Risalire la fiumara del nuovo cammino

l’aspra fiumara del destino

E.Argiroffi

Risalire la fiumara del nuovo cammino l’aspra fiumara del destino E.Argiroffi

Emilio Argiroffi, poeta corale e visionario

Dice di lui Maria Luisa Spaziani: «uomo politico inesauribile parlatore, brillante narratore conviviale, amante delle sorprese e dei paradossi, e lettore raffinato di quanto di meglio vi sia da leggere.»

Avevo poco più di vent'anni quando conobbi personalmente Emilio Argiroffi, in occasione del Premio Casentino, a Poppi (Arezzo), presieduto da Carlo Bo. Ricordo che appresi delle sue origini siciliane e ne fui piacevolmente sorpresa soprattutto quando scoprii di conoscere un suo cugino omonimo, di Mandanici (Messina). Ebbi la fortuna di entrare in amicizia con lui, stabilimmo anche un rapporto epistolare e in quel periodo incominciai a raccogliere segretamente i miei versi in un fascicoletto. Da allora divenne il mio maestro, ricco di insegnamenti e di umanità. Custodisco gelosamente le copie omaggio delle sue pubblicazioni con la dedica dalla grafia svolazzante, decisamente fuori moda nell'era digitale, a metà fra il segno e la scrittura, il graffito, il disegno e la secentesca missiva e mi lascio contagiare ancora, come allora, dal magma incandescente dei suoi versi.

Un percorso di vita emblematico quello di Emilio Argiroffi, cuore di cantastorie, dalla ricchissima produzione in versi all’impegno civile, una delle figure più alte della poesia italiana della seconda metà del Novecento. Siciliano dagli echi tomasiani per nascita (Mandanici, 2 Settembre 1922) e derivazione etnica, inseguito da rovelli mitteleuropei per parte di madre, calabrese per adozione rivoluzionaria (Taurianova, 28 Maggio 1998). Si trasferì in Calabria nel 1949. Umanista, poeta, pittore, autore di numerose raccolte di poesie per le quali ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti, fu anche finalista al Premio Viareggio con la silloge I grandi serpenti miei amici (Casa del libro); medico molto amato e apprezzato, soprattutto dalla povera gente, dai braccianti agricoli, per i quali c’era sempre. Ha curato la regia di venti brevi documentari sui paesi della provincia reggina. Senatore del Partito Comunista Italiano per tre legislature, fu relatore della legge sull’inquinamento da rumore e sulla istituzione degli asili nido pubblici, strumento importante, questo, che consentì a milioni di italiani di poter garantire un’educazione pubblica ai propri figli – nell’Italia di quel periodo erano in pochi a poter permettersi di dare istruzione ai propri bimbi. Argiroffi fu sindaco di Taurianova dal 1993 al 1997. Tutti, anche gli avversari politici, riconoscevano l’estensione della sua cultura, la consistenza umana dei suoi contenuti, la determinazione con cui si dedicava alle battaglie per l’affermazione dei diritti umani, per il riscatto del mezzogiorno e per affrancare l’uomo dalla misera e dalle dittature.

Come disse Giuseppe Neri, nella prefazione di una sezione della silloge Gli usignoli di Botonusa, una poesia come quella di Argiroffi non genera dal nulla, ma ha dietro di sé l’esperienza di Majakoswki, di Paul Éluard e delle avanguardie storiche che seppero infondere nuova linfa, nuova vitalità a un discorso consunto. Da I grandi serpenti miei amici, che fu la prima raccolta poetica, a Le stanze del Minotauro, fino alle ultime raccolte, egli ha trasferito nella parola il barocco quasi sfinito e struggente della sua origine siciliana, il senso della morte che nel barocco si annida nella dimensione europea. Ne I grandi serpenti esiste qualcosa d’altro: una dimensione asiatica, il mito non solo greco, ma indoeuropeo, come ne Le stanze del Minotauro. Il rapporto col mito è lì intenso e carico di allusivi significati, indaga nell’inconscio individuale e collettivo, giunge nel sottosuolo per riemergere nella realtà putrefatta a tratti ma rinnovata da quel sentimento civile che era il leit-motiv preciso del riscatto individuale e collettivo. Alla fine del suo viaggio ne Le azzurre sorgenti dell’Acheronte, poema postumo, summa poetica della sua ricca produzione in versi, con introduzione di Walter Mauro, Argiroffi ammette che la ricerca della verità è irraggiungibile perché la mente è corrosa dal dubbio, dall’eterno divenire, dall’ansia del divino. La vita non è altro che un andirivieni nella ricerca delle verità.

Ma «ciò che conta, in definitiva, è ritrovare in sé il canto degli usignoli, come accade a me di udire sui fitti rovi del piccolo torrente di Botonusa. Forse ciascuno di noi li ha ascoltati, almeno una volta, altrimenti – io credo – prima o poi li ascolterà, quando meno se lo aspetta» (E. A.). Nelle sue liriche, come in un gioco di luci e di ombre, rivivono infatti miti capaci di intercettare la voce degli umili e degli oppressi, dei dimenticati, così come la dimensione onirica che s’intreccia al realismo degli aspetti viscerali della vita e dell’uomo, in una perfetta sintesi dove parola e impegno civile furono un tutt’uno.

Mi rifugio in te
Isola parola
Cerco la strada
Ardua sul crinale del monte
[…]

Quando si è finito di leggere Gli usignoli di Botonusa rimane l’eco di sillabe dolci e sospiri, unita a echi lenti, lontani aritmici: è la storia, l’epos storico che risale. Il mito roboato sonoramente da tanti verseggiatori è fatto rivivere dalle cose e dai sentimenti, rinasce concretamente e dolentemente nel poeta, che porta con sé secoli e secoli (A. Piromalli).

Le Pescatrici del Piano delle Fosse di Argiroffi, pubblicato postumo da Città del Sole, arricchito da un dvd-documentario sul poeta, realizzato dal giornalista televisivo Paolo Bolano, colloca l’uomo, il poeta e la sua opera su un livello più generale e universale di valori condivisi, elevandoli a esempio di integrità morale e impegno civile. Si rivela ancora vivo e attuale in quanto il poeta urla e denuncia i mali di questo e di tutti i precedenti secoli, e indignato leva la propria voce a sostegno di tutti coloro che attualmente, come qualche anno fa nel mondo descritto dal poeta italiano, rimangono muti e ignorati, battuti e beati martiri del nuovo sistema. Tutta l’opera di Emilio Argiroffi è costruita su uno stile libero, senza punteggiatura, con l’uso della maiuscola all’inizio di ogni verso e la minuscola dei nomi propri. Il linguaggio poetico, calibrato nell’uso dei termini, con ripetuti enjambement, è talvolta più narrativo quando vengono affrontate tematiche scottanti o evocati personaggi di un certo rilievo.

[…] la vendetta non ha compagni di strada
nel duro inverno d’aspromonte
la pietra rotola rossa
di braci infinite
nel mare viola di stesicoro
che lambisce radici di meli cidoni
e d’uve mantoniche
e quiete onde
tiepide di scirocchi
dove si specchiano
i rami grevi dei frutti
dei grandi olivi grecanici
[…] casolari
dove si consumarono
infinite generazioni di sofferenze
partenze […] per sorde megalopoli di ferro
dalle quali non si torna
[…] in un presente
figlio bastardo di un passato
abitato da serpentila vendetta
non ha compagni di strada.

Ne Gli usignoli di Botonusa il polo tematico della memoria, prendendo avvio da motivazioni percettive si configura come punto di riferimento di un procedere della rimembranza sul filo della gradualità di significati che hanno il loro significante nella duplice sfera del privato e dell’inconscio collettivo. Il linguaggio estremamente colloquiale che Argiroffi utilizza lungo l’intero arco dell’avventura poetica esprime una significazione in bilico, a metà strada, e in termini di forte efficacia espressiva, tra rimembranza, si diceva, e realtà: ne consegue una forte tensione spirituale verso le vittime della Storia, e al contempo una implicita condanna del protagonismo della storia stessa (Walter Mauro).

A pagina 29 della straordinaria silloge Gli usignoli di Botonusa e incastonata come una gemma rossa di passione e di sangue, si trova questa poesia dal titolo inquietante, Il grido della vendetta, che può essere considerata la sintesi delle varie tematiche di cui si nutre l’intera opera di Argiroffi: la bellezza aspra e dolce del mitico mare viola di Stesicoro, che accarezza le brune rocce aspromontane come se volesse levigarne le asperità e scoprirne il mistero, i venti del deserto che corrono sulla “sua” piana ricca di ulivi grecanici dove ogni suono e parola che giunge da tempi sconosciuti e remoti dove l’ululato del lupo, il sibilo del serpente incontrano la voce del mare.

Poesia corale dei protagonisti della storia, poesia degli ultimi e delle vittime, ma anche quella del Poeta Veggente il cui sguardo oltrepassa il presente della storia e lo ripercorre su binari paralleli.

È così che il Poeta sente e vede la sua terra di adozione, quella che ha scelto per vivere e lavorare, la piccola comunità di Taurianova che guarda al mare degli eroi antichi che vi approdarono e di quelli moderni che per fame e disperazione ne fuggirono.

In altro luogo (p. 295 de La grotta di Endimione) dirà:

questa Taurianova
risorta su ceneri e suoni millenari
tra fanghi e rovi impigliati di cento miti
di mille melodie di usignoli
[…] signora dell’antico fiume
dove s’immerse oreste il matricida
[…] dove omero ancora risuona
nelle parole dei vinti
[…] Taurianova signora della piana
è terra di pallade atena
fu qui ch’ella colpiva il suolo con la lancia
ad ogni colpo sorgeva l’ulivo
il grande ulivo gigante
[…] qui fu toante
sposo della regina ipsìpile
qui visse ifigenia
sacerdotessa di artemide […].

Le sue liriche non hanno i toni giambici di Archiloco di Paro, ma quasi quelli della ballata, vibranti tutti di un pathos profondo che dà al verso un andamento spondaico e spesso “colloquiale”, nonostante la finalità palese di un’accorata denuncia.

A pagina 34 de Gli usignoli di Botonusa si legge:

figli dell’uomo
lasciate che vi chieda
che ne sarà dei bambini
essi sono muti nel dolore
nessuno è più solo di loro
nel mondo in cui viviamo
nel deserto dei mondi
voi che cosa avete fatto
cosa state facendo
perché il loro cuore
non sia trafitto ancora
essi non chiesero di nascere
non chiesero ad alcuno di morire
tendete la mano a uno di loro
a uno soltanto
vi imploro
a uno soltanto.

Versi di protesta che poi si fa accorata preghiera d’amore, perché per il Poeta solo l’amore può salvare gli innocenti, i senza-voce, da un futuro di sopraffazione e di aberrazione. Per dire infine che la sorte dei diseredati di Taurianova e di tutto lo “zoccolo aspromontano” non motivò soltanto l’azione politica di questo moderno aedo loricato, immenso come un Aiace forte e leale che non lotta per sé, bensì per il bene degli altri, ma costituì la fonte primaria della sua poesia, il cui principale merito è quello di avere effettuato coi suoi splendidi versi la compenetrazione profonda del suo pragmatismo socio-politico nel mondo fantastico, mitico e solo apparentemente lontano del dolore umano. Il linguaggio colto, l’alta ispirazione, la potente immaginazione e la finalità umanitaria fanno della poesia di Emilio Argiroffi quanto di meglio sia stato scritto dal decadentismo in poi.

Non una lacrima si vide
Nel mare
Il dolore è chiuso
Nello scrigno di pietra
[ …]

Dice Nantas Salvalaggio «È come un lavacro primitivo, nelle turbolenti acque di un fiume in piena. E c’è di tutto in quelle acque: ciuffi di erba strappata ai margini, fiori morti, tronchi d’albero.»

Nell’autunno del golfo
Quanti azzurri
Giulia
E le parole d’Ovidio.

La solarità della poesia rispondeva all’elemento greco della sua condizione di poeta, l’oscurità del mito asiatico alla dimensione globale mediterranea della sua natura.

Siamo giunti alla meta
che ricercavamo
La città segreta
nelle grotte che nessuno
esplorò
[…]
Abbiamo concluso
il lungo viaggio nell’erta fiumara […].
Io non morrò
Tiranno
Io sono ancora il dubbio e la giustizia
sorgo dalla mia cenere
Il cuore di cantastorie si è fermato, ma non la sua parola.
(da: “Le azzurre sorgenti dell’Acheronte”, Città del Sole Edizioni)

 

© Maria Allo

 

Stato di edizione delle opere

È stata pubblicata postuma nel 2007 dal Rhegium Iulii, noto e attivo circolo culturale di Reggio Calabria, l’ultima fatica letteraria di Emilio Argiroffi, intitolata Le azzurre sorgenti dell’Acheronte, Città del Sole Edizioni e, prima della scomparsa della sorella Maria, anche un Compendio delle opere letterarie di Emilio Argiroffi.

A Palmi, presso la Casa della Cultura “Repaci” si è tenuta lo scorso gennaio la cerimonia di consegna delle opere di Argiroffi il cui valore economico supera il milione di euro fra dipinti, statue, specchi e oltre duemila volumi risalenti al 1500 e al 1700, opere che, per volontà della sorella Maria recentemente scomparsa, saranno a disposizione della collettività.

http://www.ilgiornaledellapianadigioiatauro.it/Taurianova%20-%20Emilio%20Argiroffi%20nell’Olimpo%20della%20grande%20Poesia%2002.htm

 

Bibliografia

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Opere di Emilio Argiroffi

I grandi serpenti miei amici, Reggio Emilia; Roma: Casa del libro, 1981

Epicèdio per la signora che si allontana – trilogia poetica / Emilio Argiroffi, Rosarno – Centro studi medmei 1985

Il cimento della parola sconosciuta, Ediz.Laruffa, Reggio Calabria

Gli usignoli di Botonusa, Soveria Mannelli: Rubbettino, stampa 1991

Trenodia per la morte di Abeleovvero Alò qui Marcinelle, Reggio Calabria: Laruffa, stampa 1996.

Testo monografico

Emilio Argiroffi, Le azzurre sorgenti dell’Acheronte, a cura del Rhegium Julii, Ravagnese: Città del Sole, stampa 2006.

Saggistica

Madrigale siciliano con alfabeti e tamburi, Reggio Calabria 1998. Con dedica a Leonida Rèpaci

Compendio delle opere letterarie di Emilio Argiroffi, Isabella Loschiavo

Emilio Argiroffi, da una lettera del 1992

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