QUESTI SCRITTI, QUANDO VERRANNO BRUCIATI …
Anselm Kiefer

QUESTI SCRITTI, QUANDO VERRANNO BRUCIATI …

Incontrare Anselm Kiefer, l’artista tedesco che ha “rivestito ” le pareti della Sala  dello Scrutinio di Palazzo Ducale a Venezia, usando come medium il suo furor creativo è stata una piacevole sorpresa. Qui Kiefer si è messo a confronto con i grandi maestri del Quattrocento e del Cinquecento: Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, Tiziano, Veronese e  Tintoretto, ossia con gli autori  della decorazione del  palazzo che celebra i fasti della Repubblica di Venezia. L’artista ha saputo instaurare un dialogo con il presente ed il passato di una  città che è stata crocevia di merci, ma soprattutto di idee nelle trame di relazioni fra Occidente ed Oriente. Nello spazio un tempo riservato alla elezione dei Dogi, Kiefer è stato invitato dalla Fondazione dei Musei Civici Veneziani ad allestire un’installazione che ha letteralmente modificato le coordinate temporali e spaziali di quel luogo,  per presentarci  una realtà nuova che imbeve la mente del visitatore di immagini che hanno il sapore dell’immenso e dello sconosciuto. Uno spaccato di mondo  che non si può non credere che non possa essere consegnato all’eternità, nonostante il parere avverso di questo potente inventore. Quei segni e quei colori nelle grandi tele, quasi cavati dal buio: dall’amalgama informe e tenebrosa  che   impedisce quasi  di trovare un senso alle cose, possono diventare lettere di un alfabeto che cerca di spiegare i misteri di cui ci interroghiamo. Sono luci dorate che illuminano quella scala solitaria che ci invita quasi a percorrerla fino in alto a toccare il soffitto o ancora più in alto, a tastare l’immaginario ed il possibile. Possono esse diventare bagliori di un incendio che può bruciare le cupole della Basilica di San Marco, dentro il fumo, salvando solo le emozioni vive della nostra anima, cristallizzandole in lapilli: piccoli frammenti solidi  di lava. L’occasione dell’incontro è stata la mostra che si apre oggi per il pubblico e che lo sarà fino al 29 ottobre,  e che ieri è stata presentata alla stampa. Le parole contenute nel  diario dell’artista e indirizzate alla Direttrice della Fondazione dei Musei Civici di Venezia, Gabriella Belli, ci svelano molte cose di questo uomo che ha una cultura che si arricchisce giornalmente di letture diverse. Il titolo dell’esposizione recita questa frase ed è già un preludio di saggezza filosofica: “Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce”. L’affermazione è del filosofo veneto del Novecento, Andrea Emo. Racconta Kiefer: Quella che a prima vista sembra una trovata spiritosa, è in effetti molto di più: significa che non c’è niente di eterno sotto il sole. Noi non possiamo fare nulla che abbia valenza di eternità. Eterno è soltanto questo sforzo. E quindi non c’è neanche il capolavoro che sopravvive ai millenni. Da artista, vorrei certamente creare l’opera ma, quando comincio sulla tela bianca, so bene che questo è già la sua negazione. Davanti al mio atelier ci sono una serie di container in cui sono riposti i quadri degli anni sessanta, in attesa della loro resurrezione. Come gli scritti di Andrea Emo consegnati al fuoco virtuale, i miei quadri sono soggetti a un processo di effettivo annientamento:li distruggo per davvero oppure li metto all’aperto, li espongo alle diverse condizioni atmosferiche: il caldo torrido, la pioggia, la neve, allora essi diventano particolari, ossia individuali. Entrare nel processo creativo di Kiefer è un viaggio fra saperi diversi. Egli nacque nel 1945 a Donaueschingen, in Germania e studiò diritto e lingue romanze all’Università di Friburgo prima di dedicarsi interamente all’arte. Arte come gioco, come scoperta. Nelle opere in mostra egli si confronta non solo con la storia, ma anche con la geologia. Nel quadro con i continenti si fa strada la teoria della deriva dei continenti di Alfred Wegener. La storia ritorna  nell’opera con le uniformi e in quella con i sommergibili che alludono alla potenza di Venezia sulla terra e sul mare. Quasi come in una visione o in un film di fantascienza i Veneziani possiedono i sottomarini già in quel tempo. Il corpo di San Marco, trafugato secondo la tradizione da Alessandria d’Egitto, ricompare nelle reliquie della bara che vediamo sollevata in alto. Da li il pensiero dell’artista sembra trascinarsi fino a reliquie ancora più significative, come i chiodi della Croce a cui fu inchiodato Gesù. Tutto questo per parlare dell’uomo, dell’essere umano. Siamo giunti all’era umana. Le riflessioni di Kiefer si riallacciano anche al Dio della tradizione ebraica, che fa riferimento al Tzimtzum di Isaac Luria: “in cui Dio si ritrae dando uno spazio libero in cui il mondo possa crearsi da sé”. Aggiunge, nella lettera indirizzata alla direttrice: “Vedrai, il nuovo spazio da me creato è una sovrapposizione di tutte le possibili idee, filosofie provenienti dal Nord, dal Sud, dall’Oriente e dall’Occidente”.  Modernità e poi,  ironia nel quadro con i carrelli della spesa: su ognuno di essi una targhetta di zinco indica che esso appartiene ad  un doge.  Il lavoro dell’artista è da sempre una profonda esplorazione della storia e del mito  accanto a quella della memoria collettiva ed ama esprimersi attraverso la pittura, l’incisione, la fotografia, la scultura e le opere su carta. Catturando un’immagine fotografica di lui accanto alla sua compagna poco fuori della Porta della Carta di Palazzo Ducale si riceve quindi l’impressione di aver colto lo spirito o meglio lo sguardo di un artista che “attraversa” l’arte per scoprire i significati dell’esistenza.

                                                                                 Patrizia Lazzarin


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