Ti racconto la mia traduzione - parte 4
Antoine e Consuelo de Saint-Exupéry

Ti racconto la mia traduzione - parte 4

LUCIO CONOSCE CONSUELO DE SAINT-EXUPÉRY [da "Un Siciliano a Parigi - Anamorfosi in sessanta episodi" di Lucio Maria Attinelli]

Quando dopo tanti anni ripenso a quel primo approccio confuso, mi chiedo che cosa avessero potuto dirsi Consuelo de Saint-Exupéry e la sua bella segretaria vedendomi arrivare con quell’aria smarrita e sul chi vive, come spesso ci presentiamo noi siciliani, così soggetti alla paranoia.

Quando il giorno dopo mi recai all’appuntamento, era una stupenda giornata di sole, come sa offrirne di tanto in tanto Parigi. Faceva caldo. Il mio guardaroba non essendosi arricchito dal giorno della cena a casa dell’Ammiraglio de Girodon-Pralong, vittima di un’eccessiva prudenza dovuta alle mie prime esperienze francesi con il clima, ero vestito quasi come d’inverno. La segretaria, che chiamerò Carole – ahimè, lo riconosco, ho dimenticato il suo nome –, molto sorridente, mi fece attraversare un salone abbastanza buio, e fors’anche polveroso, per condurmi in un ufficietto ricolmo di libri, foto e documenti vari. Dietro un tavolo di legno chiaro, Consuelo de Saint-Exupéry mi apparve alle prese con una pila di documenti, probabilmente un manoscritto. Accorgendosi della mia presenza, si alzò, mi sorrise e, mentre mi riconduceva nel salone che avevo appena attraversato, mi disse con aria affabile:

- Così lei è un amico di Cesare…? Devo dirle che mi ha scritto una lunga lettera sul suo conto. Le vuole molto bene, sa?

Come descrivere a parole il fascino e la presenza di Consuelo? Quale immagine potrebbe bastare? Una silhouette raggiante che non sembrava superare la quarantina d’anni, alta, abbronzata, capelli biondi su un tailleur chiaro e attillato, un ovale perfetto da statua greca e dalla bellezza autoritaria, quella donna sicura di sé sprigionava ai miei occhi una sensualità da morire. Avevo poco più di vent’anni. Venendo da un paese in cui si insegna ai bambini ad adorare la Vergine e agli adulti a sacralizzare la donna, non fui soltanto intimidito: mi sentii paralizzato.

- Sì, lo so, le risposi stupidamente, non sapendo che cosa dire.

Avevo le guance infuocate. Temendo che vi leggesse il mio turbamento, girai lo sguardo e mi imbattei in un ritratto di Antoine de Saint-Exupéry. Ero al colmo del disagio! Accolto nell’antro del poeta, fremevo dal desiderio per la sua vedova! Per un istante, ebbi la sensazione, probabilmente erronea, che il mio turbamento fosse condiviso.

In quel salone vecchiotto, dove ogni cosa poggiava su un centrino ricamato, niente sembrava volermi venire in aiuto. Il tempo si era fermato. Parlavamo ancora di Cesare-Augusto Martinez, quando Carole entrò nel salotto per avvertire la signora che le avevano appena telefonato e chiedeva istruzioni. Quindi, eclissandosi con passo felpato, mi rivolse uno sguardo carico d’indifferenza. Lanciandole a mia volta un’occhiata furtiva, ebbi l’impressione che avesse rifatto il trucco e raccolto i capelli biondi in uno chignon a coda di cavallo che le conferiva alquanto altero. Cacciando via dalla mente l’immagine di quell’amazzone e ritornando in me, il mio sguardo si posò ancora su Consuelo. Grazie a un suo involontario movimento di anche, intravidi tutta la lunghezza delle sue gambe, la linea insolente delle cosce e l’emozionante progressione carnale sopra le ginocchia, che lei nascose subito tirando giù la gonna.

Ero tetanizzato.

Snocciolando una serie di banalità, di quelle che si vorrebbe evitare ma che, a volte, si dimostrano di grande aiuto, la conversazione riprese mollemente. Parlavamo della Sicilia, del mio arrivo a Parigi, quando, forse dimenticando che venivo da Palermo e che i nostri due universi erano distanti l’uno dall’altro molti milioni di anni luce, Consuelo mi chiese se Cesare-Augusto mi avesse mai parlato di Oppède.

- Oppède?, chiesi incuriosito. No, non mi pare…

- Oppède, precisò allora lei, è il titolo del libro che ho pubblicato alcuni anni fa presso Brentano’s, a New York, e che poi è stato pubblicato da Gallimard. Tonio, mio marito, al quale avevo inviato alcuni capitoli quando si trovava ancora ad Algeri, con un telegramma pieno di entusiasmo mi aveva promesso di offrirmi la più bella prefazione del mondo. Ma come sa, la vita ha deciso diversamente…

Appollaiato su una vecchia consolle di stile, il pendolo indicava le 19:30. Un’ombra passò davanti la porta del salone. Probabilmente il Conte de la Plagne. Dopo un attimo di disattenzione, Consuelo riprese il filo della conversazione per parlarmi ancora di Oppède, quel villaggetto magico del Vaucluse, nel versante nord del Luberon, dove nel 1940, all’indomani dell’armistizio, si era rifugiata con alcuni amici scrittori, architetti e artisti vari.

- Vivevamo tutti a Oppède le vieux, nella parte antica. I miei amici, poveri e affamati come me, avevano giurato di continuare l’insegnamento della loro arte per permettere ai superstiti di ricostruire il paese quando i tempi della distruzione sarebbero finiti. Così, il giorno in cui, nel 1942, li ho abbandonati per raggiungere Tonio negli Stati Uniti, giurai loro di raccontare la storia del nostro gruppo. Oggi, con questo libro, spero di aver adempiuto la mia promessa. D’altronde, la prossima volta che lei verrà, le parlerò di Thierry Maulnier e di Marcelle Tassencourt. Mi piacerebbe che lei li conoscesse. Marcelle Tassencourt è una regista teatrale, Thierry è un meraviglioso scrittore, appassionato di sport ed editorialista del Figaro.

Il colloquio stava per concludersi. Consuelo si alzò e, alla sua segretaria immediatamente accorsa, chiese con tono affettuoso: “Ma chérie, se hai tempo, vorrei tanto che tu facessi conoscere al nostro amico i concerti di Saint-Eustache… Lo puoi fare...?”

Quindi, girandosi verso di me, mi chiese: - Le piace Bach, vero?

Detto fatto, malgrado una palese mancanza di entusiasmo da parte di Carole, prendemmo appuntamento per il sabato successivo: alle 10:30, al dehors del Deux Magots. “Vedrà”, mi disse, “non può sbagliarsi, è all’angolo del boulevard, proprio di fronte all’Abbazia di Saint-Germain-des-Prés!”

La pantomima durò alcuni secondi: un’eternità. Per un istante ebbi l’impressione che gentilmente, ma abbastanza chiaramente, Consuelo de Saint-Exupéry si stesse sbarazzando di me. Peggio ancora, il mio istinto siciliano mi fece credere che, in silenzio e forse un po’ irritata da un non so che, mi stesse suggerendo di frequentare le giovincelle della mia età. Preso da un improvviso capogiro, sentii la terra mancarmi sotto i piedi. Ansimavo. Il torbido sentimento di felicità che avevo provato alcuni istanti prima, fatto di leggerezza ed eccitazione ad un tempo, era sparito. Forse non avrei mai più rivisto Consuelo.

Al momento di congedarmi, convinto di non avere più nulla da perdere, spacciandolo per “usanza siciliana”, osai darle un bacio sulla guancia.

- La rivedrò presto, mi disse allora con il suo caldo accento salvadoregno.

E, mentre mi avviavo giù per le scale, aggiunse:

- Spero che il concerto a Saint-Eustache le piacerà! Lasciai l’immobile della rue de Barbet de Jouy con il cuore gonfio di una indefinibile tristezza e mi diressi verso Les Invalides sotto una pioggia tanto battente quanto improvvisa: una vera minaccia per le mie belle scarpe italiane.

Cos’era successo? Vittima della mia giovanissima età e dell’indigenza sessuale della Sicilia di allora, in preda a una sorta di delirio, era come se avessi preso una improvvisa cotta e fantasticato sul fascino femminile di Consuelo, il cui aspetto era decisamente più avvenente ancora di quello d’una Evita Perón e con lei, di tutte le altre pericolose creature che non avevo mai toccato. Un’assurdità!

Che sciocchezza! Ecco che avevo perso la testa perché, per la prima volta in vita mia, una donna mi aveva parlato come si parla a un adulto. “Dai!”, mi dicevo sotto la pioggia che infieriva ancora su di me. “Tutto ciò non è una cosa seria! Mi sono lasciato prendere da una follia scandalosa!”

Così, là dove qualche minuto prima vibrava ancora in me un’infinita sensazione di gioia, ora non c’era più che una profonda tristezza. 

Tradurre è amare le storie; tradurre è diffonderle in un’altra lingua affinché lettori affini a me le amino.

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