Educazione sessuale
La sessualità rimane, di per se stessa, uno dei problemi che agitano di più il nostro sistema sociale. La sessualità, e più in generale l’amore, è la cosa più imbarazzante per l’uomo della modernità così come per quello della contemporaneità. Tanto, che ancor oggi non si fa altro che parlarne e riparlarne, e scriverne e riscriverne, in una affannata ricerca di vie di fuga da un labirinto di cui noi stessi siamo stati abili e solerti costruttori (Bernardi, 1977). Una simile contraddizione appare ancor più evidente quando la questione investe il terreno educativo: nulla è così problematico, infatti, quanto affrontare la sessualità infantile. Un bambino che presenti dei comportamenti sessuali, come ad esempio la masturbazione, ci lascia sgomenti. Il più delle volte l’idea che si tratti di manifestazioni normali che non richiedano nessun intervento e nessuna “educazione” non ci sfiora nemmeno. I più progressisti si affidano agli “esperti”, i più conservatori ricorrono senza incertezze alla repressione. Entrambi, comunque, vogliono fare dell’educazione sessuale. Questo è il minimo comune denominatore, l’esorcismo collettivo con cui ciascuno tenta di opporre una difesa contro l’ansia evocata dal “problema”, questo è lo strumento tecnico che da ogni parte si reclama per controllare l’ancora temutissima sessualità. Se un bambino, afferma Bernardi (1977), impara da solo a leggere e a scrivere tutti se ne compiacciono, ma se impara da solo che cosa è il corpo, il suo sesso, il suo piacere, e quindi anche l’amore, allora tutti ne sono spaventati. Vogliamo insegnarglielo noi, e a modo nostro. Così, abbiamo inventato l’educazione sessuale. Anzi, abbiamo inventato il problema dell’educazione sessuale.
Il sesso per la nostra cultura continua ad essere un’ingiunzione paradossale costruita da una scientia sexualis che ha reso l’uomo una “bestia da confessione”, anziché essere un’esperienza generata da un’effettiva ars erotica (Foucault, 1976). La sessualità, di per se stessa, non presenta alcun problema. Ogni problema che la riguarda deriva dalla sua elaborazione secondaria e dalle tensioni prodotte da una società che cerca costantemente autoprotezione contro la sessualità medesima. Detto in breve è un problema inventato, o meglio, costruito proprio da quelle pratiche discorsive sociali che l’hanno nominata e definita, e che ognuno di noi ha interiorizzato attraverso un processo di socializzazione attuato soprattutto dalle principali agenzie educative: la famiglia e la scuola.
Per educazione si intende comunemente quel complesso di operazioni dirette a fornire a una persona, di solito al bambino o all’adolescente, tutte le informazioni e le norme che lo rendano adatto a vivere secondo i suggerimenti e le esigenze del costume in cui quella persona è inserita. Scopo dell’educazione, dunque, non è quello di far evolvere un individuo verso la propria realizzazione e quindi renderlo felice, ma di far sì che l’individuo si adatti a quel tanto di infelicità che gli viene imposto da un sistema dato e considerato immutabile e indiscutibile (Spring, 1981). Ciò significa che si insegna alla gente, e specialmente ai bambini e ai ragazzi, che le regole codificate nella nostra società vanno bene così come sono e che ci si deve adeguare. Ciò significa ancora che l’eventualità di cambiamenti è tacitamente respinta in quanto pericolosa. Ciò significa che, per quello che concerne il nostro tema, l’individuo deve accettare la normativa vigente in fatto di sessualità e, ovviamente, sottostarvi. Chi si discosta da tale linea conservatrice e di immobilismo è destinato alla disapprovazione, alla censura e alla condanna. L’educazione intesa come spinta a una libera evoluzione della propria identità e a una ricerca critica di comportamenti etici è considerata sospetta, socialmente dannosa e anticulturale.
Il centro intorno al quale gravita ancor oggi l’educazione sessuale continua ad essere la coppia, o meglio la coppia legittimamente unita in matrimonio ed eterosessuale. Un matrimonio regolare e ordinato “naturalmente”, in cui ciascuno dei due contraenti sia ben inserito nel ruolo che gli spetta e dal cui seno sbocci prima o poi il fiore della prole. All’interno di tale cornice è concessa qualche modesta variante, come una maggiore o minore tolleranza per i “devianti”, una più o meno benevola indulgenza per i “peccatori”, l’accettazione di qualche comportamento eterodosso ma non è consentito uscirne e metterne in discussione il fine primario: il matrimonio come fondamento della società e come unico sbocco lecito della sessualità. Tutto ciò vale soprattutto per la donna. Per averne una prova evidente, si provi, per esempio, a dichiararsi pubblicamente come poligami. Quello che si incontra è uno stigma persino peggiore rispetto alla tolleranza che ora è destinata alla dichiarazione pubblica della propria omosessualità o all’affermazione di percepire un’identità di genere non conforme a quella biologica. Il sesso non è una variabile indipendente che si imprime sull’ambiente sociale. Sono invece le situazioni sociali che vengono già predisposte, “arrangiate”, “ordinate” per valorizzare la differenza sessuale che in sé sarebbe poco incisiva. E’ l’organizzazione sociale che “inventa” i setting necessari a far emergere sia le differenze di genere come l’espressione della sessualità: la società predispone situazioni sociali, “scene”, palcoscenici adatti per l’esibizione del genere, così come della sessualità (Goffman, 1977). L’obiettivo finale dell’educazione sessuale, dunque, è la difesa e il consolidamento dell’istituzione codificata dal costume vigente: il matrimonio. L’obiettivo immediato, che riguarda tutti coloro che non si sposeranno mai è il controllo della sessualità, desessualizzando l’individuo. Le vie comunemente scelte sono sia l’informazione biologica, sia l’elencazione di norme, precetti morali e giudizi di liceità. L’importante è fornire un’immagine della sessualità umana non solo tremendamente noiosa, ma anche perfettamente sovrapponibile a quella delle funzioni riproduttive animali e vegetali. Ma, per quanto ci si sforzi, rimane pur sempre al fondo dell’argomento l’eccitante mistero del piacere, perché ognuno di noi sa di non essere un animale o un fiore, sa che alla propria sessualità è inestricabilmente mescolato il piacere. Ed ecco che allora subentra la seconda fase educativa, che consiste nel fornire una grande quantità di consigli e di regole tendente a rinchiudere la sessualità nei confini zoologici della procreazione, oppure la si trasferisce totalmente lontanissimo dalla sfera dell’esperienza, mediante idealizzazioni rosate e sentimentali. Insomma o la sessualità la si biologizza, o si tenta la sua angelicazione. In entrambi i casi la si svuota del suo contenuto umano, che è quello dell’amore- piacere.
L’educazione sessuale dovrebbe a quanto si dice liberarci dall’angoscia di una sessualità frustrata e avvilita, valorizzandone i contenuti positivi, tuttavia, e ciò è paradossale, gli aspetti positivi della sessualità sono ritenuti la sua stabilizzazione istituzionale, la costituzione della famiglia, la fedeltà perpetua, la procreazione e via dicendo. Quasi nessuno ha ben chiarito che la sostanza della sessualità è il desiderio e che il resto è artificioso e sovrastrutturale. Non ci potrà mai essere, allora, liberazione dall’angoscia se non ci sarà la liberazione del desiderio. I confini del discorso sulla sessualità si sono allargati, ma soltanto in una dimensione illusoria. In una società fortemente gerarchica come la nostra, la problematicizzazione repressiva della sessualità risulta estremamente funzionale al consolidamento dell’autorità costituita. L’autorità, infatti, si consolida anche per il fatto di avere, soprattutto in forma religiosa, la possibilità di “liberare” di nuovo gli uomini da una parte del loro senso di colpa, uno sgravio d’altra parte ineluttabilmente connesso a una più forte sottomissione e devozione verso l’autorità. In altre parole, vengono provocati artificialmente negli esseri umani dei sensi di colpa legati alla sessualità e gli si libera da essi a condizione che si sottomettano all’autorità, e quindi alla repressione che l’autorità gli impone e alla propria mortificazione: la morte deve essere accettata per salvarsi. L’educazione all’accettazione della morte introduce nella vita fin dal principio un elemento di capitolazione e di sottomissione (Marcuse, 1967).
Questa, implicitamente o esplicitamente, è la trama sottesa a quella morale sessuale che fornisce all’azione educativa la materia prima per la formulazione di norme e precetti. Una morale il cui fine è solo quella della conservazione, della restaurazione del matrimonio istituzionalizzato, della reciproca proprietà dei coniugi, della fedeltà coatta e dell’autoritarismo intra ed extrafamiliare. Certo è che questa morale sessuale, imbevuta di minacce e di ricatti, non convince. Il sospetto che si tratti di una semplice operazione di potere, di una scelta programmatica volta al dominio della più potente e pericolosa delle energie umane, è un sospetto che non si riesce a considerare privo di fondamento (Foucault, 1976).
L’educazione, in altre parole, genera nell’individuo l’incapacità non solo alla ribellione, ma anche alla critica (Illich, 1971). Così uomini e donne continuano a portare dentro di sé il fardello dei loro sensi di colpa e con essi la devozione all’autorità che questo fardello può, a determinate condizioni, alleviare. I sensi di colpa sotto i quali si è pensato bene di seppellire la sessualità hanno generato ovviamente il rifiuto del corpo. Il corpo umano, che un tempo sembra abbia goduto di un certo rispetto, è diventato qualcosa di ben poco nobile, se non addirittura di spregevole e vergognoso. I piaceri derivanti il corpo sono scesi sempre più in basso nella scala della dignità umana. La ragione di questo strano fenomeno è presto accennata: il godimento ricavato dal corpo distoglie l’individuo dal godimento dei beni inanimati forniti dal commercio, quindi costituisce un intralcio al processo produzione-consumo-profitto, risultando dannoso per la società contemporanea (Inghilleri-Fasola, 2005). In verità, si potrebbe obiettare che forse mai come oggi si è badato tanto alla salute, all’igiene e all’estetica del corpo umano. Tuttavia, si potrebbe rispondere che ci si cura soltanto di alcune qualità del corpo e non del corpo nel suo insieme e che, guarda caso, le componenti fisiche alle quali si dà maggiore importanza sono quelle che consentono direttamente o indirettamente di realizzare dei profitti (Baudrillard, 1974). In sintesi, per le società postmoderne il corpo va coltivato e protetto come uno strumento atto a conquistare prestigio, successo e denaro. Si dimentica così che il corpo è l’uomo (e la donna), o almeno è la dimensione attuale dell’uomo (e della donna), quella in cui gli esseri umani, donne e uomini, vivono le loro particolari soggettività. Si potrebbe controbattere a tutto ciò dicendo che non è vero, che si esagera, che si enfatizza. Si potrebbe dire che in fin dei conti oggi si può godere di una notevole “liberalizzazione del sesso”, persino eccessiva e anche che l’atteggiamento della morale è mutato di molto. Vorremmo che fosse così, ma temiamo proprio di no. Non sono le piccole concessioni formali che cambiano un costume, non è il nuovo Diritto di Famiglia che trasforma i rapporti educativi, non sono le nuove mode in materia di abbigliamento che restituiscono dignità al corpo umano, non è il divorzio che ha risolto il problema dell’istituto matrimoniale mercantilizzato e codificato, non è l’educazione sessuale che riqualificherà la sessualità (Bernardi, 1977), ne la sessuologia che la “riparerà”. Il tema della sessualità se utilizzato come strumento per condurre una riflessione di orizzonte più ampio, sui modi in cui ognuno di noi ha interiorizzato le norme di una società autoritaria, la società postmoderna e quella dell’algoritmo, permette l’affacciarsi di un paradigma divergente che possa prendere in serena considerazione l’incommensurabilità di questi mondi soggettivi, senza colonizzarli. Questa è dunque un’esigenza fondamentale per lo studioso della sessualità così come per il sessuologo, esposto in prima linea a scenari contemporanei pluralizzati, interconnessi, abitati da subculture e stili di vita disomogenei, nutriti da dissoluzioni dell’ordinario e dall’avanzare di nuove forme di espressione della sessualità, tra cui: la sessualità virtuale, il sesso sperimentato come terreno di autoaffermazione identitaria, le riattribuzioni di significato assunte da una sessualità svincolata dalla semplice riproduzione, o ancora le nuove devianze e dipendenze sessuali, la bisessualità praticata tanto quanto l’estromissione della sessualità dalla vita di coppia, oppure la ricerca spasmodica di rapporti sessuali con più partner, i cambiamenti generati a partire dalle minoranze sessuali della comunità GLBT (gay lesbica bisessuale transessuale).