L'immagine, per chi segue il tennis, è frequente. Sono amici, giocano in doppio scegliendosi, in Davis Cup con la nazionale, sono due bravissimi ragazzi. Sanno cosa è lo sport di vertice e le sue regole scritte e non scritte. L'emozione e soprattutto il riconoscimento che fece Berrettini in finale a Wimbledon anni fa, che fece a gara conclusa ai microfoni del suo avversario, mi emoziona ancor oggi. Il tennis da tempo, senza scomodare antiche tradizioni e sue influenze, ha da un bel po' raggiunto un equilibrio basato sul dualismo fra individualità, e rispetto e riconoscimento dell'avversario. E' tale ad inizio e fine match e poi termina. Le rivalità storiche sono diventate capitoli importanti di un libro sportivo e di vita bellissimo. Anche le personalità più critiche, sopportate benevolmente per lo più, ci sono anche nel tennis. Ci sono sempre state le teste calde, gli ostinati, gli oltranzisti della polemica, i maleducati, gli arroganti etc, Quelli che spaccavano e lanciavano racchette, oggi c'è anche chi se la tira addosso colpevolizzandosi. Ci sono nel tennis come per qualsiasi altra disciplina, ci sono state ma emergevano come eccezioni negative e non regola. In GB poi c'è tutta la tradizione del rugby e del cricket che traina e si riflette con in più l'importanza ed unicità che un torneo come Wimbledon sa diffondere. Anche il doppio nel tennis è di fatto uno sport principalmente individuale, soprattutto sull'erba a causa della velocità del gioco, individuale in una micro squadra. In altri sport di squadra, come il calcio ma non solo, i rapporti sono più complicati e le interazioni numerose essendo un gruppo sociale a carattere agonistico e sportivo. Oggi prevale soprattutto il primo aspetto, esasperato, e meno il secondo. Paradossalmente però, in molti sport di squadra l'egocentrismo dell'individualità, che si riflette e si diffonde nella e dalla società attuale e che si che alimenta anche da questo, è maggiore. Un indizio sta anche nelle radici, come l'esasperato accentramento nei settori giovanili per il risultato, ingaggiando da una parte il talento singolo e dall'altro esasperando i conflitti e la supremazia. E' un paradosso, lo sport individuale insieme ad altri per eccellenza riesce a far convergere il sano agonismo e a far prevalere il rispetto, in altri è il contrario. Purtroppo.
Post di Paolo Sgandurra
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Questo post è veramente da leggere 😊
Ingegnere Nucleare | Project Management Professional | Manager IT | PTR Tennis 10&Under & Performance Instructor
BELLISSIMA (MA…) Non è riferito alle sembianze di Jasmine Paolini (così evitiamo sterili polemiche) ma alla sfera sportiva: bellissima è l'impresa, bellissima la prestazione, bellissima la partita contro Vekic, che ha portato Jas in finale a Wimbledon. I giornali hanno titolato “trionfo della normalità”, scatenando le ire di benpensanti digiuni di tennis. La normalità non si intende tecnica (i primi 100-150 giocatori del mondo sono tutti fenomeni) ma morfologica, di una ragazza di 160 cm, non una valchiria come Sabalenka o Ribakina, che servono a 200 km/h da più di 1 mt e 80 di altezza. Conosco e frequento un po' il tennis giovanile e a volte sento genitori consolare le loro figlie con commenti tipo “eh, quella lì era almeno 1 mt e 75…” “la tua avversaria non ce li ha mica 12 anni, avrà falsificato i documenti…”, con effetti devastanti sull'autostima delle ragazze, che la prossima volta partiranno già battute quando vedranno che l'avversaria è più grossa. Nel tennis non devi fare a cazzotti con l'avversario. La giocatrice alta avrà più potenza, quella piccolina più agilità e copertura del campo. La normalità morfologica rende Paolini un modello più ispiratore di Sinner, da sempre predestinato, perché arriva al top a 28 anni con un plan-do-check-act di lunga scadenza, migliorando ogni anno un pezzetto. Ma… Il “ma” riguarda la finale, persa poi di misura contro Krejcikova. Trascurate commenti inutili del tipo “brava lo stesso” o “non poteva fare di più”. Sbagliato. Fare di più si poteva e Paolini lo sa. Il tennis su erba non è per attendisti. Dopo il 1° set perso di netto, Jas rovescia il match cambiando atteggiamento, spingendo, prendendo dei rischi. Poi sul 3-3 del 3° set e servizio si tira 1 metro indietro, alza le traiettorie, cerca di sbagliare meno. Comprensibile. Sta pensando all’occasione, forse unica, che ha e si irrigidisce quel che basta per accorciare braccio e colpi. L’altra ne approfitta, assume l’iniziativa e le strappa il servizio, vincendo poi l'ultimo game dove, nonostante il "braccino corto", tiene sempre l'iniziativa. Insomma, Jasmine è stata re-attiva, non pro-attiva. Nel tennis, come nei progetti, devi gestire, non lasciare che il progetto (o il match) gestisca te. Dritta per superare l’esame PMP del PMI: se tra le risposte ad una domanda situazionale ce ne fosse una attendista, tipo “vedere cosa accade…” oppure “aspettare che pinco pallo decida...” eliminatela e concentratevi sulle altre. Il bravo PM si "attiva prima", prende decisioni, se non ha informazioni si attiva per reperirle e segnala la situazione agli stakeholder. Anche il tennista deve “attivarsi prima”, altrimenti lo fa l’avversario che decide come dovrà andare il punto successivo. Porca miseria Jasmine, grazie per averci ricordato l’atteggiamento giusto da avere in un progetto ma alla prossima finale slam non aspettare che l’avversaria ti dia quello che ti serve: vattelo a prendere da sola ;-) #marcocaressa #projectmanagement #progettualitalia
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BELLISSIMA (MA…) Non è riferito alle sembianze di Jasmine Paolini (così evitiamo sterili polemiche) ma alla sfera sportiva: bellissima è l'impresa, bellissima la prestazione, bellissima la partita contro Vekic, che ha portato Jas in finale a Wimbledon. I giornali hanno titolato “trionfo della normalità”, scatenando le ire di benpensanti digiuni di tennis. La normalità non si intende tecnica (i primi 100-150 giocatori del mondo sono tutti fenomeni) ma morfologica, di una ragazza di 160 cm, non una valchiria come Sabalenka o Ribakina, che servono a 200 km/h da più di 1 mt e 80 di altezza. Conosco e frequento un po' il tennis giovanile e a volte sento genitori consolare le loro figlie con commenti tipo “eh, quella lì era almeno 1 mt e 75…” “la tua avversaria non ce li ha mica 12 anni, avrà falsificato i documenti…”, con effetti devastanti sull'autostima delle ragazze, che la prossima volta partiranno già battute quando vedranno che l'avversaria è più grossa. Nel tennis non devi fare a cazzotti con l'avversario. La giocatrice alta avrà più potenza, quella piccolina più agilità e copertura del campo. La normalità morfologica rende Paolini un modello più ispiratore di Sinner, da sempre predestinato, perché arriva al top a 28 anni con un plan-do-check-act di lunga scadenza, migliorando ogni anno un pezzetto. Ma… Il “ma” riguarda la finale, persa poi di misura contro Krejcikova. Trascurate commenti inutili del tipo “brava lo stesso” o “non poteva fare di più”. Sbagliato. Fare di più si poteva e Paolini lo sa. Il tennis su erba non è per attendisti. Dopo il 1° set perso di netto, Jas rovescia il match cambiando atteggiamento, spingendo, prendendo dei rischi. Poi sul 3-3 del 3° set e servizio si tira 1 metro indietro, alza le traiettorie, cerca di sbagliare meno. Comprensibile. Sta pensando all’occasione, forse unica, che ha e si irrigidisce quel che basta per accorciare braccio e colpi. L’altra ne approfitta, assume l’iniziativa e le strappa il servizio, vincendo poi l'ultimo game dove, nonostante il "braccino corto", tiene sempre l'iniziativa. Insomma, Jasmine è stata re-attiva, non pro-attiva. Nel tennis, come nei progetti, devi gestire, non lasciare che il progetto (o il match) gestisca te. Dritta per superare l’esame PMP del PMI: se tra le risposte ad una domanda situazionale ce ne fosse una attendista, tipo “vedere cosa accade…” oppure “aspettare che pinco pallo decida...” eliminatela e concentratevi sulle altre. Il bravo PM si "attiva prima", prende decisioni, se non ha informazioni si attiva per reperirle e segnala la situazione agli stakeholder. Anche il tennista deve “attivarsi prima”, altrimenti lo fa l’avversario che decide come dovrà andare il punto successivo. Porca miseria Jasmine, grazie per averci ricordato l’atteggiamento giusto da avere in un progetto ma alla prossima finale slam non aspettare che l’avversaria ti dia quello che ti serve: vattelo a prendere da sola ;-) #marcocaressa #projectmanagement #progettualitalia
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L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Questo vivere con agio il ruolo di “primi della classe”, non è una caratteristica peculiare di noi italiani. A ben vedere, abbiamo una presidente del Consiglio e una leader dell’opposizione che hanno amato presentarsi come underdog o invisibile, viviamo i nostri più importanti successi e traguardi come una grande sorpresa che facciamo al mondo e tanto per cominciare a noi stessi. Possiamo limitarci a ricordare la stupefacente campagna vaccinale durante il Covid o il colpo di reni per entrare da subito nell’Euro. Il punto è che godiamo nel raccontarci proprio così: quelli dello stellone, della genialità sempre pronta a salvarci sull’orlo del precipizio, la comunità fatta di una somma di individualità. Per chi non segue o non seguiva il Tennis, la dimensione dell’Italia oggi è quella propria degli Stati Uniti d’America al loro meglio, nelle ere segnate da John McEnroe, Andre Agassi e Pete Sampras. Nulla a che vedere con fenomeni che hanno fatto la storia di questo sport, come Federer o Djokovic, mai neppure lontanamente appoggiati da un movimento paragonabile al nostro di oggi. Solo la programmazione e un intelligente utilizzo delle risorse a disposizione può aiutare a capire - al netto del talento - come si possa essere arrivati a questi risultati. Ci sono due realtà che vogliamo porre alla vostra attenzione: si è individuato un asset che potesse fungere da volano per l’intero movimento negli Internazionali di Roma. Questo ha generato un giro d’affari e d’attenzione da ridistribuire non a pioggia - pratica sempre inutile e pericolosa - ma in modo mirato. Eccoci alla seconda realtà: l’individuazione e il sostegno dei più meritevoli. Nello sport è più facile, perché hai bisogno di chi sia in grado di vincere, ma il concetto di fondo ha un’applicazione generale: se vuoi competere ai massimi livelli internazionali, fare selezione non è una mancanza di riguardo per i meno dotati ma un obbligo morale nei confronti di chi può dare di più e sarà chiamato a sopportare le maggiori pressioni. Questo, a cascata, produrrà una maggiore disponibilità economica e di attenzione mediatica nei confronti di un intero movimento o settore. Altro elemento è la demolizione della retorica secondo la quale si è “condannati” a far bene certe cose e meno altre. Nello sport, gli italiani sono i genialoidi che rendono affascinante l’anarchia ma nel tennis oggi siamo più tedeschi dei tedeschi e praticamente gli unici ad avere la fila per entrare nella Nazionale di Coppa Davis. Pensiamo alla nostra industria e alla nostra manifattura: di Sinner ne abbiamo pochi, ma da primi 100 in classifica ancora tanti. Fanno faville le realtà coordinate e gestite con programmazione in stile… tennistico. Vivono alla giornata o perdono il treno dell’internazionalizzazione quelle affette da un individualismo soffocante. La Ragione
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L’Italia ha vinto la terza Coppa Davis facendo la cosa più complicata per chi conosce il mondo dello sport: trionfare da favoriti. Questo vivere con agio il ruolo di “primi della classe”, non è una caratteristica peculiare di noi italiani. A ben vedere, abbiamo una presidente del Consiglio e una leader dell’opposizione che hanno amato presentarsi come underdog o invisibile, viviamo i nostri più importanti successi e traguardi come una grande sorpresa che facciamo al mondo e tanto per cominciare a noi stessi. Possiamo limitarci a ricordare la stupefacente campagna vaccinale durante il Covid o il colpo di reni per entrare da subito nell’Euro. Il punto è che godiamo nel raccontarci proprio così: quelli dello stellone, della genialità sempre pronta a salvarci sull’orlo del precipizio, la comunità fatta di una somma di individualità. Per chi non segue o non seguiva il Tennis, la dimensione dell’Italia oggi è quella propria degli Stati Uniti d’America al loro meglio, nelle ere segnate da John McEnroe, Andre Agassi e Pete Sampras. Nulla a che vedere con fenomeni che hanno fatto la storia di questo sport, come Federer o Djokovic, mai neppure lontanamente appoggiati da un movimento paragonabile al nostro di oggi. Solo la programmazione e un intelligente utilizzo delle risorse a disposizione può aiutare a capire - al netto del talento - come si possa essere arrivati a questi risultati. Ci sono due realtà che vogliamo porre alla vostra attenzione: si è individuato un asset che potesse fungere da volano per l’intero movimento negli Internazionali di Roma. Questo ha generato un giro d’affari e d’attenzione da ridistribuire non a pioggia - pratica sempre inutile e pericolosa - ma in modo mirato. Eccoci alla seconda realtà: l’individuazione e il sostegno dei più meritevoli. Nello sport è più facile, perché hai bisogno di chi sia in grado di vincere, ma il concetto di fondo ha un’applicazione generale: se vuoi competere ai massimi livelli internazionali, fare selezione non è una mancanza di riguardo per i meno dotati ma un obbligo morale nei confronti di chi può dare di più e sarà chiamato a sopportare le maggiori pressioni. Questo, a cascata, produrrà una maggiore disponibilità economica e di attenzione mediatica nei confronti di un intero movimento o settore. Altro elemento è la demolizione della retorica secondo la quale si è “condannati” a far bene certe cose e meno altre. Nello sport, gli italiani sono i genialoidi che rendono affascinante l’anarchia ma nel tennis oggi siamo più tedeschi dei tedeschi e praticamente gli unici ad avere la fila per entrare nella Nazionale di Coppa Davis. Pensiamo alla nostra industria e alla nostra manifattura: di Sinner ne abbiamo pochi, ma da primi 100 in classifica ancora tanti. Fanno faville le realtà coordinate e gestite con programmazione in stile… tennistico. Vivono alla giornata o perdono il treno dell’internazionalizzazione quelle affette da un individualismo soffocante. di Fulvio Giuliani
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Lo sport vissuto con testa e cuore è sempre l'insegnamento più bello.
Quanto ne avevamo bisogno di una serata come quella di ieri! Quanto avevamo bisogno di due atleti capaci di interpretare il proprio lavoro come qualcosa da regalare innanzitutto a se stessi, ma senza mai perdere di vista le emozioni degli altri. Quanto avevamo bisogno di due fenomeni della racchetta capaci di fare la differenza soprattutto con la testa e con il cuore. Era stato sin troppo facile, dopo l’imbarazzante debacle della Nazionale azzurra agli europei di calcio contro la Svizzera, richiamare lo standing psicologico di un campione come Jannik Sinner. Sottolineare l’abisso fra chi non è disposto a cedere neppure un centimetro e chi non ha neppure cominciato a giocare. In campo, ieri sera sul centrale del torneo di tennis più prestigioso della storia, tutto questo è stato ulteriormente esaltato da un altro azzurro. Un ragazzone che ha toccato l’Olimpo ed è poi finito in un buco nero di infortuni e mille paure che solo chi ha provato “lo sport del diavolo” può anche solo immaginare. Contro il più forte, nella partita in cui potevi finire stritolato e spazzato via, Matteo Berrettini ci ha magnificamente ricordato perché una manciata di mesi fa era stato lui a fare impazzire l’Italia, un attimo prima che il fisico lo tradisse e si accendesse la stella-Sinner. Ha perso, ma sa che il tennis restituisce a chi merita. Come sempre lo sport, inflessibile con chi non ha i numeri morali per reggere il confronto e lasciare un segno di sé. Ieri sera siamo stati orgogliosi di Jannik e Matteo (come prima di loro di un favoloso Fabio Fognini, biondo platinato a 37 anni per fare ancora show) e questa mattina lo siamo ancora di più, pensando a quanto il mondo sia rimasto a bocca aperta a vedere uno degli incontri di secondo turno più belli che si ricordino a Wimbledon. E se qualcuno insiste a fare quello con la puzza sotto il naso, pazienza. È quel qualcuno a non capire quale fortuna ci sia capitata a vivere una serata così. Problemi suoi. La Ragione
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Quanto è complicato rendere visibile e distinguibile una pallina da tennis che può viaggiare fino a 200 Km/h ? Se aggiungiamo poi le riprese ad alta definizione che vengono effettuate pe competizioni internazionali le sfide aumentano. Di seguito andiamo ad analizzare solo alcuni degli svariati aspetti progettuali che contraddistinguono la progettazione illuminotecnica di questo sport così affascinante
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#JannikSinner dimostra che la vera forza di un campione emerge nelle difficoltà. Dopo mesi difficili, il 1° italiano a vincere lo #USOpen ha mostrato una stabilità mentale straordinaria. Con miglioramenti notevoli nel gioco e una condizione fisica sempre migliore, #Sinner è pronto a lasciare il segno nella storia del #tennis. Senza tempo per vacanze, il suo focus è solo sul lavoro e sul miglioramento continuo. I dettagli nell’articolo di Riccardo Bisti su #ultimabozza ⬇
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[Non è un post che tratta di calcio, perché forse è molto di più] Sono nata e cresciuta con l’idea che il calcio fosse roba da maschi, mentre la danza roba da femmine. Non sono appassionata né dell’uno, né dell’atro sport; tuttavia, credo che bollarli di azzurro o rosa sia roba da preistoria. Perché a far così si continuano a precludere strade e opportunità e quindi, hai voglia a parlare di #orientamento, se la scelta non è, per così dire, libera. Ho incontrato nel settimanale internazionale questa notizia, che necessita di un tuffo nel passato. Il mondiale dimenticato. Era il 1971, siamo in Messico, vent’anni prima che cominciassero i campionati mondiali femminili. Le squadre di calcio femminile di Messico, Inghilterra, Argentina, Francia, Italia e Danimarca disputarono un torneo di calcio, che risulta essere uno dei segreti meglio custoditi della storia dello sport. Dall’articolo: “In quel periodo il calcio femminile organizzato era vietato o aveva da poco superato i divieti delle istituzioni sportive. Per esempio, nel 1921 la Football association britannica impediva il calcio femminile nei suoi campi. Il bando è stato cancellato solo alla fine del 1971, mentre in Brasile un divieto simile è sopravvissuto fino al 1979. In realtà la Televisa (gruppo radiotelevisivo privato messicano) non aveva intenzione di promuovere la parità di genere: fu tutta una questione di soldi” E ancora: “ognuna di loro racconta che da bambina credeva di essere l’unica al mondo a voler giocare a calcio. Poi, in Messico, scoprirono di non essere sole” Oggi c’è un documentario “Copa 71” di Rachel Ramsay e James Erskine, prodotto da Serena e Venus Williams insieme ad Alex Morgan, che racconta tutta la storia. Ho cercato molto in rete per trovare informazioni e, in effetti, ci sono notizie sparse qua e là. Ma al di là della storia in sé, vera, romanzata, documentata, esclusa, inabissata, cancellata... qual è il punto sul quale rifletto? Osservo quanta importanza le credenze, le idee rigide, e gli stereotipi di genere, il modello del “si è sempre fatto così” abbiano (e continuino tutt’ora) a limitare il POTENZIALE UMANO, e mi dico che, se la narrazione che usiamo con le Persone non travalica questi concetti, resteremo fermi nelle sabbie mobili, mentre il Mondo va in chissà quale direzione. Perché la Storia sta cambiando e di esempi ne abbiamo, allora, anche se nessuno sembra accorgersene, non per questo non è una Rivoluzione. Fonti➡️ https://lnkd.in/dzcaHc7F | https://lnkd.in/dR7khMcK | https://lnkd.in/dzRifwQV _______ #liberədiessere è l'hashtag che usiamo ogni mercoledì su LinkedIn per diffondere informazione su stereotipi di genere, inclusione, discriminazioni. Le mie compagne e i miei compagni di viaggio nel primo commento ⬇️
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Inarrestabili! Ieri ho seguito l'emozionante finale femminile del doppio di tennis, dove #Errani e #Paolini hanno conquistato un meritatissimo #oro. Il giorno prima, #Musetti ha confermato tutto il suo potenziale, arrivando terzo posto e conquistando il #bronzo. Le avversarie, della Paolini e della Errani, hanno dimostrato di essere molto brave e dopo aver vinto il primo set, ho pensato che fossero nettamente superiori. Desidero evidenziare tre aspetti che, a mio avviso, in particolare nel doppio, sono stati particolarmente significativi per il lieto fine: 1 - Errani è di gran lunga la #tennista con maggiore #esperienza all'interno della #squadra #femminile #italiana. Durante la partita, si è dimostrata una vera #leader, offrendo esempi di #costanza e #perseveranza alla sua compagna più #giovane durante i passaggi decisivi. 2 - Nel tennis, come nella vita, il percorso per raggiungere il successo non sempre è immediato. Bisogna credere nel proprio potenziale e persistere fino alla fine. 3 - La coppia Errani e Paolini rappresentano anche un elemento motivatore e di continuità per l'intero #movimento tennistico italiano: la prima ha 37 anni immagino che presto si dedicherà ad altro, la seconda 28, potrà essere di ispirazione ancora per diversi anni e continuare, col suo esempio, ad infondere fiducia all'intero settore tennistico italiano. Anche se il #percorso può diventare complicato, l'esperienza delle persone più esperte, può contribuire alla crescita del movimento, #sportivo ma anche #lavorativo e portare risultati positivi, proprio come sta accadendo in questo momento in diversi movimenti #sportivi. Tutti abbiamo bisogno di esempi positivi capaci di ispirare e motivare le persone nell'#arte che amano e in cui credono.
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Trovo questo post fuori fuoco e lo prendo solo come stimolo per una riflessione che anche altri post in passato mi hanno sollecitato. Lo trovo fuori fuoco perché qui Paolo Sordelli attribuisce la scarsa visibilità data alla BJK Cup rispetto alla Davis a ragioni di “doppio standardismo”, senza includere nel discorso altri fattori quali ad esempio l’estetica e la qualità del gioco. In alcuni sport, e il tennis è uno di questi, la velocità e fisicità del gioco rendono molto diverse le prestazioni femminili e maschili. Io fatico a guardare partite di tennis femminile, come anche di calcio e basket: trovo tutto più lento e meno intrigante. Allo stesso modo, l’inferiore velocità mi fa apprezzare maggiormente le versioni femminili della pallavolo e del padel, che rispetto alle maschili sono più ricche di recuperi e hanno punti più lunghi e combattuti. La velocità del gioco, per altro, è uno dei fattori (non l'unico) che mi fa appassionare o meno a uno sport o a una competizione. Quindi sì, ho seguito la Davis e non la BJK Cup. E quest’anno mi sono esaltato molto più per Sinner che non per Paolini. Penso che sovrastimare il peso dei doppi standard rispetto ad altri fattori sia rischioso perché porta ad una prospettiva che tende ad auto-alimentarsi. In questo caso, ad esempio, può portare a leggere la maggiore esposizione del tennis maschile solo come specchio di una visione sessista imperante, arrivando magari a pensare che i milioni di Italiani gasati per Sinner siano in sostanza solo degli ottusi maschilisti. C’è tanta gente intelligente, invece. Certo, tutti abbiamo angoli ciechi e cadiamo in mille piccole e grandi discriminazioni, ma fatico veramente a pensare che questo sia il fattore preponderante che mi fa appassionare o meno a uno sport. E io non leggo la stampa, quindi non credo neanche di subire particolare influenze mediatiche. Ciò che mi preme è il consegnare ai miei figli un mondo nel quale poter esprimere liberamente le proprie passioni, senza dover fingere di appassionarsi in modo “equo” al fine di non ricevere critiche o essere tacciati di discriminazione. Per questo, credo che sia importante, in luoghi come LinkedIn, che le questioni vengano trattate nella loro complessità e non ridotte ad un semplice 1+1=2, col rischio di appiattire ogni confronto o dialogo. In ultimo, ho interrogato ChatGPT sulla questione. Alla domanda: "Perché il tennis maschile ha più visibilità di quello femminile?" la nostra amata AI ha introdotto la risposta con un: "La maggiore visibilità del tennis maschile rispetto a quello femminile è influenzata da una combinazione di fattori storici, economici, culturali e mediatici". Combinazione di fattori :-) Detto questo, sono sinceramente aperto a valutare anche l’alternativa, ovvero che io sia talmente intriso di sessismo da non essere in grado di valutarne l’impatto inconsapevole su di me. Ringrazio di cuore chi vorrà farmi riflettere; un po’ meno chi vorrà farmi vergognare.
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Male, molto male per questa vittoria ignorata! Le ragazze italiane hanno fatto la storia. Hanno vinto la Billie Jean King Cup 2024, il massimo trofeo nel tennis femminile per squadre nazionali. Un’impresa straordinaria, il frutto di talento, sacrificio e una grinta che non si ferma davanti a nulla. Ma mentre loro alzavano la coppa, l’Italia sembrava guardare altrove. Pochi articoli, poche prime pagine, poche parole. E poi il silenzio. Una vittoria così, passata sotto traccia, mentre la Coppa Davis maschile viene celebrata a gran voce, con fiumi di inchiostro e applausi che rimbombano. Non fraintendetemi: sono orgoglioso dei nostri ragazzi. Ma mi indigno per questo doppio standard. Perché la vittoria delle donne non è "meno importante", non è "meno bella". È una vittoria punto e basta, che merita lo stesso spazio, la stessa luce, lo stesso rispetto. Le donne vincono, ma a volte vengono trattate come se fosse una nota a margine. Lo sport femminile lotta contro l’indifferenza e ogni successo sembra una battaglia vinta due volte: in campo e contro l’oblio. Ma perché? Non ci sono scuse accettabili. Non nel 2024. È ora di fare di meglio. Di celebrare ogni vittoria per quello che è: un simbolo di talento, lavoro e orgoglio nazionale. Perché se c’è una cosa che lo sport insegna, è che il merito non ha genere. Un applauso, forte e convinto, a queste incredibili atlete. Se i media non vogliono dar loro il palco, glielo daremo noi. #motivation #sport #leadership #diversity
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