Siamo tutti chiusi in una caverna
L'uomo, chiuso nella sua caverna, nel suo mondo, non riesce a guardare fuori ma, soprattutto, non riesce a guardare se stesso.
Se il "mito della caverna" di Platone risulta riferito alla vita di Socrate e alla volontà di celebrare il tentativo del filosofo di liberare l'uomo dall'oscurità dell'ignoranza, è altrettanto evidente il senso più alto della metafora (1).
Uno fra questi è l'incapacità di avere una visione della realtà diversa da quella che si percepisce dalla propria prospettiva, chiusi o meno dentro quella caverna ove il fuoco che arde proietta solamente ombre. Una visione che si accentua nella "fusione cognitiva" fra pensiero e realtà.
In ambito lavorativo questo accade con frequenza: da un lato perché molte aziende tendono a chiudersi per proteggersi, per trattenersi le proprie conoscenze, i propri modelli, convinti che l'apertura e il confronto non determini un arricchimento ma, anzi, un rischio di perdere coesione e risorse. Dall'altro lato, quello del lavoratore, ove la caverna rappresenta una sicurezza, dove coltivare la propria "indispensabilità", nella convinzione che nel proprio ruolo egli rappresenti un modello, un'eccellenza, un elemento, appunto, insostituibile, al quale il mercato del lavoro ambirebbe (certo, se lo conoscesse!).
Le cose, purtroppo, il più delle volte non stanno così.
Siamo infatti anche in questo caso vittima di quei bias cognitivi che non ci permettono di guardare alla realtà per come è, vittime di una prospettiva speculare, dove noi stessi siamo il modello. Insomma, viviamo in una caverna foderata di specchi.
Il confronto con gli altri, con altre strutture, la formazione, la frequente lettura di saggi e ricerche relative alla nostra professione, convegni, congressi, tavole rotonde, devono arricchirci professionalmente, non per esaltare il nostro ego, ma piuttosto per mettere in discussione quelle sicurezze che ci espongono al rischio di cadere fragorosamente dal piedistallo della nostra protervia manageriale.
L'autocritica però ci espone a incertezze, insicurezze e sicuramente non è ben vista dall'alto in ambito professionale. Chi vuole un leader insicuro? Meglio piuttosto meglio un leader incapace. Tuttavia quella autocritica è un passaggio necessario per renderci conto da quale prospettiva stiamo guardando al realtà. Senza una coscienza critica non arriveremo mai a percepire la caverna intorno a noi. E' la dolorosa pillola rossa che ci mostra "quanto è profonda la tana del Bianconiglio" (2)
I tempi cambiano anche per il comportamento sociale.
E' diverso il rapporto fra l'uomo e il proprio lavoro, così come sono diversi gli approcci al lavoro fra generazioni. Vecchi schemi, vecchi modelli, seppur non necessariamente sbagliati, devono però essere messi in discussione, anche perché, parliamone, non è che i risultati in Italia siamo proprio eccellenti in termini di aumento della produttività.
Ma più ancora dobbiamo mettere in discussione noi stessi, il nostro modo di riflettere nello specchio, di assolverci e giustificarci. Siamo quasi tutti potenzialmente in grado di guardare, comprendere e colmare i nostri difetti, non farlo è sbagliato; riuscirci, restando nella nostra confortevole caverna, è impossibile.