Andrà tutto bene.

Andrà tutto bene.

Fu in quel momento che lo Chef raggiunse l’apice della sua rabbia che stava cercando di reprimere. Raccolse il grembiule dal pavimento con uno scatto quasi innaturale e lo lanciò con forza fuori dalla finestra, come fa un soldato che getta via una granata innescata.

In quel momento Gabriele, uno dei camerieri di quel turno serale, capì che sarebbe stata una nottata d’inferno. Ad occhio e croce erano più le volte in cui lo Chef era arrabbiato, cupo, sociopatico, rispetto quelle in cui era non sereno, non felice, non come un qualsiasi essere umano normale, ma almeno non in preda a continui schiamazzi, bestemmie e intento a lanciare oggetti in aria.

Quando capitavano queste serate, ovvero quasi sempre, Gabriele sapeva cosa fare: testa bassa, lavorare sodo e incrociare il meno possibile lo sguardo accusatore del suo Chef, nonché titolare del ristorante. Bisognava solo resistere! Sarebbero mai passate quelle 7,8,9,10 ore?

A questo punto, bisognava solo sperare che la solita comitiva di affamati da dopo-sbornia non sarebbe entrata anche quella sera dopo le 23:30, chiedendo docilmente: “la cucina è ancora aperta?”. Così il malcapitato cameriere avrebbe di nuovo superato abbondantemente il suo orario di lavoro, condito da straordinari non pagati, ferie inesistenti, contratti a stage.

Preso da questi pensieri, un piccolo tremolio gli percorse il corpo partendo dalla testa, attraversandogli il braccio fino ad arrivare alla mano che si strinse in un pugno. Subito sostituì quei pensieri, da quello della sua famiglia che lo stava attendendo a casa; prese un bel respiro, riaprì la mano e si incamminò in sala, i primi clienti stavano entrando…

Quella sera ci fu il pienone.

Era esausto e continuava a pensare di essere troppo sottopagato rispetto alla mole di lavoro che stava svolgendo, ma continuava a ringraziare Dio e a ripetersi che finché c’era gente che entrava nel locale, c’era lavoro per tutti, così come le paghe seppur misere.

L’ennesimo tavolo, l’ennesimo cliente, l’ennesima comitiva, l’ennesima ordinazione presa, l’ennesima bestemmia dello Chef che incitava i suoi camerieri ad essere più rapidi, più sorridenti, più chiari nella grafia delle comande; le sue gambe sempre più pesanti e quel desiderio viscerale che aumentava di fiondarsi sotto una doccia calda.

Quel cliente che chiamava da destra, un altro che fischiava cercando di richiamare l’attenzione da sinistra, quando il vassoio con tutti i manicaretti appena preparati dallo Chef, in un attimo di distrazione, scivolò dalle mani di Gabriele rovesciandosi proprio su quel cliente giacca e cravatta con la pancia importante, di quelle che mettono in seria difficoltà i bottoni robusti di una camicia di qualità.

Fa che non sia uno di quelli spocchiosi, ma che si risolva tutto con un mi dispiace, sperò invano Gabriele. Il cliente si alterò più del necessario, il cibo scivolando dal vassoio lo aveva appena sfiorato, ma dover fare una scenata sembrava una opzione obbligata per quell’uomo frustrato che doveva mantenere il suo ruolo nella società di persona insopportabile e boriosa.

Lo Chef si fiondò dalla cucina in sala, gelando innanzitutto Gabriele con lo sguardo, per poi sfoggiare uno dei suo miglior sorrisi finti, scusandosi col malcapitato cliente che aveva qualche goccia di sugo qui e lì. L’uomo altezzoso non sembrò soddisfatto, iniziò ad elencare improbabili recensioni che avrebbe redatto su tutti i social più in voga, adducendo con tono minaccioso anche ad un’amicizia con il titolare di un ente televisivo locale. “La cena è offerta dalla casa, per scusarci dello spiacevole inconveniente”, dichiarò lo Chef. “Gabriele alle volte è un po’ distratto! Ti sei scusato Gabriele? Dai scusati!”.

Gabriele, un uomo di 46 anni con una moglie e una figlia, chiuse la bocca alla vocina della sua dignità, scusandosi per l’ennesima volta nei confronti di quella persona odiosa e approfittatrice, con il fare di un cagnolino bastonato pur di salvaguardare il suo lavoro e la paga di quella sera. La figlia di lì a poco sarebbe andata alle medie, pensava, stava diventando più grande, così come le sue esigenze.

“Chiedo scusa signore, non ricapiterà più!”.

La serata volgeva al termine, restò in sala un ultimo, irriducibile gruppo di debosciati avventori del locale, estremamente non curanti dell’orario di chiusura già superato e non mostrando un minimo di rispetto nei confronti dei lavoratori, che esausti cercavano invano di attirare l’attenzione del gruppo sistemando e pulendo nel modo più vistoso possibile, nella speranza che il più magnanimo della comitiva si rendesse conto che anche loro da esseri umani desideravano terminare il turno per tornare a casa e riposarsi.

Ma così non fu, anzi. I camerieri iniziando a spazzare in terra proprio nell’angolo vicino dove vi sedevano, avevano lanciato un gesto di sfida! I clienti trasportavano nelle tasche sonante denaro, avevano diritto di sostare quanto più tempo volessero dopo la cena! Anzi, scambiandosi qualche frase sottile e in sottofondo, si trovarono d’accordo nel restare nel locale quanto più tempo possibile, per constatare chi avesse mai avuto la faccia tosta di dichiarar loro che l’attività fosse in chiusura.

Gabriele, scopa alla mano, inizio a stringerne il manico quanto più forte poteva. Gli sembrava di aver tra le mani il collo di ognuno di quei clienti e con soddisfazione immaginava di strozzarli, aveva ben capito a che gioco stessero giocando, erano dei sadici bastardi. Ovviamente non gli avrebbe mai fatto realmente del male, era una di quelle persone che non avrebbe danneggiato nemmeno una mosca, ma si faceva cullare dalla fantasia di farlo, cercando di calmare la rabbia dentro di sé che diventava sempre più acuta, reduce anche della serata dura e spiacevole. Prima il vassoio rovesciato e l’umiliazione ricevuta , poi in cucina nel finir della servita, stava asciugando i bicchieri venuti fuori dalla lavastoviglie, causandone maldestramente la rottura di due di essi ricevendo così l’ennesima sfuriata dello Chef sempre pronto ad inveire pesantemente sui suoi collaboratori in circostanze del genere. Preso da chissà quale coraggio, Gabriele decise che era arrivato il momento di buttare fuori a calci, metaforicamente, quei clienti maleducati e menefreghisti.

“Signori, grazie per aver scelto il nostro ristorante, ecco il conto “.

Il tavolo in toto si ammutolì, guardarono tutti dall’alto in basso il cameriere che aveva osato disturbarli, il più esuberante tuonò: “Ah il conto! Va bene, ma non lo avevamo chiesto. Ci state cacciando praticamente!”

“Assolutamente no signore, semplicemente siamo in chiusura, a momenti lo staff va via” rispose calmo Gabriele.

“Capisco caro”, rispose ironicamente il cliente “Chiamami il responsabile!”

“Sono io il responsabile”, lo sincerò Gabriele.

“Ah, e allora chiamami il padrone. Chiamami il titolare”, concluse il capotavola di quel gruppo e così dicendo, tornò amabilmente a chiacchierare con i suoi commensali voltando le spalle al cameriere come se non fosse mai stato lì, come se non esistesse.

Lo chef raggiunto l’ultimo tavolo rimasto in sala e compresa la situazione, redarguì di nuovo Gabriele e offri un amaro a tutto il gruppo che si trattenne ancora per 45 minuti interminabili per tutti.

Quando finalmente gli ultimi avventori della serata lasciarono il locale, il titolare andò alla cassa prendendone tutto il contenuto e ritirandosi nel suo ufficio lasciò il suo staff, che ormai aveva già concluso tutte le pulizie da un pezzo, ad attendere ulteriormente, prima di poter tornare alla propria abitazione.

“Non capisco davvero”, esordì Alfonso, uno dei camerieri, rivolgendosi a tutti i suoi colleghi, “Ogni sera la stessa storia! Dopo 12,14 ore di turno, dobbiamo aspettare che lui faccia i conteggi della serata, prima di darci la paga e congedarci!”

Quindi da che era seduto si alzò in piedi e aprendo le braccia esclamò rivolgendosi al gruppo “ma che significa? Che se non ha guadagnato abbastanza non ci paga? Io sono stanco, voglio andare a casa! Non sento più i piedi”.

Tutti gli altri lo guardarono per un attimo, ma nessuno rispose. Alfonso tornò a sedere e si accese una sigaretta. Erano tutti d’accordo con lui, ma nessuno aveva il coraggio di protestare, il lavoro in giro scarseggiava e tutti avrebbero avuto paura di dover trovare un altro ristorante che li facesse lavorare ed erano ben consapevoli che il loro titolare ci sguazzasse allegramente in questa pozzanghera di paura, così come sguazzano i maiali nel fango.

Dopi altri 25 minuti, lo Chef comparve in sala, i lavoratori si disposero in fila come tutte le notti per ricevere la loro paga appena sufficiente per le spese di prima necessità. Tutti ritirano il proprio compenso. Gabriele che era di animo gentile era sempre l’ultimo della fila perché non avrebbe mai voluto scavalcare nessuno in alcuna circostanza. Quando arrivo il suo turno lo Chef gli volto le spalle senza degnarlo di attenzione alcuna.

“Chef”, lo chiamò quasi con un filo di voce Gabriele.

“Che c’è?” gli rispose il titolare quasi con tono seccato.

“Non sono stato pagato…”.

Lo Chef quindi iniziò a sputare una parola dietro l’altra a raffica, quasi come un venditore da strapazzo, intento a vendere qualcosa di impossibile e di poco conveniente al suo potenziale cliente. Asseriva che quella sera aveva combinato troppi guai e a causa sua aveva quasi sicuramente perso dei clienti che non sarebbero rientrati, vista la sua faccia tosta nel volerli cacciare via. Per non parlare della spesa dei bicchieri e di quel cliente importante che sicuramente avrebbe parlato male di loro in TV. Era già un miracolo che non lo licenziava all’istante, figuriamoci pagarlo! Ma siccome lui era un titolare magnanimo e comprensivo, gli avrebbe dato un’altra chance. Già il solo chiedergli la paga era un ulteriore affronto.

Gabriele senti di nuovo quel tremolio percorglierli il corpo che gli fece istintivamente chiudere di nuovo la mano a pugno. I suoi occhi si fecero di fuoco, forse per la prima volta nella vita avrebbe davvero colpito qualcuno, lo desiderava fortemente.

Allertato da un istinto primordiale lo Chef sembrò rendersi conto della rabbia che stava per esplodere nel suo dipendente, diede una rapida occhiata alle sue spalle e vide che tutti gli altri lavoratori erano già andati via, nessuno lo avrebbe salvato in caso di lite. All’istante perse la sua postura dritta e impeccabile, incurvò le spalle e fece un passo indietro. La sua voce divenne quasi tremolante, uscendo dalla sua bocca mentre cercava di mettersi al riparo con le solite 4 chiacchiere da funambolo circense.

“Eh Gabriele su dai, non te la prendere! Io da titolare devo impartire anche delle lezioni ai miei dipendenti!”

Niente, Gabriele sembrava ormai un toro che vede rosso. Un suono gutturale iniziò a provenire dalla sua ugola, inconsciamente digrignò i denti, qualcuno nell’osservarlo avrebbe potuto quasi pensare che stesse ringhiando. La paura crescente di ricevere un pugno in pieno volto, non persuase lo chef che continuò con la sua predica, quasi supplica a quel punto.

”Gabriele, pensaci bene, ti sto facendo un favore! La prossima volta sicuramente non farai più gli stessi errori! Chi credi che assumerebbe un cameriere così sbadato? Invece di licenziarti ti sto dando l’ennesima opportunità!”

Il titolare del locale lanciò sul tavolo il suo jolly, quello che usava sempre quando non riusciva a far valere le sue ragioni spesso malsane e di cui poteva trarne solo lui beneficio. Gabriele sentì quella minaccia non troppo velata di licenziamento come se provenisse da molto lontano, ma fu sufficiente perché gli arrivasse al cervello. Pensò al giorno successivo senza la sua paga giornaliera, non aveva abbastanza risparmi per resistere più di un mese senza entrate, poi pensò alla famiglia, alla moglie, alla figlia, un eventuale sfratto, non avrebbero saputo dove andare; pensò a tutta la famiglia al supermercato, alla figlia che vedendo le sue merendine preferite le avrebbe chieste al suo papone che avrebbe dovuto negargliele. Riaprì la mano ed espirando finalmente l’aria trattenuta per tutti quegli istanti di quella conversazione, concluse affermando: "va bene, ci vediamo domani."

Gabriele uscì a passi brevi dal locale, si sentiva sconfitto, ripercorreva le immagini di quella serata, ma la rabbia lo aveva abbandonato, si sentiva estremamente triste, avrebbe voluto essere di nuovo un ragazzino, così qualora qualcuno lo avesse sorpreso a piangere non si sarebbe sentito giudicato.

Si avvicinò alla sua auto un po’ datata e inserì la chiave nel cilindretto della serratura per aprire la portiera che decise di non aprirsi. Gabriele sembrava incredulo, sentenziò la sorte nella sua mente chiamandola ingiusta, non meritava anche questo in quella notte.

Pregava la portiera dell’auto di aprirsi come un prigioniero che sta per essere giustiziato e prega il suo boia di non abbatterlo. Girò con più forza, ma niente, la portiera ferma e impassibile non sembrava aver intenzione di favorirlo. In quel momento sentì una goccia sul viso, poi altre tre, poi ancora altre, fin quando le gocce non divennero come secchiate d’acqua che cadevano dal cielo. Gabriele rimase immobile, con le dita che tenevano la chiave incastrata nel cilindretto. Un lampo veloce seguito da un tuono imponente accompagnarono la scena, la pioggia sembrò scendere ancora più violentemente.

In quel momento Gabriele si concesse il lusso di piangere, se pure qualcuno fosse passato a quell’ora della notte avrebbe confuso le sue lacrime con la pioggia.

Appoggiato sulla carrozzeria della sua auto tirò la maniglia della portiera di scatto, disperatamente come se volesse sradicarla. Questa si aprì inspiegabilmente con un click sonoro, forse il fato aveva deciso che per quella sera ne aveva avuto abbastanza.

Dopo il tragitto in auto si trovò davanti la porta di casa finalmente, era fradicio. Cercò di aprire la porta lentamente senza emettere rumori che avrebbero potuto svegliare la sua famiglia. Sua moglie però era lì ad aspettarlo, non poteva prendere sonno fin quando il suo uomo non era con loro. Nella penombra dell’ingresso e grazie anche alla stanchezza, la moglie non notò che il marito fosse bagnato fradicio. Dal divano su cui era seduta chiese come fosse andata la giornata di lavoro.

Il marito rispose chiedendo dove fosse la piccola di casa e se stesse bene.

“Sì, sta dormendo come un angioletto nella sua cameretta”.

Quindi di nuovo la moglie chiese al marito ” come é andata la serata”?

“Bene amore mio”, rispose Gabriele cercando di suonare sincero e rilassato, “é andata benissimo”.


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