A margine di un dibattito su Tangentopoli e il ruolo del difensore

E' il trentennale della famosa indagine Mani Pulite, o Tangentopoli che dir si voglia (grazie a Piero Colaprico di Repubblica per il termine), e rievocazioni, celebrazioni e critiche si sprecano.

Mi ha colpito una "polemichetta", per dirla alla milanese, tra il Prof. Fiandaca e l'amico e collega Massimo Dinoia. La trovate qui https://sistemapenale.it/it/opinioni/fiandaca-tangentopoli-trenta-anni-dopo e qui https://sistemapenale.it/it/opinioni/dinoia-tangentopoli-trenta-anni-dopo-la-parola-alla-difesa-degli-avvocati. Inevitabile che con il tema ritornasse l'annosa polemica sugli avvocati "accompagnatori".

Dico subito che non concordo in toto né con le critiche del Prof. Fiandaca, né con la "difesa" di Massimo Dinoia. C'è del vero e del giusto in entrambi i punti di vista, ma per farvi capire il mio vi devo raccontare una storia.

Ho avuto il privilegio di vedere il "metodo Di Pietro" prima che nascesse Tangentopoli, con l'ormai dimenticato processo detto delle "patenti facili". Si trattava di un'indagine per corruzione e altro che riguardava titolari di scuole guida accusati di aver pagato "stecche" a funzionari della Motorizzazione Civile di Milano per far promuovere i propri iscritti. Uno degli indagati era appunto un titolare di autoscuola, assistito dall'allora mio dominus (io ero solo un praticante); il nostro era un personaggio decisamente "ruspante" che, intercettato, si era anche lasciato andare ad apprezzamenti non proprio lusinghieri nei confronti di Di Pietro. L'indagine seguiva ancora il vecchio codice di procedura, quindi non solo il PM aveva direttamente potere di arresto, ma prima dell'interrogatorio con il magistrato il difensore non aveva diritto di parlare con il proprio assistito. Ad un certo punto Di Pietro emette un poderoso mandato di cattura nei confronti di decine di funzionari della Motorizzazione Civile e di titolari di autoscuola, tra cui il nostro. Il giorno stabilito, il mio dominus ed io andiamo a San Vittore per l'interrogatorio. Già all'ingresso nella saletta apposita si vedeva che il nostro cliente era molto meno "ruspante" di prima. Arriva Di Pietro con i suoi assistenti, si siede, prende in mano un bicchiere e un portamatite, si rivolge al nostro e gli dice papale papale: "allora signor ics, qui c'è il mio mandato di cattura, il suo avvocato le può spiegare che lì dentro ci sono prove più che sufficienti per farla condannare; lei ora deve decidere se mettersi nel bicchiere dei buoni (il bicchiere) o quello dei cattivi (il portamatite); ovvio che io ne terrò conto ai fini della sua libertà; ah, non mi dica cose che già so, non mi interessano, mi deve dire cose che ancora non so; si consulti con il suo difensore". Si alza e se ne va. (Pensiero dello stupido praticante: ma è una violazione della procedura: l'arrestato non può parlare con l'avvocato prima dell'interrogatorio!).

Voi che avreste fatto? Il mio dominus, originariamente molto combattivo, allarga le braccia, conferma la solidità delle prove d'accusa e dice al nostro cliente: "io non posso dirle cosa fare, lo deve decidere lei; il messaggio è forte e chiaro, se lei vuole uscire di galera non deve solo confessare, ma raccontare anche cose che non sono ancora emerse". Naturalmente il nostro cliente "se la cantò" di brutto.

Ecco, ha ragione Massimo Dinoia: non puoi prevaricare il tuo cliente con quello che tu hai in testa; puoi e devi spiegargli qual'è la situazione, ma la scelta può essere solo sua. Anche a costo di apparire come un molle, uno che non combatte. Noi siamo solo avvocati; che già è cosa complicata!

Filippo Capuano

Senior Captain B777 (Retired) Alitalia - Società Aerea Italiana S.p.A.

2 anni

Che Paese! Una continua scoperta... non ci si annoia mai...

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