Ieri ho gioito per Jannik Sinner nuovo numero uno del mondo nel tennis. Oggi però è accaduto qualcosa che mi ha colpito ancora di più: l'Italia ha semifinalisti al Roland Garros nel singolare maschile e femminile, doppio maschile e femminile. Ci manca solo il doppio misto: mannaggia, dovevamo pensarci prima! A parte gli scherzi, è un risultato pazzesco e le motivazioni non sono assolutamente ovvie. I cinque tennisti italiani hanno ben poco in comune come età, provenienza geografica, scuola tennistica, vita privata. Eppure, nello stesso momento arrivano tutti in semifinale. Io lo chiamo "effetto contagio". Sono convinto che l'eccellenza sia contagiosa, come del resto la mediocrità, ma cerco di pensare in positivo questa sera. Un amico, un collega, una persona con qualche affinità con noi che riesce a raggiungere una qualche eccellenza professionale o anche nella vita privata può ispirare comportamenti positivi e portarci alla crescita personale. Ovviamente se non si hanno complessi di inferiorità, se si sta bene con se stessi. Questo fenomeno può non essere un esplicito "vorrei provare a essere come lui" ma gli esempi fanno molto bene in contesti sociali sani. Magari i successi di Sinner hanno fatto salire l'adrenalina e la voglia di vincere anche negli altri tennisti. Oppure hanno permesso di convincersi che senza la serietà, costanza e coerenza nel lavoro non è possibile raggiungere grandi risultati. Perciò, oltre a gioire per le quattro semifinali, proviamo a prendere spunto da questi cinque campioni per fare "qualcosa di meglio" nella nostra vita professionale o privata, anche piccole cose. Non vinceremo alcun premio ma potremmo riuscire a fare stare meglio noi stessi e le persone intorno a noi. Poi magari qualcuno ci vedrà e gli verrà voglia di fare lo stesso. Proviamo a fare partire questo contagio senza aspettare che qualcun altro lo faccia al posto nostro. #pensieropositivo #esempio #crescitapersonale #eccellenza
Post di Lorenzo Nasini
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Inarrestabili! Ieri ho seguito l'emozionante finale femminile del doppio di tennis, dove #Errani e #Paolini hanno conquistato un meritatissimo #oro. Il giorno prima, #Musetti ha confermato tutto il suo potenziale, arrivando terzo posto e conquistando il #bronzo. Le avversarie, della Paolini e della Errani, hanno dimostrato di essere molto brave e dopo aver vinto il primo set, ho pensato che fossero nettamente superiori. Desidero evidenziare tre aspetti che, a mio avviso, in particolare nel doppio, sono stati particolarmente significativi per il lieto fine: 1 - Errani è di gran lunga la #tennista con maggiore #esperienza all'interno della #squadra #femminile #italiana. Durante la partita, si è dimostrata una vera #leader, offrendo esempi di #costanza e #perseveranza alla sua compagna più #giovane durante i passaggi decisivi. 2 - Nel tennis, come nella vita, il percorso per raggiungere il successo non sempre è immediato. Bisogna credere nel proprio potenziale e persistere fino alla fine. 3 - La coppia Errani e Paolini rappresentano anche un elemento motivatore e di continuità per l'intero #movimento tennistico italiano: la prima ha 37 anni immagino che presto si dedicherà ad altro, la seconda 28, potrà essere di ispirazione ancora per diversi anni e continuare, col suo esempio, ad infondere fiducia all'intero settore tennistico italiano. Anche se il #percorso può diventare complicato, l'esperienza delle persone più esperte, può contribuire alla crescita del movimento, #sportivo ma anche #lavorativo e portare risultati positivi, proprio come sta accadendo in questo momento in diversi movimenti #sportivi. Tutti abbiamo bisogno di esempi positivi capaci di ispirare e motivare le persone nell'#arte che amano e in cui credono.
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Lo sport vissuto con testa e cuore è sempre l'insegnamento più bello.
Quanto ne avevamo bisogno di una serata come quella di ieri! Quanto avevamo bisogno di due atleti capaci di interpretare il proprio lavoro come qualcosa da regalare innanzitutto a se stessi, ma senza mai perdere di vista le emozioni degli altri. Quanto avevamo bisogno di due fenomeni della racchetta capaci di fare la differenza soprattutto con la testa e con il cuore. Era stato sin troppo facile, dopo l’imbarazzante debacle della Nazionale azzurra agli europei di calcio contro la Svizzera, richiamare lo standing psicologico di un campione come Jannik Sinner. Sottolineare l’abisso fra chi non è disposto a cedere neppure un centimetro e chi non ha neppure cominciato a giocare. In campo, ieri sera sul centrale del torneo di tennis più prestigioso della storia, tutto questo è stato ulteriormente esaltato da un altro azzurro. Un ragazzone che ha toccato l’Olimpo ed è poi finito in un buco nero di infortuni e mille paure che solo chi ha provato “lo sport del diavolo” può anche solo immaginare. Contro il più forte, nella partita in cui potevi finire stritolato e spazzato via, Matteo Berrettini ci ha magnificamente ricordato perché una manciata di mesi fa era stato lui a fare impazzire l’Italia, un attimo prima che il fisico lo tradisse e si accendesse la stella-Sinner. Ha perso, ma sa che il tennis restituisce a chi merita. Come sempre lo sport, inflessibile con chi non ha i numeri morali per reggere il confronto e lasciare un segno di sé. Ieri sera siamo stati orgogliosi di Jannik e Matteo (come prima di loro di un favoloso Fabio Fognini, biondo platinato a 37 anni per fare ancora show) e questa mattina lo siamo ancora di più, pensando a quanto il mondo sia rimasto a bocca aperta a vedere uno degli incontri di secondo turno più belli che si ricordino a Wimbledon. E se qualcuno insiste a fare quello con la puzza sotto il naso, pazienza. È quel qualcuno a non capire quale fortuna ci sia capitata a vivere una serata così. Problemi suoi. La Ragione
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Un minimo di analisi sul fenomenale tennis italiano degli ultimi anni - anche alla luce della trionfale settimana di Coppa Davis di Bologna con di fatto la “squadra B” - è estremamente interessante ben oltre l’aspetto strettamente sportivo. Testimonia come, tanto per cominciare, un conto sono i fenomeni assoluti - quelli che nascono una volta ogni trenta o quarant’anni e sono da considerare in qualche misura puri doni della natura - un conto completamente diverso sono i buoni giocatori. Anche i buonissimi, frutto certo di un talento sopra la media, ma soprattutto di un lavoro, di una programmazione, di una scuola che fa la differenza. Tutta la differenza del mondo. Entrando nel dettaglio, Jannik Sinner è il dono del cielo, unito a scelte particolarmente oculate degli allenatori, della scuola dei primi anni e dell’evoluzione da professionista. Poi, ci sono gli altri sei - dicasi sei - giocatori italiani nei primi 50 al mondo, cui aggiungiamo altri due fra la 51ª e la 100ª posizione della classifica Atp. Una cosa mostruosa: un giocatore su sette dei primi 50 è italiano e praticamente uno su 10 dei primi 100. Questo è il frutto esclusivamente di programmazione e capacità di guardare a medio e lungo termine, sfruttando anche la lunghissima onda generata dal fenomeno assoluto dai capelli color carota. E qui si va ben oltre il tennis e lo sport: questa è l’Italia che vorremmo vedere in mille altri settori e che troppe volte non scorgiamo. Un’Italia che non si affida allo stellone, un Paese che fatica, suda, impara dai propri errori, cade, si rialza e riparte. Questo conta molto, ma molto di più dell’occasionale fuoriclasse. In tanti ambiti ne abbiamo, grazie al cielo, perché siamo un grande Paese dalla grandissima tradizione. Non altrettanto spesso dietro il talento puro costruiamo sistemi vincenti. Per egoismo, superficialità, fretta, poca voglia di faticare. Godiamoci il tennis, ma proviamo a imparare qualcosa. La Ragione
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Trovo questo post fuori fuoco e lo prendo solo come stimolo per una riflessione che anche altri post in passato mi hanno sollecitato. Lo trovo fuori fuoco perché qui Paolo Sordelli attribuisce la scarsa visibilità data alla BJK Cup rispetto alla Davis a ragioni di “doppio standardismo”, senza includere nel discorso altri fattori quali ad esempio l’estetica e la qualità del gioco. In alcuni sport, e il tennis è uno di questi, la velocità e fisicità del gioco rendono molto diverse le prestazioni femminili e maschili. Io fatico a guardare partite di tennis femminile, come anche di calcio e basket: trovo tutto più lento e meno intrigante. Allo stesso modo, l’inferiore velocità mi fa apprezzare maggiormente le versioni femminili della pallavolo e del padel, che rispetto alle maschili sono più ricche di recuperi e hanno punti più lunghi e combattuti. La velocità del gioco, per altro, è uno dei fattori (non l'unico) che mi fa appassionare o meno a uno sport o a una competizione. Quindi sì, ho seguito la Davis e non la BJK Cup. E quest’anno mi sono esaltato molto più per Sinner che non per Paolini. Penso che sovrastimare il peso dei doppi standard rispetto ad altri fattori sia rischioso perché porta ad una prospettiva che tende ad auto-alimentarsi. In questo caso, ad esempio, può portare a leggere la maggiore esposizione del tennis maschile solo come specchio di una visione sessista imperante, arrivando magari a pensare che i milioni di Italiani gasati per Sinner siano in sostanza solo degli ottusi maschilisti. C’è tanta gente intelligente, invece. Certo, tutti abbiamo angoli ciechi e cadiamo in mille piccole e grandi discriminazioni, ma fatico veramente a pensare che questo sia il fattore preponderante che mi fa appassionare o meno a uno sport. E io non leggo la stampa, quindi non credo neanche di subire particolare influenze mediatiche. Ciò che mi preme è il consegnare ai miei figli un mondo nel quale poter esprimere liberamente le proprie passioni, senza dover fingere di appassionarsi in modo “equo” al fine di non ricevere critiche o essere tacciati di discriminazione. Per questo, credo che sia importante, in luoghi come LinkedIn, che le questioni vengano trattate nella loro complessità e non ridotte ad un semplice 1+1=2, col rischio di appiattire ogni confronto o dialogo. In ultimo, ho interrogato ChatGPT sulla questione. Alla domanda: "Perché il tennis maschile ha più visibilità di quello femminile?" la nostra amata AI ha introdotto la risposta con un: "La maggiore visibilità del tennis maschile rispetto a quello femminile è influenzata da una combinazione di fattori storici, economici, culturali e mediatici". Combinazione di fattori :-) Detto questo, sono sinceramente aperto a valutare anche l’alternativa, ovvero che io sia talmente intriso di sessismo da non essere in grado di valutarne l’impatto inconsapevole su di me. Ringrazio di cuore chi vorrà farmi riflettere; un po’ meno chi vorrà farmi vergognare.
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Male, molto male per questa vittoria ignorata! Le ragazze italiane hanno fatto la storia. Hanno vinto la Billie Jean King Cup 2024, il massimo trofeo nel tennis femminile per squadre nazionali. Un’impresa straordinaria, il frutto di talento, sacrificio e una grinta che non si ferma davanti a nulla. Ma mentre loro alzavano la coppa, l’Italia sembrava guardare altrove. Pochi articoli, poche prime pagine, poche parole. E poi il silenzio. Una vittoria così, passata sotto traccia, mentre la Coppa Davis maschile viene celebrata a gran voce, con fiumi di inchiostro e applausi che rimbombano. Non fraintendetemi: sono orgoglioso dei nostri ragazzi. Ma mi indigno per questo doppio standard. Perché la vittoria delle donne non è "meno importante", non è "meno bella". È una vittoria punto e basta, che merita lo stesso spazio, la stessa luce, lo stesso rispetto. Le donne vincono, ma a volte vengono trattate come se fosse una nota a margine. Lo sport femminile lotta contro l’indifferenza e ogni successo sembra una battaglia vinta due volte: in campo e contro l’oblio. Ma perché? Non ci sono scuse accettabili. Non nel 2024. È ora di fare di meglio. Di celebrare ogni vittoria per quello che è: un simbolo di talento, lavoro e orgoglio nazionale. Perché se c’è una cosa che lo sport insegna, è che il merito non ha genere. Un applauso, forte e convinto, a queste incredibili atlete. Se i media non vogliono dar loro il palco, glielo daremo noi. #motivation #sport #leadership #diversity
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L'immagine, per chi segue il tennis, è frequente. Sono amici, giocano in doppio scegliendosi, in Davis Cup con la nazionale, sono due bravissimi ragazzi. Sanno cosa è lo sport di vertice e le sue regole scritte e non scritte. L'emozione e soprattutto il riconoscimento che fece Berrettini in finale a Wimbledon anni fa, che fece a gara conclusa ai microfoni del suo avversario, mi emoziona ancor oggi. Il tennis da tempo, senza scomodare antiche tradizioni e sue influenze, ha da un bel po' raggiunto un equilibrio basato sul dualismo fra individualità, e rispetto e riconoscimento dell'avversario. E' tale ad inizio e fine match e poi termina. Le rivalità storiche sono diventate capitoli importanti di un libro sportivo e di vita bellissimo. Anche le personalità più critiche, sopportate benevolmente per lo più, ci sono anche nel tennis. Ci sono sempre state le teste calde, gli ostinati, gli oltranzisti della polemica, i maleducati, gli arroganti etc, Quelli che spaccavano e lanciavano racchette, oggi c'è anche chi se la tira addosso colpevolizzandosi. Ci sono nel tennis come per qualsiasi altra disciplina, ci sono state ma emergevano come eccezioni negative e non regola. In GB poi c'è tutta la tradizione del rugby e del cricket che traina e si riflette con in più l'importanza ed unicità che un torneo come Wimbledon sa diffondere. Anche il doppio nel tennis è di fatto uno sport principalmente individuale, soprattutto sull'erba a causa della velocità del gioco, individuale in una micro squadra. In altri sport di squadra, come il calcio ma non solo, i rapporti sono più complicati e le interazioni numerose essendo un gruppo sociale a carattere agonistico e sportivo. Oggi prevale soprattutto il primo aspetto, esasperato, e meno il secondo. Paradossalmente però, in molti sport di squadra l'egocentrismo dell'individualità, che si riflette e si diffonde nella e dalla società attuale e che si che alimenta anche da questo, è maggiore. Un indizio sta anche nelle radici, come l'esasperato accentramento nei settori giovanili per il risultato, ingaggiando da una parte il talento singolo e dall'altro esasperando i conflitti e la supremazia. E' un paradosso, lo sport individuale insieme ad altri per eccellenza riesce a far convergere il sano agonismo e a far prevalere il rispetto, in altri è il contrario. Purtroppo.
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Siamo al top nella #pallavolo femminile, nel tennis (e non lo eravamo mai stati), primi nel medagliere dell’#atletica agli europei (e non lo eravamo mai stati), nel #motomondiale sia come moto che come piloti, nello #sci (primi nel medagliere olimpico giovanile e non lo eravamo mai stati)..e potrei andare avanti…ma vuoi mettere il gusto di “lamentarsi per una sconfitta” di una squadra di #calcio agli europei (vinti peraltro solo 3 anni fa!)! È vero, abbiamo giocato male, anzi malissimo e non solo nell’ultima partita giocata. È mancata #qualità, #organizzazione, #voglia di #vincere e predisposizione al #Sacrificio (parola che i guru della comunicazione di Team dicono non si dovrebbe mai “usare”…ma non mi trovano d’accordo). Abbiamo #perso, vero, ma tutti i più vincenti hanno perso tantissimo, sbagliato ancora di più e hanno usato la #sconfitta non per #lamentarsi ma per migliorare e hanno “celebrato” le #vittorie, anche quelle di poco valore, perché erano la conferma che il percorso era quello giusto. Ascoltate questi passaggi di Paolo Maldini, Roger Federer, Antetokounmpo tra i tanti altri esempi di grandi sportivi: - https://lnkd.in/dAT2vtey - https://lnkd.in/dE9J35iT (dal minuto 13.00) - https://lnkd.in/dwdtpzVN Facciamo pace con la #sconfitta, non lamentiamocene ma usiamola piuttosto come #lezione per diventare sempre più #resilienti e #vincenti! E sopratutto, facciamo fare sport ai nostri figli, sopratutto sport di squadra e sport che richiedano “#Sacrificio” e avremo dato il nostro contributo allo sviluppo di quelle “soft skills” che saranno utili per diventare ottimi #professionisti in qualsiasi ambito si troveranno ad operare.
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[Non è un post che tratta di calcio, perché forse è molto di più] Sono nata e cresciuta con l’idea che il calcio fosse roba da maschi, mentre la danza roba da femmine. Non sono appassionata né dell’uno, né dell’atro sport; tuttavia, credo che bollarli di azzurro o rosa sia roba da preistoria. Perché a far così si continuano a precludere strade e opportunità e quindi, hai voglia a parlare di #orientamento, se la scelta non è, per così dire, libera. Ho incontrato nel settimanale internazionale questa notizia, che necessita di un tuffo nel passato. Il mondiale dimenticato. Era il 1971, siamo in Messico, vent’anni prima che cominciassero i campionati mondiali femminili. Le squadre di calcio femminile di Messico, Inghilterra, Argentina, Francia, Italia e Danimarca disputarono un torneo di calcio, che risulta essere uno dei segreti meglio custoditi della storia dello sport. Dall’articolo: “In quel periodo il calcio femminile organizzato era vietato o aveva da poco superato i divieti delle istituzioni sportive. Per esempio, nel 1921 la Football association britannica impediva il calcio femminile nei suoi campi. Il bando è stato cancellato solo alla fine del 1971, mentre in Brasile un divieto simile è sopravvissuto fino al 1979. In realtà la Televisa (gruppo radiotelevisivo privato messicano) non aveva intenzione di promuovere la parità di genere: fu tutta una questione di soldi” E ancora: “ognuna di loro racconta che da bambina credeva di essere l’unica al mondo a voler giocare a calcio. Poi, in Messico, scoprirono di non essere sole” Oggi c’è un documentario “Copa 71” di Rachel Ramsay e James Erskine, prodotto da Serena e Venus Williams insieme ad Alex Morgan, che racconta tutta la storia. Ho cercato molto in rete per trovare informazioni e, in effetti, ci sono notizie sparse qua e là. Ma al di là della storia in sé, vera, romanzata, documentata, esclusa, inabissata, cancellata... qual è il punto sul quale rifletto? Osservo quanta importanza le credenze, le idee rigide, e gli stereotipi di genere, il modello del “si è sempre fatto così” abbiano (e continuino tutt’ora) a limitare il POTENZIALE UMANO, e mi dico che, se la narrazione che usiamo con le Persone non travalica questi concetti, resteremo fermi nelle sabbie mobili, mentre il Mondo va in chissà quale direzione. Perché la Storia sta cambiando e di esempi ne abbiamo, allora, anche se nessuno sembra accorgersene, non per questo non è una Rivoluzione. Fonti➡️ https://lnkd.in/dzcaHc7F | https://lnkd.in/dR7khMcK | https://lnkd.in/dzRifwQV _______ #liberədiessere è l'hashtag che usiamo ogni mercoledì su LinkedIn per diffondere informazione su stereotipi di genere, inclusione, discriminazioni. Le mie compagne e i miei compagni di viaggio nel primo commento ⬇️
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Un minimo di analisi sul fenomenale tennis italiano degli ultimi anni - anche alla luce della trionfale settimana di Coppa Davis di Bologna con di fatto la “squadra B” - è estremamente interessante ben oltre l’aspetto strettamente sportivo. Testimonia come, tanto per cominciare, un conto sono i fenomeni assoluti - quelli che nascono una volta ogni trenta o quarant’anni e sono da considerare in qualche misura puri doni della natura - un conto completamente diverso sono i buoni giocatori. Anche i buonissimi, frutto certo di un talento sopra la media, ma soprattutto di un lavoro, di una programmazione, di una scuola che fa la differenza. Tutta la differenza del mondo. Entrando nel dettaglio, Jannik Sinner è il dono del cielo, unito a scelte particolarmente oculate degli allenatori, della scuola dei primi anni e dell’evoluzione da professionista. Poi, ci sono gli altri sei - dicasi sei - giocatori italiani nei primi 50 al mondo, cui aggiungiamo altri due fra la 51ª e la 100ª posizione della classifica Atp. Una cosa mostruosa: un giocatore su sette dei primi 50 è italiano e praticamente uno su 10 dei primi 100. Questo è il frutto esclusivamente di programmazione e capacità di guardare a medio e lungo termine, sfruttando anche la lunghissima onda generata dal fenomeno assoluto dai capelli color carota. E qui si va ben oltre il tennis e lo sport: questa è l’Italia che vorremmo vedere in mille altri settori e che troppe volte non scorgiamo. Un’Italia che non si affida allo stellone, un Paese che fatica, suda, impara dai propri errori, cade, si rialza e riparte. Questo conta molto, ma molto di più dell’occasionale fuoriclasse. In tanti ambiti ne abbiamo, grazie al cielo, perché siamo un grande Paese dalla grandissima tradizione. Non altrettanto spesso dietro il talento puro costruiamo sistemi vincenti. Per egoismo, superficialità, fretta, poca voglia di faticare.Godiamoci il tennis, ma proviamo a imparare qualcosa. di Fulvio Giuliani
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È talmente oltre ogni più rosea e folle aspettativa quello che sta facendo per lo sport italiano Jannik Sinner da provocare quasi una sorta di paradossale assuefazione. Un senso di straniamento. Il rischio - del tutto incredibile, per chiunque conosca anche sommariamente la storia del nostro tennis - di assuefarsi ai successi in sequenza. Anche i più clamorosi, i più impensabili, i più inimmaginabili fino a un anno fa. Sì, un anno, solo un anno per stravolgere la storia non solo del tennis azzurro, ma del nostro sport. Dall’incredibile novembre della Coppa Davis 2023 e da quella pazzesca vittoria su Nole Djokovic in semifinale contro la Serbia, Sinner non si è più fermato. Ha imposto a tutti i suoi avversari uno standard - a cominciare dal fuoriclasse battuto anche ieri a Shanghai - semplicemente inconcepibile. Stracciando ogni record fatto segnare da un tennista azzurro e riscrivendo in una manciata di mesi i limiti e le vette dei più grandi atleti azzurri in assoluto. Non staremo qui a farvi l’elenco delle vittorie di un 2024 da urlo e da perdere il fiato. Vi invitiamo solo a pensare a cosa fosse la storia del tennis italiano 12 mesi fa e cosa sia oggi. Sulle spalle di questo fenomeno. Senza dimenticare le sfortune e quell’ombra che francamente solo qualche svitato nel circuito e chi proprio vuole vedere sempre e comunque la malafede può pensare figlia di una qualche volontà almeno manipolatrice, se non di dolo che proprio non riusciamo a intravedere. La vicenda che ha strappato Sinner alle Olimpiadi, sarà un caso il momento in cui Djokovic è andato a centrare il “suo” 2024. Non sappiamo cosa sarebbe potuto accadere, ormai è storia ed è anche stata una magnifica storia per Nole e tutto il mondo dello sport. Occhi al futuro, sulle ali di un passato così fresco da essere ancora presente. Perché troppo grande per essere valutato fino in fondo. Ci vorrà del tempo e per ora ci godiamo tutto. di Fulvio Giuliani #JannikSinner #Sinner #ShanghaiMasters #Shanghai #Sport
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Spesso mi sento chiedere perché ostenti così tanto le “medagliette” delle mie ultra. “Non sei neanche arrivato sul podio” mi dicono. Ignoro se questi interrogativi siano il frutto di quel paradosso, che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede, della cosiddetta medaglia d’argento. Avete mai fatto caso ai calciatori che perdono le finali? Durante la premiazione la prima cosa che fanno è togliersi la medaglia dal collo. Perché? E gli atleti olimpici delusi e frustrati nonostante il secondo gradino del podio? Capisco che il desiderio innato di primeggiare e l’importanza attribuita alla vittoria possono offuscare la percezione dell’argento ma perché considerare una medaglia d’argento come una sconfitta? Il paradosso delle medaglie d’argento è una sfida da superare, non solo nel mondo dello sport, ma anche nella vita di tutti i giorni. Dobbiamo imparare a riconoscere e valorizzare il successo,indipendentemente dalla sua posizione in classifica. Per questo mi piace mostrare le “medagliette” (spesso di legno o di metalli improponibili) delle mie “non vittorie”. Ogni “medaglia”, ogni “patacca” è una vittoria a se stante, il frutto di allenamenti e sacrifici, insomma: un traguardo degno di celebrazione. Solo allora potremo veramente apprezzare la straordinaria dedizione e il talento necessari per arrivare per primi al traguardo. Sempre se un traguardo alla fine esista veramente. #thismustbeproject #theEnd 🔜 #olimpiadi #parigi2024
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9 mesiMi piace molto “l’eccellenza contagiosa “💪💪 complimenti Lorenzo