima, un’opportunità di sviluppare una relazione diretta con il proprio pubblico, costruire un percorso libero e mantenere i diritti sul proprio lavoro. Non è poco. Questa scelta potrebbe offrire esattamente quello che ogni artista cerca: uno spazio riconoscibile che non richiede compromessi.
Ecco perché, quando si sceglie di collaborare con una label, è essenziale un pensiero strategico, concreto, che parta dai vantaggi reali in termini di visibilità, distribuzione e dalla rete che può offrire.
Avere una label non basta più. La realtà del successo oggi è molto più complessa e, nel panorama classico contemporaneo, la carriera di un musicista è questione di costruire relazioni dirette con chi ascolta, trovare il proprio pubblico, comunicare in modo sincero.6La label non è la via, ma uno strumento che va valutato con attenzione e realismo.
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