La tecnologia nella ricerca e nella medicina
L’uso sapiente dell’innovazione tecnologica ha sempre dato un contributo fondamentale alla ricerca, quindi alla salute. Governando i rischi, anche oggi non va persa l’opportunità. Intelligenza artificiale inclusa.
A cura di Giuseppe Gazzola e Grazia Rocca
Indice:
Intelligenza artificiale, medicina, ricerca, salute: come sarà il nostro futuro
Le competenze del neurologo, oggi, devono diventare tecnologicamente avanzate: chi resterà indietro, resterà indietro sempre.
Lo ha detto Alessandro Padovani, Presidente della Società Italiana di Neurologia (SIN) al recente Congresso annuale. I nostri medici lo sanno: il passato conta, l’innovazione in neurologia ha portato in pochi anni circa venti farmaci nuovi per la sclerosi multipla, la risonanza magnetica ha cambiato la precisione e la rapidità della diagnosi, ma oggi siamo alle porte di una nuova rivoluzione tecnologica, che passa per l’intelligenza artificiale e interessa ogni ambito di vita, personale e comunitario, la ricerca scientifica, la nostra salute. In un articolo dell’American Academy of Neurology leggiamo:
«L’erogazione di un’assistenza sanitaria di alta qualità si basa su un’orchestrazione complessa del flusso di dati dei pazienti. L’utilizzo dell’IA sui dati dei pazienti sarà essenziale per guidare l’innovazione dell’assistenza sanitaria e per migliorare la vita dei pazienti, ma comporta anche sfide uniche. Affari, etica, regolamentazione e formazione medica dovranno evolversi di concerto».
Una ricerca pubblicata nel 2023 negli Stati Uniti sulla rivista Jama Internal Medicine ha confrontato circa 200 risposte date dai medici su alcune domande poste dai pazienti con le risposte date alle stesse domande da ChatGPT. Il confronto è stato effettuato da tre medici, che non sapevano quali fossero le risposte date dai colleghi e quelle date dall’intelligenza artificiale. Tutti e tre gli esperti hanno preferito le risposte di ChatGPT, assegnando loro un punteggio medio di qualità di 4 e un punteggio medio di empatia di 4,67 su un massimo di 5, mentre alle risposte del medico è stato assegnato un punteggio medio di 3,33 per la qualità e 2,33 per l’empatia.
Un altro studio effettuato a Boston e pubblicato a ottobre 2024 sulla rivista Jama Network Open, ha messo a confronto le diagnosi effettuate dall’intelligenza artificiale di ChatGPT4 con quelle effettuate sugli stessi casi clinici dai medici, alcuni dei quali usavano l’intelligenza artificiale come supporto.
Le diagnosi effettuate dall’intelligenza artificiale hanno ottenuto un punteggio del 90%, quelle effettuate da medici col supporto dell’intelligenza artificiale del 76%, i medici che non hanno usato l’intelligenza artificiale si sono fermati al 74%.
Gli autori sottolineano che i sistemi AI dovrebbero essere considerati ‘estensioni del medico’, offrendo ai professionisti preziosi secondi pareri a supporto del processo decisionale.
Un recentissimo studio curato dal Gruppo di Studio SIN dedicato alle tecnologie digitali, condotto da Luigi Lavorgna, ha pubblicato nel 2024 i risultati di un’indagine sulle preferenze di 1133 persone con SM: sono state loro inviate risposte a quattro quesiti frequenti, scritte da un neurologo e da ChatGPT, senza ovviamente dichiarare chi aveva dato la risposta.
Alle persone era chiesto di valutare ciascuna risposta da diversi punti di vista. Le risposte fornite da Chat GPT hanno avuto un punteggio significativamente migliore riguardo all’empatia percepita dalla persona, mentre non c’erano significative differenze relativamente alla qualità dell’informazione ricevuta.
Più il livello di istruzione era alto, meno venivano preferite le risposte di Chat GPT.
Gli autori suggeriscono che ChatGPT potrebbe emergere sempre di più come un utile supporto nella gestione sanitaria piuttosto che come un’alternativa. Ma la domanda resta, per noi: preferiremmo farci fare la diagnosi e dare la cura dall’intelligenza artificiale, da un medico in modo tradizionale o da un medico capace di usare l’intelligenza artificiale a supporto delle proprie valutazioni?
Con le nuove tecnologie consentire una medicina personalizzata nella sclerosi multipla
La salute digitale (digital health) e la telemedicina
Il futuro disegnato dall’innovazione tecnologica ha un altro focus: la telemedicina e la ‘salute digitale’, punto d’incontro tra le tecnologie digitali e l’innovazione con il settore della salute, del benessere, dell’assistenza sanitaria. Il campo della salute digitale include la telemedicina, il fascicolo sanitario, la ricetta sanitaria elettronica, ma anche ‘app’, sensori, dispositivi indossabili che producono costantemente dati sul nostro stato di salute.
Per capire come tutto questo sia già oggi e in futuro sempre più applicato e applicabile alla sclerosi multipla ne parliamo con Luigi Lavorgna, Giampaolo Brichetto , Andrea Tacchino, Jessica Podda , Ludovico Pedullà ed Erica Grange .
La nuova frontiera della persona al centro della ricerca e della cura: i dati ‘passivi’
«La digitalizzazione nella sclerosi multipla – spiega Luigi Lavorgna – può dare un contributo importante non solo nel facilitare il rapporto che le persone hanno col proprio problema di salute, ma anche per rendere più efficace il rapporto tra medico e paziente e per favorire la gestione».
Giampaolo Brichetto aggiunge: «Le nuove tecnologie, nella sclerosi multipla, sono utilizzabili per un monitoraggio costante, non limitato al tempo della visita annuale di controllo, dello stato di salute della singola persona. In secondo luogo, possono rendere più efficace l’approccio clinico e consentire una reale medicina personalizzata, capace di dare a ogni persona la risposta che le serve».
Per quanto riguarda il monitoraggio dello stato di salute, ricorda sempre Brichetto, la tecnologia consente oggi di raccogliere tanto «i cosiddetti ‘dati attivi’ forniti dalla persona stessa rispondendo a questionari su specifici ambiti – come quelli legati ai cosiddetti Patient Reported Outcomes – quanto i cosiddetti ‘dati passivi’, forniti sempre dalla persona e ottenuti tramite applicazioni, sensori, dispositivi indossabili».
Un esempio: il nostro smartphone misura il numero dei passi che facciamo ogni giorno, o altri parametri legati ad esempio alla frequenza cardiaca, al consumo calorico etc. L’acquisizione di questi dati è completamente trasparente per l’utente, non dobbiamo recarci in un ambulatorio a fare dei test clinici, non dobbiamo auto-valutarci tramite un’app, dobbiamo solo permettere ai sensori che indossiamo di raccogliere in modo continuo questi dati.
La nuova frontiera, dunque, è sempre più collegata ai cosiddetti ‘dati passivi’: «Molte pubblicazioni recenti – ricorda Brichetto – evidenziano come l’aderenza delle persone alla raccolta attiva di dati sul proprio funzionamento tende a ridursi nel tempo. Diverso è quando i dati sull’equilibrio, sul cammino, sull’attenzione e su altri parametri di funzionamento motorio e cognitivo vengono raccolti in modo trasparente, passivo, tramite sensori presenti nello smartphone, sensori ambientali o altri dispositivi indossabili».
Dati passivi: cosa si può fare con lo smartphone
Al recente Congresso della Società Italiana di Neurologia, Luigi Lavorgna ha tenuto una conferenza intitolata "Monitoraggio passivo delle funzioni motorie e cognitive nella sclerosi multipla", nella quale ha mostrato come già oggi negli smartphone di uso quotidiano siano presenti particolari sensori (accelerometri, girometri, inclinometri) che consentono di misurare nel tempo l’attività motoria di una persona e, se opportunamente trattati tramite algoritmi di intelligenza artificiale, di individuare eventuali miglioramenti o peggioramenti.
Il sensore di prossimità, che rileva la vicinanza del dispositivo all’utente, può riflettere l’eventuale presenza di tremori o problemi di coordinazione. Il sensore delle dinamiche di battitura può rilevare la presenza o il peggioramento delle abilità finimotorie ma anche indicare il sopraggiungere di eventuali deficit cognitivi.
Il registro delle chiamate, che protocolla la frequenza e la durata delle chiamate, consente di individuare un’eventuale riduzione del tempo e dei modi di utilizzo, suggerendo un possibile ritiro sociale o sopraggiunte difficoltà di comunicazione.
Il registro delle attività del dispositivo così come il modello di invio dei messaggi tramite smartphone può riflettere cambiamenti nella funzione cognitiva.
Persino il calendario del cellulare può aiutare a monitorare eventuali cambiamenti potenzialmente indicativi di difficoltà di memoria o organizzative.
Le tecnologie di tracciamento oculare presenti negli smartphone e in altri dispositivi mobili consentono di misurare i movimenti oculari saccadici, ossia i movimenti rapidi con cui per esempio passiamo da una parola all’altra e i movimenti di inseguimento oculare, con la possibilità di individuare eventuali peggioramenti in questa funzione.
Il modo con cui utilizziamo il microfono nelle chiamate può aiutare a individuare eventuale presenza del sintomo della fatica ed eventuali cambiamenti nel linguaggio.
Ampliando ulteriormente lo sguardo, secondo gli autori di una pubblicazione del 2017 «utilizzare test semplificati adattabili alla tecnologia degli smartphone in sostituzione del test dei 9 pioli per le funzioni motorie e del test dei 25 passi per le funzioni cognitive potrebbe aumentare la potenza delle scale composite per la sclerosi multipla progressiva».
Che non si tratti, nel complesso, di fantascienza ma di scienza lo dimostrano le pubblicazioni scientifiche presenti in letteratura, come testimonia la revisione delle pubblicazioni esistenti pubblicata già nel 2021 da un gruppo di ricercatori tedeschi sui "Digital biomarkers nella sclerosi multipla", ossia sulle «opportunità esistenti e future per catturare biomarcatori digitali clinici nella cura delle persone con SM».
Quella dei gemelli digitali ("digital twins") è una strada su cui stanno lavorando anche i ricercatori della nostra Fondazione (FISM), come conferma Andrea Tacchino: «Anche se ci vorrà tempo – spiega -, nella ricerca si sta seguendo la strada dei cosiddetti “gemelli digitali” della persona con sclerosi multipla. Si tratta di utilizzare i dati tratti dalla persona, elaborarli attraverso algoritmi dell’intelligenza artificiale per definire un “gemello digitale” rispetto al quale simulare situazioni cliniche, elaborare sistemi per prefigurare l’andamento della malattia e identificare il miglior approccio terapeutico. Questo è anche un obiettivo del Progetto RAISE Liguria (Robotic and Aritificial Intelligence for Socio-economic Empowerment), promosso dall’ Istituto Italiano di Tecnologia e finanziato tramite il PNRR, per l’individuazione di soluzioni tecnologiche basate su sistemi robotici e intelligenza artificiale, in cui siamo coinvolti anche noi ricercatori di FISM».
I sensori ambientali per le persone con disabilità più avanzata
Altrettanto prezioso può essere l’utilizzo dei cosiddetti sensori ambientali per monitorare al domicilio lo stato di salute di una persona con una forma avanzata di disabilità: «Soprattutto per le persone con disabilità avanzata – spiega Lavorgna – è possibile implementare l’assistenza e il monitoraggio da remoto grazie a specifici sensori e applicazioni legate alla domotica, che non devono per forza essere indossabili. Una telecamera, per esempio, può consentire di avere dati costanti sul tipo di movimento che la persona riesce a fare, anche solo per andare dal letto al bagno o sul tono di voce, sul linguaggio utilizzato, sulle difficoltà ad articolare le parole che possono sopraggiungere. Per queste persone, che avrebbero serie difficoltà a uscire da casa per venire in un Centro sclerosi multipla, la tecnologia oggi consente di effettuare delle televisite, magari in presenza di un caregiver, che consente alla persona e alle famiglie di non sentirsi abbandonate a sé stesse e al medico specialista di continuare a seguire da vicino persone che altrimenti sarebbero difficili da raggiungere».
Esempi di progetti FISM con l’uso di nuove tecnologie
Presentiamo qui alcuni esempi che riguardano la ricerca promossa, sostenuta e indirizzata da FISM.
Barcoding MS
Lanciato da FISM nel 2022 il progetto prevede l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per integrare i dati clinici, genetici, di imaging e anche quelli provenienti dalle persone, in forma attiva (Patient Reported Outcomes) o passiva (dispositivi indossabili etc.) per ottenere una fotografia multidimensionale personalizzata della progressione clinica e della biologica della malattia.
AI Moka: l’intelligenza artificiale applicata alla vita delle persone con SM
In questo progetto, che fa parte del più ampio progetto RAISE, coordinato da Università degli Studi di Genova , Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’ Istituto Italiano di Tecnologia tramite i fondi del PNRR, «noi ricercatori di FISM – spiega Ludovico Pedullà – seguiamo, tra le altre attività, un progetto sperimentale nel quale viene richiesto alle persone di eseguire un gesto culturalmente importante come quello di fare il caffè mentre si indossano degli strumenti tecnologici. Alle persone vengono fatte indossare delle solette sensorizzate che, inserite nelle scarpe, consentono di misurare la qualità del cammino e la capacità di autobilanciarsi durante le diverse fasi del compito. Viene inoltre utilizzata la cosiddetta computer vision, una branca dell’intelligenza artificiale che estrae informazioni dalle immagini videoregistrate tramite appositi occhiali che vengono indossati durante l’esecuzione del compito». Erica Grange aggiunge: «L’aspetto innovativo di questo progetto consiste nell’utilizzo combinato di sensori indossabili e algoritmi di intelligenza artificiale per monitorare in modo preciso e puntuale funzioni cognitive e motorie durante lo svolgimento di attività di vita quotidiana, andando al di là dei test tradizionali di laboratorio che permettono di misurare questi aspetti attraverso paradigmi distanti dalla realtà delle persone».
iFeel: l’intelligenza artificiale per capire meglio come si muove una persona con SM
Sempre all’interno del Progetto RAISE – racconta Jessica Podda – «insieme con Unità di Ricerca di Artificial and Mechanical Intelligence dell' Istituto Italiano di Tecnologia , guidato da Daniele Pucci , stiamo valutando una suite tecnologica composta da una tuta sensorizzata e un paio di scarpe, a confronto con le misure ottenute negli stessi test senza indossare l’abbigliamento sensorizzato. I sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale applicati ai dati cinematici e dinamici raccolti tramite la tuta e le scarpe sensorizzate consentono di avere una misura più precisa e oggettiva del funzionamento motorio, che anche l’occhio clinico esperto difficilmente riuscirebbe ad ottenere. Dopo una prima fase dedicata a persone con bassa disabilità, inizieremo nel 2025 una seconda fase destinata a persone con disabilità più elevata».
REMOTE -MS: un percorso di teleriabilitazione
Un ultimo esempio, tra i molti studi in cui i ricercatori di FISM sono impegnati è il Progetto Remote MS. In questo caso, come spiega Andrea Tacchino, «due gruppi di persone con SM svolgono lo stesso training di riabilitazione cognitiva: il primo gruppo viene seguito dal terapista in ambulatorio, il secondo gruppo tramite la teleriabilitazione in cui la persona è a casa sua, collegata a un monitor. Confronteremo i risultati ottenuti per vedere se il trattamento tradizionale e quello erogato in teleriabilitazione sincronica ottengano risultati analoghi. Se le ricerche in corso attesteranno la non inferiorità della teleriabilitazione rispetto ai trattamenti tradizionali, in futuro potrà diventare una modalità per raggiungere persone anche in luoghi lontani dall’ambulatorio ed estendere il trattamento a un maggior numero di pazienti».
In questo progetto, aggiunge Tacchino, c’è anche la possibilità di istituire una sorta di ambulatorio virtuale che collochi in un ideale ambiente del cosiddetto metaverso (ossia quel tipo di realtà virtuale dove la persona è rappresentata in tre dimensioni tramite un proprio avatar) un gruppo di persone che possono collegarsi, utilizzando il caschetto della realtà pur essendo in posti diversi, per fare insieme una sorta di riabilitazione cognitiva di gruppo.
Anche in questo caso la tecnologia del futuro potrebbe consentire di superare barriere spaziali e di mettere a disposizione delle persone la possibilità di essere seguite per la riabilitazione cognitiva anche da terapisti specializzati che esercitino la professione in parti del territorio diverse. Un ulteriore sviluppo tecnologico per il futuro non immediato, che però lascia immaginare una direzione suggestiva.
Intelligenza umana e intelligenza artificiale: questo matrimonio s’ha da fare
Abbiamo avuto solo un assaggio, in queste poche pagine, di ciò che la tecnologia e l’intelligenza artificiale possono supportare per le persone in quel vasto mondo che oggi si chiama Digital Health: dal contatto medico-paziente tramite tele-visita, al monitoraggio costante grazie ai dati passivi recuperabili dalla vita quotidiana, dalla possibilità per il medico di confrontarsi con gli algoritmi di intelligenza artificiale per la diagnosi e la scelta della terapia. Conclude Lavorgna:
«Nella ricerca, nel monitoraggio, nella presa in carico sulla sclerosi multipla dobbiamo introdurre sempre di più e meglio l’uso della tecnologia. Non c’è da avere paura della tecnologia e dell’intelligenza artificiale e nemmeno dobbiamo pensare che nel futuro risolverà da sola qualsiasi problema di cura: dobbiamo invece valorizzare l’interazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, per consentire alle persone con SM, anche quelle con forme più avanzate di disabilità, di avere risposte sempre più efficaci».
Questo dossier è tratto da smitalia, la rivista dedicata ai nostri soci.
Responsabile di reparto presso Rovagnati S.p.A.
5 giorniOttimo , sarebbe interessante anche uno studio per valutare un percorso neurofisico purtroppo trascurato.