Ti racconto la mia traduzione - parte 3
Sebbene i linguisti non siano unanimi nel dare una definizione di “espressione idiomatica”, si considera tale un’espressione convenzionale caratterizzata dall’abbinamento di un significante fisso (le parole che la compongono) a un significato non composizionale, cioè non prevedibile a partire dai significati dei suoi componenti. Considerate nella loro interezza, le espressioni idiomatiche rimandano a un significato traslato derivante da procedimenti metaforici e condiviso dall’intera comunità linguistica di riferimento. Durante la traduzione di Un Sicilien à Paris – Anamorphoses mi sono imbattuto in molte espressioni idiomatiche francesi. Queste non hanno generato vere e proprie difficoltà di traduzione perché, in quasi tutti i casi, ho trovato una corrispondenza esatta tra l’espressione francese e quella italiana. Diversamente, ho optato per soluzioni che fossero adatte alla situazione in un contesto italiano. L’analisi della loro origine e dei significati attestati, tuttavia, mi è servita sempre come base di partenza per giungere alla mia soluzione traduttiva. Ho selezionato qui di seguito alcune delle espressioni idiomatiche su cui ho lavorato per darti degli esempi.
(Prendre/Donner) la clé des champs: quest’espressione risale al sedicesimo secolo e, con una metafora, indica la chiave della porta per uscire nei campi e abbandonare il luogo chiuso all’interno del quale ci si trovava. Nel Cinquecento il sostantivo plurale “les champs” indicava, in generale, uno spazio libero quindi, metaforicamente, la libertà. Per questi motivi, ho deciso di tradurre con “chiave d’accesso alla libertà” ricorrendo all’esplicitazione della metafora.
J’avais eu le clair pressentiment, dès mon plus jeune âge, de ce qu’exprimerait bien plus tard mon cousin, à l’aéroport. Pour l’heure, pas vraiment pressé de mourir sur mon île et cerné par la mer qui me gardait prisionnier de ce radeau immobile, je n’avais qu’une obsession en tête: m’évader. Rome, Florence, Venise ou Parme me faisaient encore rêver, mais l’étranger m’attirait bien davantage. La France, en particulier. Mais manquait la clé des champs: le passeport.
Avevo sentito dentro di me, sin da piccolissimo, ciò che mio cugino avrebbe esternato molti anni dopo all’aeroporto. A quell’epoca, non avendo una gran fretta di morire sulla mia isola ed essendo circondato dal mare che mi teneva prigioniero di quella zattera immobile, avevo soltanto un’ossessione in testa: scappar via. Roma, Firenze, Venezia o Parma mi facevano ancora sognare, ma l’estero mi attirava molto di più. La Francia, in particolare. Mi mancava però la chiave d’accesso alla libertà: il passaporto.
Faire mouche: con un’espressione sinonimica “Atteindre son but” (raggiungere il proprio scopo). L’origine è riconducibile al bersaglio del tiro con l’arco. Infatti, questo è composto da un insieme di cerchi concentrici colorati al cui centro se ne trova uno nero. A una certa distanza dal bersaglio il cerchio nero può essere scambiato per una mosca e se si “centra quella mosca” con la freccia, si dimostra di essere un bravo arciere. Nel contesto del racconto, Lucio Attinelli va a parlare con un prete per farsi rilasciare un certificato utile a ottenere il passaporto per la Francia. Si finge per questo grande devoto di Nostra Signora di Lisieux riuscendo a convincere il prete con la sua strategia (“Ma stratégie avait fait mouche”). Per la traduzione in italiano ho scelto l’espressione “fare centro” che rimanda, a sua volta, al tiro con l’arco e significa “colpire in pieno un bersaglio” e, in senso figurato, “trovare la giusta soluzione; cogliere nel segno”.
Être un dur à cuire: è un’espressione figurata che indica una “personne froide et endurcie, qui ne se laisse désarçonner par rien” (persona fredda e indurita, che nulla riesce a sconvolgere). La sua origine risale al diciannovesimo secolo ed è collegata al mondo della cucina. Il paragone instaurato in quest’espressione è tra una carne difficile da cuocere e una persona con cui è difficile rapportarsi. Tuttavia, esiste anche l’ipotesi secondo cui “dur à cuire” faccia riferimento al cuoio delle divise di soldati e marinai, che è “duro” come la persona difficile da trattare. Nel racconto, Lucio attribuisce questa caratteristica al prete con cui va a parlare nell’episodio citato sopra (ce curé-là était un dur à cuire). Per la traduzione in italiano, ho scelto di perdere entrambi i riferimenti e optare per la locuzione “essere un osso duro” che si riferisce a una “persona o situazione che presenta aspetti difficili da risolvere” o più semplicemente a una “persona decisa, dura”.
Faire son trou: è un’espressione figurata del linguaggio familiare francese che significa “se faire une place dans la société, une situation stable dans la vie” (farsi posto nella società, crearsi una stabilità nella vita). Risale al diciannovesimo secolo ed è legata al mondo animale. In particolare si fa riferimento all’abitudine di alcuni di essi di scavare la propria tana, un rifugio sicuro in cui si è protetti dal resto del mondo. Metaforicamente, l’idea di scavare la propria tana indica anche il percorso di ogni essere umano verso il successo personale. Pertanto “on fait son trou” quando si riesce a ottenere il proprio posto nel mondo. In traduzione, ho deciso di ricorrere all’esplicitazione di quest’espressione con la metafora “farsi spazio nella società”.
Je compris alors qu’il ne servirait à rien de le faire parler. Jamais un emigré ne fait de confidences sur la façon dont il entrevoit son avenir. Généralement on nourrit l’illusion d’avoir découvert le grand secret pour s’en sortir, pour faire son trou, pour gagner sa place au soleil. Celui-là ne faisait pas exception à la règle. Il se taisait, de crainte de révéler sa recette et de se voir un jour devancé.
Compresi quindi che non sarebbe servito a niente farlo parlare. Un emigrato non fa mai confidenze su come intravede il suo futuro. Di solito alimentiamo l’illusione di aver scoperto il grande segreto per cavarsela, per farsi spazio nella società e conquistare il proprio spazio al sole. Neanche lui faceva eccezione alla regola. Se ne stava zitto perché temeva di svelare la sua strategia e vedersi un giorno sorpassato da altri.
Porter l’estocade: è un’espressione che significa “donner un coup décisif pour achever quelqu'un, au propre ou au figuré. Réduire à néant quelqu'un ou quelque chose” (dare un colpo decisivo per far fuori qualcuno in senso proprio o figurato. Annientare qualcuno o qualcosa) e fa riferimento all’ultimo colpo inferto a un toro con la punta di una spada (l’estoc, per l’appunto) durante una corrida. Nel racconto, Attinelli usa questa espressione per caratterizzare il dialogo tra madre e figlio che non si vedevano da tanto tempo. Le domande preoccupate di lei lo incalzano e fanno aumentare il suo disagio per i non detti (Mon malaise allait grandissant. Ma mère devait encore porter l’estocade). Per la resa in italiano, ho scelto di tradurre Il mio disagio cresceva sempre più. Mia madre doveva ancora darmi il colpo di grazia perché, pur non facendo diretto riferimento alla tauromachia, indica il colpo con cui si abbrevia l’agonia del morente in senso figurato o proprio.
Battre son plein: è un’espressione che significa “atteindre son point le plus intense” (raggiungere il punto più intenso). L’origine risale al diciannovesimo secolo e fa riferimento al movimento delle maree nel momento in cui raggiungono il punto più alto e restano stabili prima di cominciare ad abbassarsi. Tuttavia, in senso figurato, quest’espressione indica il raggiungimento del livello più alto di intensità possibile, senza alcun riferimento alle sonorità piene o forti della musica. In Un Sicilien à Paris è una festa che “bat son plein”: non si tratta sicuramente di una festa rumorosa, ma di una festa venuta così bene da essere al punto massimo delle sue possibilità di riuscita. Per questo ho tradotto “la festa era al suo culmine”.
Le parole di ogni lingua permettono ai suoi parlanti di guardare il mondo da un punto di vista singolare. Comprenderlo prima di giudicare genera ricchezza e regala nuove sfumature a chi sa ascoltare. Mi è capitato tante volte di appurare la verità dell’espressione Tutto il mondo è paese quando ho vissuto all’estero o a Trieste e questo mi ha permesso di rivalutare la mia terra d’origine. Il bagaglio culturale di ogni luogo è sicuramente rivestito da parole diverse, ma al suo interno si nascondono molte più somiglianze che differenze perché siamo pur sempre tutti esseri umani.
Tradurre è amare le storie; tradurre è diffonderle in un’altra lingua affinché lettori affini a me le amino.