La carenza di medici è un problema organizzativo?
Non è una questione di ricette, di geniali trovate o di modelli da seguire. La mancanza di medici negli ospedali italiani è prima di tutto un problema strutturale, che deve essere gestito con un approccio strategico di lungo periodo, ma anche un'emergenza, per la quale organizzarsi, da affrontare presto e bene.
Ogni giorno numerosi medici lamentano direttamente (o per sentito dire) la mancanza di colleghi o l'eccessivo ricorso a turnazioni straordinarie. E' un fuoco, un sentiment, che ormai si alimenta da solo e che trova facile combustibile nei ritardi dei rinnovi dei CCNL, nella corretta applicazione dei contratti territoriali e aziendali, nella difficoltà della formazione universitaria e delle scuole di specializzazione e nelle complesse relazioni fra Sanità pubblica e privata.
Le questioni strutturali rimangono oggi imbrigliate in un modello che ancora non ha scelto la direzione da intraprendere: se continuare sulla strada della sussidiarietà col servizio pubblico (per dirla alla lombarda); se proseguire con la crescita delle prestazioni a pagamento e la quota libero professionale per l'abbattimento delle liste di attesa; se valorizzare e conteggiare studenti e specializzandi come risorse (e lo sono!); dove trovare le risorse economiche sufficienti a sostenere un modello universalistico e gratuito (seppur con le dovute eccezioni legate ai redditi e ai ticket); se ragionare per CREG (1), patologie e percorsi di cura per i malati cronici. Eccetera, eccetera.
Ma intanto, nell'emergenza quotidiana, la protesta dei camici bianchi è un fuoco che arde: un fuoco che ha sotto molte braci e molta sostanza. Ciascuno ha infatti validi motivi per lamentarsi: chi per i bassi stipendi, chi per gli eccessivi rischi professionali, chi per le poche possibilità formative, spesso sacrificate in funzione di un orario che assorbe il lavoratore oltre l'orario massimo consentito (2); molti per i doppi turni, straordinari non sempre retribuiti, passaggi di consegne non conteggiati e talvolta anche per un atteggiamento "taylorista" dell'amministrazione, che torna a misurare col cronometro i tempi delle prestazioni ... sacrificando così anni di studi e ricerche su performance e qualità nella Sanità. (3, 4)
Occorre cercare le misure in grado di contenere la corsa dei medici verso condizioni puramente mercificanti, la fuga verso l'estero; occorre contrastare l'insoddisfazione sul posto di lavoro e, per quanto possibile, limitare le prestazioni oltre l'orario contrattuale. Ma come?
Una volta calati nella quotidianità, lasciando i massimi sistemi ai nostri "arguti" governanti, dobbiamo riconoscere che la capacità organizzative è una dei fattori determinanti nel ridurre i tempi morti, le operazioni inutili, le ridondanze, così come nell'individuare (senza la sopracitata ottica meccanicista) quei colli di bottiglia e quelle prestazioni che rallentano l'intero sistema. Come in un'autostrada affollata, infatti, basta una strettoia di pochi metri per ridurre la viabilità e far da tappo all'intero percorso.
Ogni singola operazione, a partire dalle più semplici, da quelle manuali, va quindi fin dall'inizio valutata nella sua necessità, calcolando non solo l'impatto sui tempi ma anche le eventuali conseguenze di prevedibili errori umani, che non devono essere trascurati. Spesso le procedure di prenotazione, accettazione, indirizzamento, registrazione, refertazione e trasmissione e conservazione del referto (tutte attività non "fisicamente" sanitarie) prevedono la ripetizione di operazioni che possono essere semplificate, unificate, velocizzate, tramite strumenti, software o procedure più efficienti. Un processo che richiede necessariamente una costruzione bottom-up , coinvolgendo attivamente (e così anche responsabilmente) tutti gli attori del processo, e un coordinamento top-down che coordini e razionalizzi i processi.
Questa serie di operazioni snellirebbe le procedure, ridurrebbe il fabbisogno di personale, ridurrebbe i costi, e non ultimo, migliorerebbe la qualità e la motivazione al lavoro.
Allo stesso tempo sono numerose le iniziative che si potrebbero prendere per migliorare il clima interno, le condizioni di lavoro, al fine di raggiungere quella sorta di "benessere organizzativo" (5) che, da solo, permette di aumentare la produttività (secondo molti studi) di circa 20 punti percentuali. Gli strumenti, dallo smart working al welfare aziendale ci sono, e il loro uso va attentamente bilanciato, in funzione dell'attività svolta, e sostenuto attraverso investimenti tecnologici, formazione e attività motivazionali, consentendo così al lavoratore di dare valore al proprio tempo dentro e fuori dall'azienda.
Ma qualità della presenza significa anche riduzione dell'assenza.
Secondo i dati Aymint il tasso di assenteismo in Italia 5,45% non è particolarmente elevato se confrontato agli altri principali paesi EU (Francia 7%, Portogallo 6,2%, Spagna 6%). Tuttavia esiste una netta separazione fra piccole (1,28%) e medio-grandi imprese (8%) principalmente dovuta, secondo l'indagine (5), dalla qualità del "clima interno", che (sic!) "rappresenta il 55% delle cause di assenza dei dipendenti a livello europeo".
I diversi criteri di misurazione e interpretazione dei dati fra paesi rischiano però di tralasciare elementi quali le assenze da permessi retribuiti e non retribuiti, dai permessi legati alla Legge 104 e dalle assenze "non registrate" che in Italia, come sappiamo bene, abbondano.
I dati vanno letti con prudenza, ma soprattutto l'analisi deve andare oltre ai dati.
Certamente i "furbetti del cartellino" sono un problema, ma domandiamoci anche se le cause del "furbismo" non debbano essere affrontate oggi attraverso la comunicazione, il coinvolgimento dei lavoratori e un cambiamento nella cultura aziendale.
E' necessario innescare un circolo virtuoso dove la partecipazione al miglioramento qualitativo del lavoro sia un fine per ridurre i carichi e gli oneri del lavoro stesso, e dove un individuo, un lavoratore, un medico, si senta parte determinante nel funzionamento dell'organizzazione.
Solo in questo modo affronteremo l'urgenza, traendo dalla crisi nuove opportunità.
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1) Presentazione sistema CREG - Direzione Generale Salute di Regione Lombardia - Bologna 31/3/14
2) In applicazione del Dlgs 66/2003 l'orario di lavoro massimo consentito è di 48 ore settimanali (su una media calcolata, al massimo, nell'arco di 12 mesi). Tale norma, non derogabile, comprende tutta l'attività svolta dal medico, compresa l'eventuale attività lavorativa (libero professionale o extramoenia).
3) Sistema di misurazione e valutazione della performance del Ministero della Salute Allegato al Decreto Ministeriale del 30 dicembre 2010
4) Agenas - Sistema di misurazione e valutazione della performance - Aggiornamento 2019
5) Secondo la definizione di Avallone e Bonaretti il benessere organizzativo è "la capacità di un'organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione". Benessere Organizzativo - Rubbettino Editore 2016
6) Barometro sull’Assenteismo e il Coinvolgimento - Ayming 2017