Post di Roberta Mutti

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Journalist, communication consultant, architect, keynote speaker. For more info visit robertamutti.com. Editor in chief at Designweekguide.com. Author of the book Storia del Fuorisalone (History of Milan Design Week)

Nel mondo del design per lo più si cincischia attorno alla riedizione di una sedia - sempre quella – mentre là fuori, nella vita vera 😉 tra poco si giocano gli US Open. US Open = 100.000 palline da tennis in ogni torneo. E dunque, mi sono incuriosita e ho fatto un po’ di ricerche sulle palline da tennis. Ho scoperto che ogni anno si producono 330 milioni di palline da tennis (secondo alcuni 400 milioni), che non si riciclano, o comunque in minima parte. Un mercato globale che vale la bellezza di oltre 1.700 milioni di dollari, in crescita costante. Ma soprattutto, solo negli Stati Uniti (125 milioni di palline smaltite all’anno), 20 mila tonnellate di gomma e feltro. Se stiamo solo sugli US Open, siamo dunque a 100.000 palline, sempre le stesse dalla fine degli anni Settanta, le Wilson US Open. Una pallina Wilson US Open è fatta da due mezzi gusci di gomma incollati a caldo e vulcanizzati, che contengono aria per tenere la pallina in pressione. Alla pallina scartavetrata e ricoperta di adesivo, si incolla il feltro Tex/Tech. Poi la pallina completa, con l’adesivo vulcanizzato, rotola nel vapore, così il feltro torna allo spessore originale. A questo punto, riciclare una pallina è sostanzialmente impossibile. La Wilson, che sta cercando di affrontare la situazione, collabora con la Recycle Ball per recuperare le palline usate, ma a conti fatti, nonostante l’impegno, attualmente riesce a recuperare circa 12 milioni di palline (sì e no il 10% del totale negli Stati Uniti). Sempre la Wilson (che è il fornitore ufficiale degli US Open), è riuscita a fare una pallina più sostenibile, la Triniti. Sviluppata con la Dow Chemical Company, la nuova pallina non ha pressione e usa un feltro più flessibile del 50%. La pallina che risulta si può imballare in un packaging di carta, completamente riciclabile, ed è già un passo avanti, perché l’imballaggio della Wilson US Open è in plastica e metallo, necessario per mantenere la pressione. Ma la pallina, comunque, non è riciclabile. Qualcuno è riuscito a fare una pallina biodegradabile, ma ancora non si usa nei tornei di primo livello. Una società olandese, Renewaball, ha messo a punto una tecnica per separare la gomma dal feltro, e produce palline in parte riciclabili, con parte della gomma riciclata dalle palline usate. Anche in Italia si muove qualcosa, con Return-Recycle Balls, un progetto dell’Università di Padova con la Federazione Italiana Tennis e Padel. Return ha messo a punto un processo che permette di ridurre le palline usate in una polvere di gomma, con cui Lotto Sport Italia ha realizzato la suola delle sneakers OOH!, per esempio. Questa polvere di gomma si potrebbe usare anche nel settore dell’arredamento. Insomma, ci sarebbe da fare assai per un sacco di designer. Probabilmente ci vorrebbero coordinamenti più efficaci. Voglio dire, il riciclo delle palline da tennis non può essere lasciato alla Federazione Italiana Tennis. Il design non dovrebbe essere un processo? E se non sono processi questi… 

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Carla A. Bordini Bellandi

IACC colour consultant and designer, chromatology lecturer, textile consultant, writer, artist

5 mesi

Ottima riflessione, Roberta Mutti. Da approfondire, più che il tema specifico, del quale si dovrebbero occupare intensamente gli specialisti, è la necessità di coordinamenti più efficaci: credo che a livello europeo, ma anche intercontinentale, dovrebbero nascere organizzazioni fra di loro collegate, alle quali - poi - dovrebbero fare capo molteplici distaccamenti nazionali. Il fine è quello di istituire una banca dati dei materiali e delle sostanze riciclabili, provenienti dal fine vita di oggetti e prodotti in generale, corredati di schede tecniche e di ipotesi di riciclo. Solo in questo modo si faciliterebbe la possibilità, per le aziende produttrici, di trovare sul mercato dell'"usato" componenti o materiali necessari, da impiegare come materia prima "seconda", evitando il più possibile l'uso di materie prime vergini.

Aurelio Magistà

editor at La Repubblica

5 mesi

Brava Roberta Mutti, Anche io sono stanco di tutte le false credenze, i pregiudizi, i luoghi comuni che si abbattono su di noi nel nome della sostenibilità, senza un minimo di esitazione e di dubbio. Il tuo dubbio, la tua curiosità, aprono uno squarcio sulle tante zone oscure e ignoranze di questo ambito, e non vuoi lasciarci nel pessimismo: confidi anche in una soluzione. Però questo è uno degli esempi che cci fanno intuire quante non ne sappiamo. Millanta?

Michela Baldessari

Docente in furniture design presso RAFFLES MILANO

5 mesi

Giusta osservazione!

francesco bettoni

designer @francesco bettoni designlab

5 mesi

Interessante

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