🎾 "Se l'assenza di Sinner è uno sgarbo istituzionale? No, ci mancherebbe. Abbiamo un presidente di tale livello che ha capito benissimo quali sono i problemi" 💬 Queste le parole del presidente della Federazione italiana tennis e padel Angelo Binaghi, all'uscita dal Quirinale, dove si è tenuto l'incontro del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con le nazionali vincitrici di Coppa Davis e Billie Jean King Cup 🗣️ "È un dispiacere enorme che non sia potuto essere qui con noi. Abbiamo festeggiato successi nei quali lui è stato protagonista assoluto, ma la salute rimane prioritaria non solo per i risultati che farà ma anche per il valore assoluto. Sport è salute", le parole di Binaghi
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L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Questo vivere con agio il ruolo di “primi della classe”, non è una caratteristica peculiare di noi italiani. A ben vedere, abbiamo una presidente del Consiglio e una leader dell’opposizione che hanno amato presentarsi come underdog o invisibile, viviamo i nostri più importanti successi e traguardi come una grande sorpresa che facciamo al mondo e tanto per cominciare a noi stessi. Possiamo limitarci a ricordare la stupefacente campagna vaccinale durante il Covid o il colpo di reni per entrare da subito nell’Euro. Il punto è che godiamo nel raccontarci proprio così: quelli dello stellone, della genialità sempre pronta a salvarci sull’orlo del precipizio, la comunità fatta di una somma di individualità. Per chi non segue o non seguiva il Tennis, la dimensione dell’Italia oggi è quella propria degli Stati Uniti d’America al loro meglio, nelle ere segnate da John McEnroe, Andre Agassi e Pete Sampras. Nulla a che vedere con fenomeni che hanno fatto la storia di questo sport, come Federer o Djokovic, mai neppure lontanamente appoggiati da un movimento paragonabile al nostro di oggi. Solo la programmazione e un intelligente utilizzo delle risorse a disposizione può aiutare a capire - al netto del talento - come si possa essere arrivati a questi risultati. Ci sono due realtà che vogliamo porre alla vostra attenzione: si è individuato un asset che potesse fungere da volano per l’intero movimento negli Internazionali di Roma. Questo ha generato un giro d’affari e d’attenzione da ridistribuire non a pioggia - pratica sempre inutile e pericolosa - ma in modo mirato. Eccoci alla seconda realtà: l’individuazione e il sostegno dei più meritevoli. Nello sport è più facile, perché hai bisogno di chi sia in grado di vincere, ma il concetto di fondo ha un’applicazione generale: se vuoi competere ai massimi livelli internazionali, fare selezione non è una mancanza di riguardo per i meno dotati ma un obbligo morale nei confronti di chi può dare di più e sarà chiamato a sopportare le maggiori pressioni. Questo, a cascata, produrrà una maggiore disponibilità economica e di attenzione mediatica nei confronti di un intero movimento o settore. Altro elemento è la demolizione della retorica secondo la quale si è “condannati” a far bene certe cose e meno altre. Nello sport, gli italiani sono i genialoidi che rendono affascinante l’anarchia ma nel tennis oggi siamo più tedeschi dei tedeschi e praticamente gli unici ad avere la fila per entrare nella Nazionale di Coppa Davis. Pensiamo alla nostra industria e alla nostra manifattura: di Sinner ne abbiamo pochi, ma da primi 100 in classifica ancora tanti. Fanno faville le realtà coordinate e gestite con programmazione in stile… tennistico. Vivono alla giornata o perdono il treno dell’internazionalizzazione quelle affette da un individualismo soffocante. La Ragione
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L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Questo vivere con agio il ruolo di “primi della classe”, non è una caratteristica peculiare di noi italiani. A ben vedere, abbiamo una presidente del Consiglio e una leader dell’opposizione che hanno amato presentarsi come underdog o invisibile, viviamo i nostri più importanti successi e traguardi come una grande sorpresa che facciamo al mondo e tanto per cominciare a noi stessi. Possiamo limitarci a ricordare la stupefacente campagna vaccinale durante il Covid o il colpo di reni per entrare da subito nell’Euro. Il punto è che godiamo nel raccontarci proprio così: quelli dello stellone, della genialità sempre pronta a salvarci sull’orlo del precipizio, la comunità fatta di una somma di individualità. Per chi non segue o non seguiva il Tennis, la dimensione dell’Italia oggi è quella propria degli Stati Uniti d’America al loro meglio, nelle ere segnate da John McEnroe, Andre Agassi e Pete Sampras. Nulla a che vedere con fenomeni che hanno fatto la storia di questo sport, come Federer o Djokovic, mai neppure lontanamente appoggiati da un movimento paragonabile al nostro di oggi. Solo la programmazione e un intelligente utilizzo delle risorse a disposizione può aiutare a capire - al netto del talento - come si possa essere arrivati a questi risultati. Ci sono due realtà che vogliamo porre alla vostra attenzione: si è individuato un asset che potesse fungere da volano per l’intero movimento negli Internazionali di Roma. Questo ha generato un giro d’affari e d’attenzione da ridistribuire non a pioggia - pratica sempre inutile e pericolosa - ma in modo mirato. Eccoci alla seconda realtà: l’individuazione e il sostegno dei più meritevoli. Nello sport è più facile, perché hai bisogno di chi sia in grado di vincere, ma il concetto di fondo ha un’applicazione generale: se vuoi competere ai massimi livelli internazionali, fare selezione non è una mancanza di riguardo per i meno dotati ma un obbligo morale nei confronti di chi può dare di più e sarà chiamato a sopportare le maggiori pressioni. Questo, a cascata, produrrà una maggiore disponibilità economica e di attenzione mediatica nei confronti di un intero movimento o settore. Altro elemento è la demolizione della retorica secondo la quale si è “condannati” a far bene certe cose e meno altre. Nello sport, gli italiani sono i genialoidi che rendono affascinante l’anarchia ma nel tennis oggi siamo più tedeschi dei tedeschi e praticamente gli unici ad avere la fila per entrare nella Nazionale di Coppa Davis. Pensiamo alla nostra industria e alla nostra manifattura: di Sinner ne abbiamo pochi, ma da primi 100 in classifica ancora tanti. Fanno faville le realtà coordinate e gestite con programmazione in stile… tennistico. Vivono alla giornata o perdono il treno dell’internazionalizzazione quelle affette da un individualismo soffocante. di Fulvio Giuliani
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Figuriamoci se il giorno dopo la pubblicazione dell'articolo de Il Fatto Quotidiano, che ha messo in evidenza «tutti gli inciuci, tutti i cavilli, sgambetti e ritorsioni, tutte le intimidazioni e i tentativi di cambiare le leggi a suo favore pur di sbarazzarsi di chiunque gli remasse contro», l'attuale presidente FIP non replicasse con una dichiarazione, l'ennesima, assolutamente falsa e priva di fondamento. Tanto per cominciare, secondo le stime del Coni - non ho idea su che base vengano fatti questi sondaggi, almeno credo si possano definire tali, - il basket, che una volta era il secondo sport più seguito in Italia dopo il calcio, adesso è precipitato in maniera preoccupante ALL'OTTAVO POSTO. Non dice certo tutto, ma credo proprio ci si possa intanto fare una piccola idea del VERO stato in cui riversa attualmente la palla a spicchi. La finale di Supercoppa giocata domenica scorsa tra Milano e Bologna è stato il riflesso di un sistema che beneficia sempre delle stesse squadre, quindi chi può avere interesse a sponsorizzare il basket quando tra le prime in classifica ci sono sempre le solite note? È facile parlare di salute quando esistono risorse per fare investimenti mastodontici... Ma le molte, TROPPE REALTÀ, soprattutto nel femminile, che lottano semplicemente per rimanere a galla? La questione poi della visibilità delle partite è fondamentale: se l'accesso al basket è limitato a pochi fortunati che possono permettersi abbonamenti a reti a pagamento, il cui costo non è propriamente economico e la qualità delle immagini spesso e volentieri tutt'altro che eccelsa, non ci si può aspettare che l'interesse aumenti... La Nazionale, simbolo dell'unità del paese, DEVE ESSERE DI E PER TUTTI, deve essere SEMPRE trasmessa in chiaro perché possa raggiungere un pubblico più ampio. Chi può sapere, a chi può interessare se vince o perde, quando per seguirla si deve anche qui passare per reti a pagamento? È veramente assurdo che il tifo e l'entusiasmo per il basket siano frenati da questioni commerciali e contratti televisivi. Infine la critica nei confronti dell'Eurolega, la massima competizione per club a livello aeuropeo, che si sovrappone agli impegni della Nazionale, dimostra una volta di più una mancanza totale di coordinamento e pianificazione. È evidente che il sistema attuale non è sostenibile, e che una revisione profonda delle dinamiche che regolano il nostro basket è urgentemente necessaria. La realtà, quindi, è ben diversa. Il basket italiano NON È AFFATTO IN SALUTE. Senza un intervento significativo, il futuro del nostro movimento rischia di essere contrassegnato da una stagnazione incolmabile.
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Lo sport vissuto con testa e cuore è sempre l'insegnamento più bello.
Quanto ne avevamo bisogno di una serata come quella di ieri! Quanto avevamo bisogno di due atleti capaci di interpretare il proprio lavoro come qualcosa da regalare innanzitutto a se stessi, ma senza mai perdere di vista le emozioni degli altri. Quanto avevamo bisogno di due fenomeni della racchetta capaci di fare la differenza soprattutto con la testa e con il cuore. Era stato sin troppo facile, dopo l’imbarazzante debacle della Nazionale azzurra agli europei di calcio contro la Svizzera, richiamare lo standing psicologico di un campione come Jannik Sinner. Sottolineare l’abisso fra chi non è disposto a cedere neppure un centimetro e chi non ha neppure cominciato a giocare. In campo, ieri sera sul centrale del torneo di tennis più prestigioso della storia, tutto questo è stato ulteriormente esaltato da un altro azzurro. Un ragazzone che ha toccato l’Olimpo ed è poi finito in un buco nero di infortuni e mille paure che solo chi ha provato “lo sport del diavolo” può anche solo immaginare. Contro il più forte, nella partita in cui potevi finire stritolato e spazzato via, Matteo Berrettini ci ha magnificamente ricordato perché una manciata di mesi fa era stato lui a fare impazzire l’Italia, un attimo prima che il fisico lo tradisse e si accendesse la stella-Sinner. Ha perso, ma sa che il tennis restituisce a chi merita. Come sempre lo sport, inflessibile con chi non ha i numeri morali per reggere il confronto e lasciare un segno di sé. Ieri sera siamo stati orgogliosi di Jannik e Matteo (come prima di loro di un favoloso Fabio Fognini, biondo platinato a 37 anni per fare ancora show) e questa mattina lo siamo ancora di più, pensando a quanto il mondo sia rimasto a bocca aperta a vedere uno degli incontri di secondo turno più belli che si ricordino a Wimbledon. E se qualcuno insiste a fare quello con la puzza sotto il naso, pazienza. È quel qualcuno a non capire quale fortuna ci sia capitata a vivere una serata così. Problemi suoi. La Ragione
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Una mia breve riflessione sulla nomina del Responsabile “Safeguarding” interno ai sodalizi sportivi dilettantistici publicato sull’ultimo numero di Diritto e Sport di ItaliaOggi. Ringrazio Michele Damiani per lo spazio e l’opportunità concessa. #sport #dirittosportivo #safeguarding #avvocatisport #mog #riformadellosport
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Su #rivistaundici parlo dell'OM di #dezerbi dopo una settimana in cui si è passati dalla vittoria in 10 a Lione alla sconfitta di Strasburgo.
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Il 13 gennaio 1910 nasceva la Nazionale italiana di calcio. Un gruppo di pionieri con maglie di lana pesante, pantaloni sotto al ginocchio e una passione fuori misura per un gioco che sarebbe diventato leggenda. Il primo match, a maggio, contro la Francia, fu un trionfo per 6-2, ma non tutto fu facile negli anni a venire. La storia della Nazionale è costellata di successi straordinari e sconfitte che ancora bruciano, ma anche di episodi che raccontano qualcosa di più profondo: l'attaccamento alla maglia. C'è il ricordo del 1982, con l’urlo di Tardelli e il Mundial alzato da un inossidabile Dino Zoff. C’è il rigore di Baggio del 1994, quel pallone che sembra ancora sospeso in aria, metafora di quanto sottile possa essere il confine tra gloria e rimpianto. E poi c'è l'estate del 2006, con un’Italia campione del mondo che abbracciava un intero Paese, mentre Cannavaro sollevava la coppa sotto il cielo di Berlino. Chi non ricorda il “cucchiaio” di Pirlo contro l’Inghilterra o le parate di Donnarumma nel 2021? In un mondo dove i risultati si misurano in numeri e obiettivi, il vero motore del successo è il senso di squadra. Una squadra vincente è fatta di persone che credono in un progetto comune, che mettono da parte l'ego per costruire qualcosa di più grande, qualcosa che li sopravvive. L’attaccamento alla "maglia aziendale" non si impone: si ispira, si nutre e si costruisce attraverso un ambiente in cui ciascuno si sente valorizzato. Non si gioca per sé, ma per il gruppo, per un simbolo, per qualcosa di più grande. Lo stesso vale per ogni azienda. Quando le persone si sentono parte di una squadra, quando indossano la "maglia aziendale" con orgoglio, allora tutto è possibile. Un obiettivo condiviso può trasformare ogni collaboratore in un Tardelli, un Cannavaro o un Gattuso. Perché in fondo, come diceva Simon Sinek “customers will never love a company until the employees love it first”. #SettimoPiano #TeamSpirit #TeamBuilding #CompanyCulture #EmployeeEngagement #Leadership #Inspiration
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https://lnkd.in/dVjNTD3z DOVE SONO I NUOVI CAMPIONI ITALIANI? RIFLESSIONE POST SPAGNA-ITALIA Siamo passati da nazionali guidate dai vari Totti, Baggio, Maldini e Del Piero agli attuali calciatori italiani. Abbiamo un grave problema. Chi lo sminuisce è assuefatto dalla mediocrità ed è parte del problema stesso. Quando si guarda alla nazionale lo si può fare da tifosi, dando peso ai risultati e alle performance, oppure soffermandosi sulle qualità dei singoli, espressione di un movimento. Ricordo che qualità, organizzazione collettiva e risultati non sempre vanno a braccetto. Anche la Grecia è stata campione d'Europa. Ieri Italia-Spagna è stata l'ennesima prova del divario qualitativo dei due paesi. E questo resta anche se trovando un nuovo assetto collettivo vincessimo l'attuale europeo. Questa, dopo due mancate qualificazioni europee, una maglia numero 10 che al passaggio di generazione finisce sulle spalle di qualcuno sempre meno forte di quello precedente, è l'ennesima occasione che ci viene concessa per mettere tutto in discussione e cambiare senso di marcia. Da anni ci viene raccontato che il futuro sarà roseo perché le nazionali giovanili stanno vincendo trofei e scalando i ranking. Ci dicono che abbiamo i migliori giovani ma poi si perdono...Questa narrazione costruita ad hoc serve per creare una bolla italica dove chi ha le redini se la suona e se la canta, nonostante sia sbagliata e getti fumo negli occhi. Vi siete mai domandati come vengano raggiunti questi risultati? Avete mai riflettuto sul fatto che le nostre naz.giovanili hanno i migliori risultati della storia del nostro calcio e che se stessero ad indicare il futuro dovremmo avere giocatori più forti di Totti e Baggio? Bisogna prendere le distanze. Perché questo è diventato l'alibi del sistema che da una parte mostra un futuro migliore sempre al di là da venire e dall'altra, essendo un sistema complesso influenza, con queste favole, tutto il movimento. In un ambiente sempre più politico che parla politichese per raggiungere obiettivi personali, non certo di sistema, serve costruire una forte opposizione e questo lo si fa iniziando a non abboccare più a quanto viene raccontato. Bisogna essere curiosi e accendere il pensiero critico... Come riporto nel mio libro "Oro Sprecato. Come il calcio italiano sta uccidendo il talento", Lele Adani ci da un chiaro esempio di cosa significhi vivere dentro una bolla: i nostri sono i giocatori più bravi della storia del calcio […] non esiste nessuno che possa competere con il campionato italiano, Coverciano è la scuola del calcio […] Continua sul mio blog.... Per chi volesse approfondire ulteriormente qui il mio libro: https://lnkd.in/dh2H3HTS
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Istruire una classe dirigente nel calcio, sia dilettantistico che professionistico, è uno step necessario per lo sviluppo del movimento italiano. Progetto, obiettivi, struttura organizzativa e coerenza lavorativa dovrebbero essere fattori imprescindibili https://lnkd.in/dB6pir3A
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“Giovani senza Capo” Quella mano che accarezza il viso, è l'immagine del trionfo della Reyer Venezia che ieri sera ha vinto il terzo scudetto femminile della propria storia. Quel viso con gli occhi gonfi di lacrime è di una ragazzina di 19 anni che ha giocato, e vinto, la sua prima finale scudetto. Di norma le 19 enni, e i 19 enni, spesso nelle finali sventolano gli asciugamani o entrano in campo a fine partita. Lei, nel 3-0 che la Reyer ha rifilato a Schio in finale, ha chiuso la serie con queste cifre: 15.3 punti, col 66% da due e il 50% da tre. Forse non è nemmeno tanto sorprendente tenendo conto che a 14 anni aveva segnato 21 punti in una partita di Serie A, e a 15 anni era diventata la prima di sempre a segnarne 36. Ma giocare una finale scudetto, con la maglia di una delle squadre più forti d'Italia, è tutta un'altra cosa. Lei si chiama Matilde Villa, gioca stabilmente anche in Nazionale, e dopo questo trionfo volerà dall'altra parte dell'oceano per indossare la maglia delle Atlanta Dream, cercando di farsi valere anche in WNBA. Viviamo in un momento storico nel quale gli Stati Uniti sono letteralmente impazziti per quel fenomeno assoluto di Caitlin Clark. L'Italia, nel suo piccolo e con le dovute proporzioni, ha una giocatrice che ha bruciato le tappe come poche altre prima di lei, e ha davvero tutto per diventare simbolo del nostro movimento. Non vediamo l'ora di leggere i prossimi capitoli del libro di Matilde Villa. Fonte: https://lnkd.in/eyFGSHAN ___ Il nostro Paese è pieno di ragazzi e ragazze come Matilde Villa. Loro ci sono, quello che manca è un contesto in grado di valorizzare il loro desiderio di fare. Parliamo di talento, parola che trovo priva di qualsiasi riferimento se associata ai luoghi chiamati lavoro dove di solito viene sprecato il talento individuale che risiede in ognuno di noi senza distinzione di genere, età ... Perchè sprecato? Perchè prendiamo adulti e, appena varcano la soglia del luogo di lavoro, li trattiamo come bambini e bambine delle elementari. Perchè nel 66% dei casi in Italia i ruoli di responsabilità non si ottengono per competenza, ma per discendenza. E' un compito di cui si occupa la cicogna. Se un rubinetto perde abbiamo due possibilità. Lasciare che continui a perdere sprecando tantissima acqua oppure chiamare un idraulico. Con i giovani scegliamo la prima opzione. ___ #giovani #odiolafuffa #nobarlafus #piediperterra
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