Post di AleX Miozzi

Sul 25 novembre e sui restanti giorni dell'anno: pensiero sul lavoro quotidiano dei CAV Ho visto donne capirsi, senza parlare; donne parlare senza doversi spiegare; donne raccontare l'inferno; bambine e bambini agire quell'inferno; donne trovare la forza di affrontare l'ignoto pur di essere libere; bambine e bambini ritrovare fiducia. Ho imparato che avere coraggio è già di per sé un atto rivoluzionario e che non è giusto dover “avere coraggio” per essere libere. Al movimento delle donne e alla cultura dei Centri antiviolenza dobbiamo molto: - che la violenza non è conflitto, - che la cultura della violenza pervade la società ed è "normalizzata", - che la violenza contro le donne ha tantissime forme, - che la violenza contro le donne non è - e non può - essere un fatto privato, - che si parla di “violenza assistita” quando bambine e bambini sono costrette e costretti ad assistere ai maltrattamenti contro le madri (mi riferisco a dati statistici inconfutabili) - che, proprio per questo, la “violenza assistita” non può essere decontestualizzata da quanto accade nel contesto familiare, - che garantire la protezione le madri può rappresentare “il superiore interesse” delle sue figlie e/o dei suoi figli, - che l'educazione alle relazioni e al rispetto è il primo strumento di prevenzione, - che nessun diritto è per sempre e che non bisogna mai abbassare l'attenzione, - che non possiamo parlare di violenza di genere solo nelle ricorrenze, - che la lotta per i diritti deve essere collettiva, - …e tanto altro… Mi piace ricordare quanto affisso in un Centro antiviolenza "Senza la tua libertà la mia non esiste". #centriantiviolenza

Nel 2024, ha ancora senso parlare di patriarcato? Il patriarcato non è solo una struttura giuridica del passato, ma anche una mentalità che continua a influenzare la nostra società. Sebbene le leggi siano cambiate, rimangono disuguaglianze radicate: in Italia, le donne affrontano una divisione del lavoro familiare ancora fortemente squilibrata, bassi tassi di occupazione e stereotipi di genere persistenti. Ad esempio, il 10% degli italiani ritiene accettabile che un uomo controlli il cellulare della propria partner. E un uomo su cinque crede che una donna possa "provocare" violenza sessuale con il proprio abbigliamento Per superare queste dinamiche, dobbiamo andare oltre le norme, affrontando le radici culturali e promuovendo nuove basi per l’identità maschile, insieme a una vera educazione all’affettività. Per approfondire, link nel primo commento. Voi cosa ne pensate? Condividete il vostro punto di vista nei commenti! La rubrica Femminile Costruttivo è a cura di Mariangela Campo #femminilecostruttivo #femminismo

Cosa c’entra il patriarcato? Riflettevo su questa domanda, che è ancora argomento, e ho pensato a uno dei grandi meccanismi tragici del teatro di Sofocle. Per empatizzare con il protagonista, questo deve somigliare al pubblico ma deve commettere “un piccolo errore”. È questo impercettibile elemento che fa sentire chi guarda al sicuro, che permette la catarsi. La distanza tragica. Anche nel mondo reale, davanti alle vicende tragiche che ci circondano, specie per gli eventi che ci sembrano illogici, ci si appiglia a qualsiasi pretesto per allontanarle da noi. Così i femminicidi sono descritti come fatti eccezionali, avulsi dal piccolo mondo (sempre più piccolo), nel quale siamo immersi. Non è mera negazione del problema, ma un deragliamento, uno slittamento di senso parimenti pericoloso, perché è un argomento seducente. Ecco perché, credo, occorre tenere gli occhi sempre puntati sulla piramide della violenza di genere. I femminicidi sono la punta di una piramide che fa venire le vertigini. Alla base, nel primissimo strato, oggettificazione, machismo, ruoli di genere, sessismo “benevolo”, linguaggio e battute sessiste fino alle molestie fisiche e verbali e alla violenza di consenso. Occorre tornare alla base e agli atteggiamenti di sopraffazione quotidiani, specie quando questi avvengono nel luogo dove i rapporti di potere (e il patriarcato è logica di potere atavica) si definiscono: il mondo del lavoro. Una ricerca condotta da Fondazione Libellula mostra bene come questa logica sia endemica. Il 43% delle lavoratrici ha subito molestie e il 27% richieste o comportamenti di natura sessuale non graditi. Ma ci sono altri dati che vanno ancora più in profondità: il 65% delle donne sono considerate aggressive se dimostrano ambizione o assertività e tutti i parametri peggiorano proprio tra le donne che occupano ruoli apicali. Ecco la cosa che più spaventa chi pone la domanda di sopra: rinunciare al potere. Allora è meglio trincerarsi, correre ai ripari. Allontanarsi e guardare a quel che accade con gli occhi di uno spettatore fintamente distratto. Perché, altro argomento seducente, chi sta a guardare non ha colpa. Su La Repubblica l'articolo con la mia intervista a Giuseppe Di Rienzo

📍In questa giornata in cui si rischia di dire tutto e niente, io voglio parlare di una cosa fondamentale: la cultura. La cultura è il terreno su cui crescono le nostre idee, le nostre relazioni e i nostri valori. E se quel terreno è contaminato da stereotipi, da visioni distorte della mascolinità, da un’educazione che normalizza il controllo e la prevaricazione, non possiamo sorprenderci che la violenza sulle donne, questa piaga sociale, continui a prosperare. Parliamo di dati: in Italia, nel 2023, i femminicidi hanno rappresentato quasi il 40% degli omicidi totali. Numeri che non sono semplici statistiche, ma vite spezzate, famiglie distrutte, sogni infranti. E dietro ogni caso c’è un contesto che affonda le sue radici in una mentalità che perpetua la disuguaglianza. La violenza sulle donne è il risultato di anni, decenni, secoli di una narrazione che ha spesso relegato la donna in una posizione di subordinazione rispetto all’uomo. È la conseguenza di battute che riducono una donna al suo aspetto fisico, di un’educazione che insegna alle bambine a essere “dolci e remissive” e ai bambini a non piangere mai. È il frutto di un’immagine tossica di virilità, secondo cui essere uomini significa dominare e non ascoltare, pretendere e non rispettare. Questa non è una giustificazione, ma una chiamata alla riflessione. Non basta più indignarsi di fronte ai numeri, serve un cambiamento profondo, che parta dalle famiglie, dalle scuole, dalle conversazioni quotidiane. Serve che ogni uomo e ogni donna si chiedano quali messaggi stanno trasmettendo ai loro figli e al mondo. E tu, uomo che credi di avere il diritto di alzare la voce, di alzare le mani: non dimostri forza, ma fragilità. Non dimostri amore, ma paura. Se pensi di possederla, stai solo distruggendo la tua stessa dignità. Amala, ascoltala, rispettala. Non rubarle la libertà, non rubarle i sogni. Rubale il cuore, non la vita. #25novembre #giornatainternazionalecontrolaviolenzasulledonne

Tra le molte, urgenti riflessioni che vanno fatte sulla questione femminicidi in Italia, 41 (!) nelle prime 32 settimane del 2024, l'assassinio di Rita Caporaletti di 84 anni e Annarita Morelli di 72 anni (i due più recenti) richiedono di portare l'attenzione sulla distribuzione di età: - 17 vittime tra i 40 e i 59 anni di età (41.5 %) - 17 vittime dai sessant'anni in su (41.5%) - 24 vittime dai cinquant'anni in su (58.5%) Poche volte si pensa al problema come in maggioranza legato alla "mezza età", tanto meno come questione della anzianità: penso invece che la questione anagrafica sia legata a molti fattori di maggiore vulnerabilità delle vittime. Forse dovremo anche pensare a queste fasce di età come target di comunicazione sociale mirata.

Riflessioni molto interessanti che invitano ad approfondire

🔺🔻Il lavoro, la gestione della casa e dei figli, la cura dei genitori anziani e per alcune lo studio, il sostegno a partenti e amici in difficoltà: questa è la vita delle donne. Una giostra impazzita incapace di fermarsi anche quando siamo stremate e ci viene richiesto comunque il massimo dell’impegno in ogni attività. Com’è possibile esserci, dunque, se il tempo è una coperta corta, una foglia spinta del vento sempre un po’ più in là, difficile da afferrare? In questi settantotto anni, dal momento in cui abbiamo potuto votare - ed essere votate - la nostra vita è cambiata: 🔴accesso agli impieghi pubblici - 1963 🔴divorzio - 1970 🔴riforma del diritto di famiglia - 1975 🔴aborto - 1978 🔴abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore - 1981 🔴lo stalking diventa reato - 2009 🔴parità sul lavoro - 2010 🔴accesso ai consigli di amministrazione - 2011 🔴inasprimento delle pene per femminicidio e violenza sulle donne - 2013 Sono solo alcune delle leggi imperfette che ci riguardano, da cui sono scaturiti diritti fragili e incompleti, dei quali non avremmo visto la luce se settantotto anni fa avessimo rinunciato a partecipare, a esserci. Il diritto al voto ha certificato la nostra presenza in quanto persone con voce in capitolo, bisogni e aspettative da normare per garantirci l’accesso a una vita equa, dignitosa, serena. Un percorso in salita che ci tocca continuare a presidiare, scandito dalla lotta femminista a cui dobbiamo tanto. Se le donne votano poco è perché vivono ingabbiate negli impegni che impediscono loro di trovare il tempo per dedicarsi alla politica, una diretta conseguenza della fragilità di quei diritti e della mancanza di nuove norme a sostegno del lavoro, della salute e dell’autodeterminazione. La giostra impazzita che ci impedisce anche di esercitare il nostro diritto al voto, in realtà, rappresenta il motivo per esserci e portare quella visione aperta e intersezionale di cui la nostra società ha un estremo bisogno. Hai scelto le persone che ritieni le migliori per rappresentare le tue istanze? #linguaggiumani #ilvotodelledonne — #liberǝdiessere è l’hashtag che abbiamo creato per parlare di #violenzadigenere, #gendergap e #discriminazioni, verso le donne e tutti i gruppi sociali marginalizzati. Lo facciamo di mercoledì attraverso il nostro lavoro, puoi seguire l’hashtag per trovare i contenuti e usarlo per partecipare alla divulgazione di temi che riguardano il futuro di ogni persona. Chiara Romano Mariella Borghi Danilo Spanu Roberta Zantedeschi Piero Bernardi Alex De Brasi Elisa Minozzi Maria Cristina Andreoni Antonio Nenna Sara Infante Margot Deliperi Greta Piccininni Francesca Garofalo Anna Chiara Narder Alessia Scalas Marcella Loporchio 📌Emanuela Spernazzati Stefania Mellai Giulia Favetti Miranda Santoro Vanessa Manfredi Mauro De Nittis Dora Bugatti Francesca Guglielmi

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: cosa stiamo facendo? A casa. Ai nostri figli e alle nostre figlie facciamo il discorsetto dell'apina e del fiorellino così possiamo evitare momenti di imbarazzo. Contiamo sul fatto che i nostri figli "si facciano" da soli, magari imparando dal bellissimo mondo di internet, da esperienze sessuali ed emozionali sbagliate, o magari dall'intelligenza artificiale. Quando c'è una scena di sesso in tv cambiamo velocemente canale per evitare domande inopportune. L'educazione è fondamentale. Parlare correttamente, con i termini giusti, facendo capire che sì, di queste cose si può e se ne deve parlare. Molti della mia generazione ci sono passati. Quanto abbiamo parlato di sesso con i nostri genitori? Ecco perché è importante creare un ambiente SICURO dove loro si possano sentire al SICURO.Dobbiamo ricordare che loro saranno i futuri adulti, che loro saranno i futuri lavoratori e le future lavoratrici.  A lavoro. C'è parità di salario? Vengono rispettate le opinioni di tutte e di tutti? Vengono segnalati episodi di aggressione, molestie o discriminazione oppure vige l'antico motto "se ne deve occupare qualcun altro"? Ogni tanto sarebbe meglio parlarne di più. A volte, invece, sarebbe meglio tenere la bocca chiusa per evitare di dire stupidaggini. La formazione e la valutazione sono fondamentali. Nella valutazione dei rischi viene messa la bella frasetta che ci rassicura che "qui è tutto a posto, se si verificheranno degli episodi li gestiremo"? Non sarebbe meglio PREVENIRE, impostare le cose correttamente, valutare le situazioni a rischio? Il luogo di lavoro deve essere un ambiente SALUTARE e SICURO sotto qualsiasi punto di vista.

Dall'inizio del 2024 fino allo scorso 8 Novembre, secondo i dati dell'Osservatorio Nazionale Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) di Non Una Di Meno, sono 104 i casi di morte indotta da violenza di genere in Italia, di cui: • 87 Femminicidi accertati; • 7 suicidi causati da violenza di genere (5 donne, 1 uomo trans, 1 uomo cis); • 10 casi ancora in fase di accertamento. Tra i femminicidi accertati, in 42 casi l'omicida era il partner, in 12 l'ex-partner. Dieci femminicidi sono avvenuti nonostante le denunce e le segnalazioni avvenute nei mesi precedenti alla violenza. Infine, i figli minori che hanno assistito all'omicidio della madre sono in 9, tra i 43 rimasti orfani. Il femminicidio non nasce da un gesto isolato, ma è l'esito di una lunga serie di atteggiamenti, pregiudizi e violenze, che vanno smantellati a partire dalle nostre parole e azioni quotidiane. Anche per questo Digital One si impegna ogni giorno a costruire un ambiente di lavoro in cui la parità di genere è un valore fondamentale, promuovendo il rispetto e l’inclusione in ogni sua forma. Lo facciamo attraverso politiche aziendali inclusive, iniziative di sensibilizzazione e percorsi di crescita che valorizzano equamente ogni talento, senza distinzioni di genere. #digitalone #giornatainternazionale #donne #femminicidio

🔴 Ancora di cultura dello stupro e di consenso 70.000 uomini in una chat di Telegram per scambiarsi consigli su come stuprare le donne. Quali farmaci usare, dove acquistarli, come fare in modo di non essere scoperti. Donne: mogli, fidanzate, figlie, sorelle. E non scoperti perché qualcuno di questi 70mila uomini si sia reso conto della gravità di ciò che stava avvenendo, ma perché alcuni giornalisti di una emittente televisiva tedesca si sono infiltrati nella chat. Ok #notallmen, ma quanti però? Quando si parla di #culturadellostupro ci si riferisce a una cultura, la nostra, nella quale non solo violenza e abusi sono molto diffusi, minimizzati e normalizzati, ma dove sono normalizzati e incoraggiati anche gli atteggiamenti e le pratiche che giustificano e sostengono quella violenza e che pretendono di avere il controllo sulla sessualità femminile. 🚩 L'errore più grande che viene commesso è pensare che lo stupro c'entri qualcosa con la sessualità, ma non è così. Tutto ruota intorno a dinamiche di potere per cui gli uomini non stuprano spinti da un incontenibile desiderio sessuale, ma per esercitare o ribadire il loro potere e il controllo sui corpi delle donne. Basti pensare a come venga utilizzato, per fare solo un esempio ma ce ne sarebbero mille, come "arma" durante le guerre. 🚩 L’espressione “cultura dello stupro” non si riferisce solo all'atto in sé ma anche a una serie di pratiche e comportamenti molto comuni come, per esempio, l’utilizzo di un linguaggio misogino, l’oggettivazione del corpo delle donne, lo “slut shaming“, la stigmatizzazione cioè dei comportamenti e dei desideri sessuali femminili che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali, la colpevolizzazione della vittima quando subisce una violenza. Occorre una riflessione seria, profonda, collettiva su queste dinamiche, da dove originano, come si sviluppano e quanto il silenzio sia connivente e non permetta di mettere finalmente, seriamente e profondamente in discussione la cultura patriarcale. «Non è necessario aver subìto uno stupro per subire le conseguenze della cultura dello stupro. Non è necessario essere uno stupratore seriale per perpetuare la cultura dello stupro. Non è necessario essere un convinto misogino per beneficiare della cultura dello stupro» - Laurie Penny, da un articolo pubblicato su Internazionale nel 2017, che posto qui 👇 https://lnkd.in/d5UrfeUB ---- ----- ----- Siamo un gruppo di professionisti e professioniste e #liberǝdiessere è l’hashtag che abbiamo creato per parlare, ogni mercoledì, di #violenzadigenere, #gendergap e di #discriminazioni, ma anche di #paritadigenere e di #cambiamento, allo scopo di sensibilizzare e stimolare il cambiamento per una società più libera, inclusiva e non violenta. Segui l'hashtag se vuoi scoprire tutti i nostri contenuti!