Tumore al polmone, gli oncologi finalmente hanno nuove armi

Tumore al polmone, gli oncologi finalmente hanno nuove armi

CHICAGO - Curare il tumore al polmone senza la chemioterapia. È una prospettiva che, a tempi brevi, potrebbe diventare realtà per 4 pazienti su 10, e questo grazie alla nuova arma dell'immunoterapia “di precisione”, ovvero utilizzando i farmaci innovativi mirati a risvegliare il sistema immunitario contro il cancro in combinazioni “a misura di paziente”, sulla base cioè delle caratteristiche del tumore del singolo individuo. Precisione e personalizzazione sono le nuove parole d’ordine nella sfida al tumore, con una strategia che non prevede armi letali non intelligenti ma armi che rieducano l’organismo a combattere il cancro con le difese naturali, il sistema immunitario dell’organismo, che all’inizio sono imbrogliate dal cancro stesso. Ora si sa come far in modo che l’imbroglio salti. Quando? Tra 10-15 anni? No. Da subito. Molecole adatte a questa strategia sono già approvate e test genetici per mirare al target giusto anche.

È questo lo scenario delineato dagli oncologi in occasione della presentazione del nuovo test TMB (Tumor mutational burden) in grado di “fotografare” in modo completo le alterazioni molecolari del tumore analizzando fino a 500 geni e, sulla base di ciò, aprire la strada alla migliore immunoterapia per quel singolo paziente.

Circa 40 mila presenze al palazzo dei congressi di Chicago, in McCormick Place, per l’annuale appuntamento, ormai immancabile, del gotha dell’oncologia mondiale. Cioè il meeting 2018 dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO, 1-5 giugno 2018), ormai alla sua cinquantaquattresima edizione. Dieci anni fa, il 3 giugno 2008, il senatore dell’Illinois Barack Obama raggiunse il quorum necessario per la candidatura a presidente, divenendo così il primo afroamericano a correre per la Casa Bianca in rappresentanza dei democratici. Il suo discorso davanti a 20 mila oncologi all’ASCO di allora fu l’ultimo discorso delle primarie, da lì è partita la sua avventura presidenziale terminata nel 2017.

“Diffondere le scoperte della ricerca ed espandere i risultati della medicina di precisione”: questi gli obiettivi dichiarati dal titolo dell’edizione 2018. Il focus sulla precision medicine è stato indicato dal presidente degli oncologi americani, Bruce Johnson, come obiettivo di una comunità medico-scientifica che è orientata oggi più che mai a non “trattenere o disperdere i risultati della ricerca”, ma a “finalizzarli il più possibile a beneficio del singolo paziente”. In particolare, grandi attese vengono nell’ambito dei tumori al polmone, una delle patologie più devastanti, con la presentazione a Chicago di importanti risultati da studi e trials internazionali attualmente in atto.

Nutrita, come sempre, la presenza italiana tra i relatori dell’ASCO. Uno è Cesare Gridelli, direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda ospedaliera “S.G. Moscati” di Avellino. È il 2 giugno, brindisi per la festa della Repubblica in corso nella lontana Italia, e fuori da un’aula dove dovrà parlare facciamo con lui due chiacchiere “scientifiche”. Immunoterapia? “Negli ultimi anni importanti passi avanti sono stati effettuati nella terapia medica dei tumori – risponde Gridelli -. Oggi, oltre alla chemioterapia, abbiamo a disposizione trattamenti innovativi: la cura con farmaci a bersaglio molecolare, possibile solo però in circa il 20-25% dei tumori caratterizzati da una alterazione genetica che diventa il bersaglio dei farmaci, e l’immunoterapia. L’immunoterapia, potenzialmente utilizzabile in quasi tutti i pazienti, è un trattamento che cerca di favorire la risposta del nostro sistema immunitario per combattere il cancro. In realtà il sistema immunitario è di per sé una sentinella a guardia del nostro organismo. La teoria della sorveglianza immunitaria si basa proprio sul concetto che in ogni individuo, più volte nel corso della vita, si hanno alterazioni del DNA che inducono la trasformazione di alcune cellule sane in cellule tumorali. È nelle fasi iniziali che il nostro sistema immunitario interviene in vari modi, ma prevalentemente con una serie di cellule “killer”, i linfociti T, che riconoscono le cellule tumorali come estranee e le distruggono. Lo sviluppo di un tumore invece si determina proprio quando questa sorveglianza viene a mancare o è insufficiente a fermare il processo di proliferazione delle cellule cancerose”.

Quindi, il nostro sistema difensivo potrebbe vincere il cancro da solo. Perché non accade? “Ci arriviamo – riprende l’oncologo di Avellino -. Da sempre si è pensato alla immunoterapia come trattamento dei tumori, ma purtroppo in passato tutti i tentativi sono falliti. Sono stati utilizzati prevalentemente i vaccini, iniettando sostanze (antigeni) simili o uguali a parti di cellule tumorali, cercando così di innescare e di potenziare la risposta immunitaria dell’organismo. Purtroppo, tutti questi studi precedenti sono falliti e non si riusciva a capirne il motivo”.

Recenti scoperte hanno spiegato i fallimenti: con i vaccini si cercava di potenziare la risposta immunitaria ma il problema era un altro. “Esatto. Il tumore è in grado di bloccare la risposta immunitaria mediante l’aumento di alcuni recettori (PD-L1) che andando a legarsi ad altri recettori (PD-1) presenti sui linfociti T (le cellule “soldato” del nostro sistema immunitario), li inattivano – spiega Gridelli -. Questo ha aperto allo sviluppo di nuovi farmaci che, legandosi ai recettori PD-L1 o PD-1, evitano l’interazione cellula tumorale-linfocita T rimuovendo così il blocco del tumore alla risposta immunitaria. Oggi questi farmaci, superata la fase di sperimentazione clinica sono entrati nella pratica clinica in diversi tipi di cancro con risultati sorprendenti in particolare nel melanoma e nel carcinoma polmonare non a piccole cellule. Oggi, 2 Giugno 2018, qui al meeting annuale dell’ASCO sono stati presentati dati interessanti su un aspetto fondamentale per l’immunoterapia: come selezionare i pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato mediante l’utilizzo di biomarcatori. Ad oggi nella pratica clinica già utilizziamo un biomarcatore rappresentato dal recettore PD-L1 presente sulla superficie delle cellule tumorali. Mediante un esame semplice di laboratorio su tessuto tumorale è possibile misurare l’espressione di PD-L1 per identificare i pazienti che possono essere trattati con l’immunoterapia. Quando vi è una forte espressione di PD-L1 uguale o superiore al 50%, l’immunoterapia ha sostituito oramai la tradizionale chemioterapia contenente platino come trattamento di prima linea. Infatti, l’immunoterapico pembrolizumab in prima linea ha dimostrato un netto miglioramento della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia in pazienti in fase avanzata di malattia”. Sopravvivenza è per ora il metro di paragone rispetto alle cure precedenti, ci vorrà più tempo di cura per parare di guarigioni. Ma l’ottimismo è alto e prima si individua un tumore come quello polmonare prima si avranno risultati finora non raggiunti. Purtroppo, la diagnosi precoce sembra ancora lontana nei numeri. “I tassi di screening al polmone sono molto più bassi rispetto a quelli per il cancro al seno e al colon-retto – dichiara Danh Pham, oncologo presso il James Graham Brown Cancer Center, Università di Louisville, Kentucky -. Non è chiaro se la scarsità di screening sia dovuta alla carenza di centri di riferimento oppure a delle barriere psicologiche generate dalla paura della diagnosi. Il cancro al polmone, infatti, è caratterizzato dallo stigma poiché alcuni fumatori sono convinti che se viene diagnosticato un tumore, è solo la conferma del fatto che hanno fatto scelte sbagliate nel loro stile di vita”. Insomma, una sorta di “punizione” per aver scelto di fumare. Diagnosi precoce con biomarcatori, con test che individuano le mutazioni genetiche pro cancro. “Qui all’ASCO – aggiunge Gridelli - è stato rimarcato come sia importante effettuare una corretta diagnosi con un prelievo di un campione di tessuto tumorale adeguato che possa permettere di effettuare tutti i test di laboratorio necessari. È stato meglio specificato il ruolo di un nuovo biomarcatore: il Tumor Mutation Burden (TMB), cioè il carico di mutazioni (alterazioni genetiche) presenti nel tumore, esame che si determina mediante l’analisi del DNA della cellula tumorale. Maggiore è il numero di mutazioni presenti e maggiore è la possibilità di ottenere una importante risposta da parte del sistema immunitario. Infatti, nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato che esprime un elevato TMB, la combinazione di due immunoterapici (nivolumab e ipilimumab) ha dimostrato di essere superiore alla chemioterapia tradizionale. In particolare, sono stati presentati dati interessanti sulla possibilità di testare il TMB con un semplice prelievo di sangue estraendo il DNA tumorale circolante dal plasma (cosiddetta “biopsia liquida”)”. Sono stati presentati anche dati sulla ricerca di nuovi biomarcatori per poter effettuare sempre di più una immunoterapia personalizzata. “Sul tessuto tumorale molto promettente è l’effettuazione di una metodica denominata “citometria di massa” – conclude Gridelli -, che permette di identificare tumori particolarmente responsivi agli immunoterapici. Sul sangue invece sono stati presentati dati interessanti sul ruolo predittivo di risposta all’immunoterapia dei livelli sierici di Interleukina-8 e delle cellule immunitarie circolanti”.

Qui ASCO 2018, la porta verso la sconfitta del tumore è aperta.

Mario Pappagallo


Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Mario Pappagallo

Altre pagine consultate