Eventi, situazioni, valori che hanno scandito positivamente gli ultimi 12 mesi: prendiamo in prestito le storie di cinque testimoni che rappresentano la società che desideriamo.
Post di don Marco Tenderini
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sul Il Sole 24 Ore di oggi: un'intervista a tutta pagina a Francesca Moriani su come un'azienda di 4000 persone come Var Group stia trasformandosi davvero in un esempio di #organizzazioniaperte. Nella brevità della sintesi giornalistica sono solo accennate alcune cose, ma per noi di Kopernicana che stiamo osservando da vicino, contribuendo, è emozionante vedere prendere vita un modello operativo nuovo, che sta venendo creato utilizzando e adattando in una forma unica pratiche come #facilitazione, #decisioneintegrativa #governancedistribuita, #okr e modelli organizzativi come #holacracy e #teamofteams e #rendanehyi. Il risultato è il generarsi evolutivo di un'organizzazione anti-fragile, più inclusiva, più agile e in grado di ripensarsi continuamente, con sempre meno gerarchia e burocrazia. In più vedere Demetrio Labate in centro pagina è un bonus tutto speciale!
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L’isteria è servita. Gli urlatori in esercizio permanente sono senza voce. Certo, nessuno dà loro retta. Forse per questo continuano a voler dire la loro. Che teneri. Ti vien la voglia di accarezzare i loro volti distrutti dal pianto e dire con voce paterna “Non è successo niente, hai solo fatto un brutto sogno, dai che ti cambio la maglietta che sei tutto sudato”. Si, l’argomento è Forbes. La rivista macina utili e guadagni. E’ una macchina da soldi e fatturato. L’idea dei 25 chef è nelle sue corde. Ogni mese esce un numero speciale pieno zeppo di nomi illustri e pubblicità. I migliori 50 manager, le 100 donne più influenti, le 50 startup e via dicendo. Imprenditorialmente sono dei giganti. Certo, la fama arriva dalla edizione americana, è la rivista che stilla la classifica più ambita, quella dei più ricchi al mondo (no, la classifica sui salvatori del pianeta non c’è, anche perché nessuno ha tempo per carrieristi facili e fandonie). Dunque, chi urla contro la scelta dei 25 più influenti, qualsiasi cosa significhi influenti (spoiler: nulla)? Sbraitano gli esclusi. Non parlo degli chef, a loro importa poco. Per la cronaca, c’erano tutti alla premiazione: manco alla Michelin vedi così tanti. Mi riferisco agli esclusi fra gli addetti ai lavori. Già vedo alcuni, paonazzi: “Non mi hanno chiamato. A me! A me, che do del tu a tutti e mi faccio dei selfie in pantaloncini corti con ognuno di loro”. Vedete il rosso sangue del loro volto? Sì, esatto, stanno per scoppiare. Certo, fa un po' a botte che i 25 siano stati scelti da una rivista di ricette per zie arzille con dei bigodini e per pallide giovani donne che cercano la pace interiore senza riuscirci. Forbes e Cucina Italiana insieme sa di ossimoro, da una parte la rivista dei ricchi, dall’altra quella delle ricette semplici in cinque minuti, ovviamente niente carne e tanta verdurina cruda che fa bene alla pelle delle lettrici. Due volte l’anno la sfoglio per vedere quante pagine pubblicitarie ne possa avere ancora: quasi nessuna, le aziende si sono spostate altrove, d’altronde per leggere di involtini a base di melanzane non c’è bisogno di acquistare una rivista, le aziende cercano altro. Tornando alla frustrazione nemmeno così tanto nascosta degli esclusi: tranquilli, Forbes non ha la pretesa di sostituire la Michelin. Nemmeno i 50 best. Semplicemente fa parte del loro dna inventare dei numeri speciali con l’unico scopo di monetizzare al massimo la situazione. Non importa chi ha scelto i 25, poteva essere anche la prima che passava per strada. Tanto i nomi quelli sono. E’ solo una questione di brand, e gli esclusi dalla votazione stanno con gli occhi fuori dalle orbite per questo motivo: volevano vedere il proprio nome abbinato al Forbes, considerandosi in linea con il target della rivista. Appunto, lo credono loro. E ora cià che dobbiamo cambiarvi di nuovo la maglietta, perché state sudando ancora. #food #chef #cucina #ristorante #forbes #premi #affari #business #classifiche
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Il 16 Marzo, ormai un mese io e Chiara Marconi abbiamo fatto uscire la comunicazione ufficiale più difficile di questi anni.. “Con il cuore affranto, ma al tempo stesso pieno di gratitudine, vogliamo condividere con voi un annuncio importante riguardante il futuro di Chitè. Il meraviglioso viaggio purtroppo è arrivato alla fine e mettere per iscritto queste parole è per noi estremamente doloroso. Quando, abbiamo dato vita a questo progetto avevamo l'ambizione di costruire qualcosa di significativo per la vita di noi donne, mai avremmo immaginato a quante sfide e a quali gioie saremmo andate incontro. Avevamo un unico obiettivo: creare qualcosa che potesse avere un impatto positivo sulla vita di noi donne. Volevamo dare voce al 97% di donne che lottano quotidianamente con pensieri negativi riguardo alla propria immagine. Il desiderio di realizzare questo sogno ha tuttavia dovuto scontare le difficoltà di fare impresa in Italia e ad affrontare continue sfide che abbiamo sempre affrontato a testa alta, con determinazione e resilienza. Abbiamo costruito da zero un’azienda che è arrivata ad avere un team di 23 talenti, 3 negozi monomarca, una community di 80.000 persone e che ci sono valsi numerosi riconoscimenti. La verità è che non c’è nessuna università che ti prepara a ciò che significa essere imprenditore in Italia, venivamo da due mondi totalmente diversi, entrambe maestre di sci, una studi diplomatici e l’altra farmacia ma l’obiettivo e il sogno erano chiarissimi. Con ore infinite di lavoro abbiamo imparato tutto, passando dal fare i pacchi per le spedizioni a rapportarci con investitori e istituti finanziatori. Chitè ha seguito il classico percorso delle cosiddette “start up” italiane ed è cresciuta anche grazie all’apporto di investitori privati e fondi di investimento che sono diventati nostri soci. Il tempo ci ha messe di fronte a scelte complesse che non sempre hanno dato i ritorni aspettati. Abbiamo attraversato anni difficili dal punto di vista imprenditoriale tra una pandemia globale, guerre, inflazione e crollo del mercato degli investimenti. Ciononostante con il nostro team abbiamo lottato per portare avanti i valori della sostenibilità, responsabilità ed inclusività in cui abbiamo sempre creduto. Costruire la nostra credibilità non è stato immediato e negli anni abbiamo spesso dovuto affrontare momenti di sconforto o di delusione. Abbiamo la consapevolezza di aver dato tutto a Chitè, ogni singolo giorno, sacrificando praticamente tutti gli aspetti della nostra vita, con un solo rammarico: non aver creduto abbastanza in noi stesse e nel nostro istinto. Abbiamo acquisito un bagaglio di esperienza che è impagabile e che nessuno mai potrà toglierci. Ciò che stiamo vivendo è davvero difficile e doloroso ma ringraziamo infinitamente tutto l’amore che in questi anni è stato messo in Chitè da coloro che hanno lavorato con noi, dai clienti e dalla community, dalle influencer, dalle giornaliste e soprattutto da parte degli artigiani."
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#startup #autoimprenditoria E' molto triste leggere che avete sacrificato ogni aspetto della vostra vita per questo, indipendentemente dal fallimento, perché significa non aver vissuto a pieno la propria vita nella speranza di farlo in futuro. Sì l'esperienza rimane, ma un altro modo di fare imprenditoria è possibile e la retorica americanissima dell'estremo sacrificio dell'imprenditore è un mito da smontare a tutti i costi.
Il 16 Marzo, ormai un mese io e Chiara Marconi abbiamo fatto uscire la comunicazione ufficiale più difficile di questi anni.. “Con il cuore affranto, ma al tempo stesso pieno di gratitudine, vogliamo condividere con voi un annuncio importante riguardante il futuro di Chitè. Il meraviglioso viaggio purtroppo è arrivato alla fine e mettere per iscritto queste parole è per noi estremamente doloroso. Quando, abbiamo dato vita a questo progetto avevamo l'ambizione di costruire qualcosa di significativo per la vita di noi donne, mai avremmo immaginato a quante sfide e a quali gioie saremmo andate incontro. Avevamo un unico obiettivo: creare qualcosa che potesse avere un impatto positivo sulla vita di noi donne. Volevamo dare voce al 97% di donne che lottano quotidianamente con pensieri negativi riguardo alla propria immagine. Il desiderio di realizzare questo sogno ha tuttavia dovuto scontare le difficoltà di fare impresa in Italia e ad affrontare continue sfide che abbiamo sempre affrontato a testa alta, con determinazione e resilienza. Abbiamo costruito da zero un’azienda che è arrivata ad avere un team di 23 talenti, 3 negozi monomarca, una community di 80.000 persone e che ci sono valsi numerosi riconoscimenti. La verità è che non c’è nessuna università che ti prepara a ciò che significa essere imprenditore in Italia, venivamo da due mondi totalmente diversi, entrambe maestre di sci, una studi diplomatici e l’altra farmacia ma l’obiettivo e il sogno erano chiarissimi. Con ore infinite di lavoro abbiamo imparato tutto, passando dal fare i pacchi per le spedizioni a rapportarci con investitori e istituti finanziatori. Chitè ha seguito il classico percorso delle cosiddette “start up” italiane ed è cresciuta anche grazie all’apporto di investitori privati e fondi di investimento che sono diventati nostri soci. Il tempo ci ha messe di fronte a scelte complesse che non sempre hanno dato i ritorni aspettati. Abbiamo attraversato anni difficili dal punto di vista imprenditoriale tra una pandemia globale, guerre, inflazione e crollo del mercato degli investimenti. Ciononostante con il nostro team abbiamo lottato per portare avanti i valori della sostenibilità, responsabilità ed inclusività in cui abbiamo sempre creduto. Costruire la nostra credibilità non è stato immediato e negli anni abbiamo spesso dovuto affrontare momenti di sconforto o di delusione. Abbiamo la consapevolezza di aver dato tutto a Chitè, ogni singolo giorno, sacrificando praticamente tutti gli aspetti della nostra vita, con un solo rammarico: non aver creduto abbastanza in noi stesse e nel nostro istinto. Abbiamo acquisito un bagaglio di esperienza che è impagabile e che nessuno mai potrà toglierci. Ciò che stiamo vivendo è davvero difficile e doloroso ma ringraziamo infinitamente tutto l’amore che in questi anni è stato messo in Chitè da coloro che hanno lavorato con noi, dai clienti e dalla community, dalle influencer, dalle giornaliste e soprattutto da parte degli artigiani."
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La GenZ vuole vedere il backstage delle aziende! Quando parliamo con i ragazzi emerge sempre di più la necessità di trasparenza e autenticità nella comunicazione aziendale: i GenZ che si approcciano al lavoro vogliono vedere la vita quotidiana in ufficio, le persone che ci lavorano, il mood che si respira tra i colleghi e i team. Per questo ci siamo imbucati negli uffici di Grifo Group (Asfalia), gruppo che riunisce diverse società nel campo della consulenza assicurativa, e abbiamo catturato l'essenza e il mood che si respira tra i loro corridoi. Il progetto ha l'ambizione di diffondere una nuova prospettiva sulla figura del consulente assicurativo, evidenziando come la flessibilità, lo slancio imprenditoriale nel rapporto con i clienti, il lavoro di squadra e la formazione continua, siano valori che risuonano perfettamente con le esigenze attuali della GenZ. Con questa nuova rubrica vogliamo rendere i ragazzi i primi spettatori delle dinamiche aziendali, favorendo un futuro lavorativo più trasparente e inclusivo, dove possano sentirsi ispirati e pronti a contribuire con il loro entusiasmo e le loro idee. #Zelo #GenZ #Vitaaziendale #dietrolequinte
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PIÙ VICINI MARKETING E COMUNICAZIONE, OGGI SUL SOLE24ORE I muri impenetrabili del passato cadono sotto il peso della contemporaneità e della valenza politica. Così marketing e comunicazione diventano un unicum incentrato sul capitale narrativo delle aziende che diventa anzitutto capitale reputazionale per una funzione integrata e strategica. Nelle aziende cambiano pesi e contrappesi, con ruoli e organigrammi che si ridefiniscono, incidendo sulle funzioni apicali che orientano il business. Ne scrivo oggi con Fabio Grattagliano sul Sole24Ore intervistando Francesco Giorgino, da oggi in libreria con "Manuale di comunicazione e marketing” per Luiss University Press. "Emerge una chiara manifestazione dell’agire sociale all’interno di mercati diventati luoghi di conversazione tra marchi e cittadini", afferma Giorgino. "Siamo in una fase di transizione e il ruolo delle aziende non è più confinabile alla mera azione finanziaria", dice Paolo Boccardelli, rettore dell’Università Luiss e tra i massimi esperti di economia e gestione delle imprese. In pagina l'opinione di tre top manager che guidano la comunicazione in tre grandi gruppi industriali: Daniela Poggio (Stellantis), Maurizio Abet (Pirelli), Erika Mandraffino (Eni). Buona lettura 🙏 #marketing #sole24ore #daleggere
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Svariati decenni di attività professionale lavorando sul peggio che in una famiglia o ex famiglia può succedere, credo portino a questa visione che personalmente trovo plumbea. Se fossimo tutti così non avremo un grande futuro. Due riflessioni che mi vengono. La prima è contenuta in parte in questo articolo: è il tema della nostra cultura che ci porta a sentire il dovere di lasciare ai nostri figli qualcosa in più rispetto a quello che abbiamo ricevuto. Il qualcosa in più in termini di “robbba”, meglio detto patrimonio, è la versione più immediata e anche più italica. Ma il qualcosa in più ha margini più ampi: benessere, cultura, qualità della vita, prospettive ecc… Nella cultura anglosassone il tema è infatti diverso. Lasciare un patrimonio dopo non è un obbligo morale; è l’impegno in vita per poter permettere ai propri figli un progresso, un futuro migliore, che li contraddistingue. In particolare l’investimento in formazione di alto livello è la “donazione in vita” più rilevante in quella cultura. La seconda è valoriale. Credo fortemente che nella maggior parte dei casi raccogliamo cosa abbiamo seminato. Se ai nostri figli abbiamo dato veramente qualcosa, qualcosa di buono, di valore, di noi, a partire dall’amore e dalla cura, se con loro abbiamo costruito negli anni una relazione attenta che parte dall’esempio e prosegue con l’ascolto, allora trovo difficile che la moneta che ci venga restituita sia tutto questo squallore. #Famiglia
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Il volto di un’azienda porta i tratti delle #persone che la vivono ogni giorno. La #comunicazione d’impresa è il nostro campo da gioco e il nostro modulo mira a valorizzare il cammino quotidiano dell’azienda. La narrazione dei “dietro le quinte” dà vita a storie concrete ed effettive, a patto che, lungo la via per il goal, non si simuli: il rischio è di generare un racconto estraneo dal suo contesto. Ne hanno parlato Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano su Il Sole 24 Ore. Restituire la realtà è una missione che ritroviamo nel nostro lavoro, accompagnando le #imprese nel loro percorso narrativo, anche su LinkedIn. Una responsabilità che emerge in modo particolare oggi, di fronte alle sfide innescate dalle ultime frontiere tecnologiche. #ufficiostampa #pressoffice #storytelling #comunicazionedimpresa
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Cosa vuol dire essere #PartnerDiVita? Significa che le persone sono al centro di tutto ciò che facciamo. Vogliamo consentire alle persone di creare un futuro più sicuro e più sostenibile prendendoci cura delle loro vite e dei loro sogni. Come ci raccontano queste dodici storie di vita. Agiamo con il nostro business, le nostre persone e l’impegno nella società per contribuire al benessere economico, sociale e ambientale del Paese, generando un impatto concreto e positivo. Attraverso questo video vogliamo raccontare come lo facciamo: voci diverse, storie diverse, soluzioni diverse. Un unico Partner di Vita. #PiùDiUnLavoro #generaliitalia
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