Vulvodinia: un fuoco che non passa
Pur essendo una patologia che colpisce tra il 15 e il 18% della popolazione femminile, soprattutto in età fertile, la #Vulvodinia è ancora sottostimata e poco conosciuta, e di conseguenza viene diagnosticata tardivamente non curata per anni.
I principali sintomi con cui si manifesta la vulvodinia, descritta come «un fuoco che non passa», sono bruciore, dolore, irritazione, secchezza, gonfiore, senso di puntura di spillo o di scossa e sofferenza nei rapporti sessuali. «Questi disturbi hanno sfumature differenti», spiega il Dott. Filippo Murina , Ginecologo e Direttore Scientifico AIV - Associazione Italiana Vulvodinia . «In alcuni casi possono essere spontanei, in altri provocati dal toccamento, dallo sfregamento o dalla penetrazione, ma nella maggior parte dei casi sono costanti e persistenti».
All’origine della malattia ci sono diverse cause scatenanti, talvolta associate tra loro, come infezioni batteriche o micotiche vaginali e vescicali, infiammazioni, allergie, fattori ormonali o possibili lesioni del nervo pudendo dovute al parto o traumi. «Alcune Donne, circa il 35%, prima di sviluppare la vulvodinia manifesta infezioni vaginali da candida, altre invece sono soggette ad alterazioni ormonali o a un substrato psico - sessuologico di vulnerabilità e questi eventi scatenanti attivano un circuito negativo di percezione del dolore che si auto mantiene nel tempo», continua l’esperto. Nell’insorgenza della patologia possono essere coinvolti anche aspetti legati ad abitudini quotidiane non corrette, come l’utilizzo di biancheria intima sintetica o di indumenti troppo aderenti, l’impiego di detergenti intimi profumati o di prodotti a uso locale contenenti sostanze irritanti o potenzialmente allergiche.
Per anni la medicina non ha riconosciuto e trattato il dolore vulvare, tanto che per molte donne passavano dai cinque agli otto anni prima di ricevere una #diagnosi, saltando da uno specialista all’altro. Oggi, invece, «con una descrizione dei sintomi, un’accurata anamnesi e un accurato esame clinico è possibile ottenere una diagnosi precisa», continua Murina. «Se si avverte bruciore o dolore nella zona vulvare si valutano aree di ipersensibilità del vestibolo vaginale. In parole semplici, si tocca con l’apice di un cotton fioc l’ingresso della vagina e, se la donna non sente toccare, ma avverte dolore o bruciore, allora c’è #vestibolodinia, la variante più frequente di vulvodinia. Per il futuro la diagnostica potrebbe affinarsi: abbiamo in programma uno studio che sfrutta tecniche legate alla #biologiamolecolare, allo studio del DNA e dei suoi derivati, la cosiddetta metabolomica, per creare un kit che consente di capire se la donna ha quel problema e soprattutto se può essere predisposta a svilupparlo».
L'IMPATTO PSICOLOGICO
La sofferenza può affliggere la donna per un tempo variabile, spesso persistente per mesi, o addirittura anni, che determina un #impattopsicologico importante nello stile di vita, nelle abitudini quotidiane, nelle relazioni di coppia. «Credo che la definizione più appropriata sia “devastante”», precisa il ginecologo. «Questa malattia può condizionare tutto. La donna non può usare un indumento di un certo genere, non può andare in bicicletta, a volte non riesce a stare seduta, non può svolgere determinate attività fisiche, non può fare l’amore quando lo vuole e il tutto si ripercuote sulla famiglia, sulla coppia e sul lavoro. Ovvio, con vari livelli di gravità, ma spesso ha un impatto realmente devastante, correlato anche ad ansia e depressione».
FARMACI CON CAUTELA
Curare la vulvodinia richiede consapevolezza e un percorso anche di mesi, ma in molti casi è possibile. Gli approcci terapeutici a disposizione sono molteplici, personalizzati e calibrati sulla singola paziente, poiché la stessa patologia corrisponde a manifestazioni diverse e quindi servono competenze specifiche in ambito ginecologico, neurologico, psicologico, sessuologico e posturale. «Per quanto riguarda il fattore farmacologico vengono prescritti medicinali che contribuiscono alla riduzione del dolore», spiega Murina. «Non sono risolutori, ma in un protocollo di cura integrato con altri approcci possono essere molto utili. Spesso sono farmaci utilizzati in ambito neurologico per il trattamento del dolore dei nervi (neuropatico), anche se si utilizzano dosi differenti. È fondamentale far comprendere alla donna la corretta indicazione e i potenziali effetti collaterali».
Consigliati da LinkedIn
RIABILITAZIONE E TERAPIE STRUMENTALI
Un ruolo importante nella terapia è quello della riabilitazione della muscolatura pelvica. «I muscoli del #pavimentopelvico di una donna con vulvodinia sono sovente contratti e dolenti», sottolinea Murina. «Grazie all’aiuto di figure specializzate, quali ostetrica e fisioterapista, è possibile mettere in atto una serie di manovre ed esercizi di stretching in grado di rilassare la muscolatura».
Buoni risultati si possono ottenere anche tramite tecniche strumentali quali elettrostimolazione, elettroporazione, radiofrequenza e laser, che agiscono sui meccanismi alterati dalla percezione del dolore vulvare.
«Se l’approccio terapeutico è ben strutturato, nel giro di uno o due mesi le condizioni della paziente cambiano in modo sostanziale, la donna si sente subito meglio e questo consente di affinare o calibrare la terapia nel corso del tempo», afferma l'esperto.
Di vulvodinia si guarisce, step by step. «Una donna che ne soffre ha un sistema che non funziona e deve essere in qualche modo resettato. Sicuramente è più vulnerabile, può anche riammalarsi, ma sa che cos’è e come affrontarla».
Estratto intervista OK Salute e Benessere