L'esperienza (in tempi di Covid) insegna
Dopo circa nove mesi di emergenza Covid-19 riporto di seguito alcune mie considerazioni relative alle modalità con cui la Pubblica Amministrazione ha affrontato la riorganizzazione del lavoro. E' evidente come la necessità del distanziamento sociale ed il dover limitare al minimo lo spostamento delle persone abbia dato una spinta decisiva verso lo smart working. Ma la PA avrà colto questa forza innovatrice o piuttosto avrà messo qualche rapida toppa per porre rimedio ad una sua grande mancanza, quella di non aver mai creduto nel lavoro agile?
Guardando all'esperienza di diversi Enti, infatti, i tanti anni in cui questi avrebbero dovuto adottare soluzioni innovative (si pensi ai Piani Triennali per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione) sono passati senza che le Amministrazioni abbiano reingegnerizzato i procedimenti in ottica collaborativa, smart e dematerializzata.
Paradossalmente, mentre la PA anticipava il settore privato con l'adozione della firma digitale, della fatturazione elettronica, l'Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, gli Sportelli Telematici per la presentazione delle Istanze, le app per gli smartphone, e rinnovava i siti web istituzionali per renderli non più meri elenchi telefonici ma effettive fonti di informazioni per gli stakeholders, il back office ed i sistemi da esso utilizzati restavano monolitici, immutabili, locali, e vincolati alle logiche di funzionamento degli applicativi utilizzati magari da un decennio.
Nonostante la presenza di aziende private ad alto contenuto tecnologico pronte a supportare la PA verso la rivoluzione digitale, nonostante la spinta del Legislatore e dell'Agenzia per l'Innovazione Digitale, gli uffici continuano a lavorare secondo modelli cristallizzati.
Si sa, la tecnologia costa, ma un errore poco presente a chi manovra le leve decisionali è il non considerare il costo originato dall'arretratezza e dalla lentezza operativa, nonché il costo di immagine dovuto al non poter erogare un servizio in una situazione di crisi, costo che per gli utenti si traduce in danno, non potendo usufruire di un servizio a cui hanno diritto.
Quindi, non avendo incentivato lo smart working in tutti questi anni, davanti all'emergenza sanitaria i sistemisti hanno dovuto fare il possibile ed in tempi incredibilmente concentrati per poter rendere operativi i colleghi al loro domicilio, saltando giocoforza a piè pari il paradigma del lavoro agile e realizzando, piuttosto, il vecchio telelavoro. Con tutti i limiti ed i problemi del caso.
Esempi non esaustivi dei limiti dovuti alla trasposizione tout court dell'ufficio all'ambiente domestico sono:
- il collegamento a mezzo VPN del pc domestico verso la rete dell'Ente (in alcuni casi, addirittura, non esiste una VPN ma una NAT dal router che garantisce la connettività al server/client, senza sicurezza perimetrale)
- la necessità di lasciare acceso il pc dell'ufficio per poter attingere ai dati in esso memorizzati
- le difficoltà legate alla telefonia, ovvero il non poter (o potere in parte) rispondere e chiamare dalla propria abitazione con le prerogative dell'ufficio, tipo identificazione del chiamante, rubrica condivisa, raggruppamento in code di interni ecc.
- il non poter disporre dell'intero archivio email a causa dell'utilizzo di account in modalità POP3/SMTP
- problemi legati alla mancanza di licenze per l'accesso remoto ai server basati su sistemi operativi Microsoft
- il dover scambiare continuamente a mezzo email alcuni documenti su cui devono poter lavorare più persone
Questi problemi, o per voler utilizzare un termine più ottimistico, questi ostacoli, sarebbero stati facilmente superati se nel recente passato le Amministrazioni avessero adottato almeno queste soluzioni, rispettivamente:
- gestionali non on-premise ma distribuiti nel cloud
- divieto di organizzare banche dati/di lavorare su documenti esclusivamente presenti sui client
- soluzioni telefoniche VoIP o ToIP, spostando i costi sulla spesa corrente liberando risorse per gli investimenti
- protocolli IMAP per l'utilizzo della posta elettronica, o meglio soluzioni cloud come le versioni businees di Google, di Microsoft ecc.
- l'utilizzo di soluzioni open source ed il riutilizzo del software realizzato dalla P.A., tra l'altro previsto e suggerito da diversi anni dal Legislatore
- l'adozione di strumenti di collaborazione ormai alla portata di tutti, sia in termini di facilità di utilizzo che di costi, che diversi dipendenti già utilizzano nella privata quotidianità (giusto quale citazione, i soliti prodotti resi disponibili da Google quali il calendario condiviso, il revisioning di documenti, fogli di calcolo, presentazioni ecc.)
Dovrebbe far riflettere il fatto che in questi mesi ci sia stato il boom delle piattaforme di webconference, tipico di un approccio smart ai processi lavorativi, ma non si sia verificato un parallelo sviluppo degli strumenti collaborativi di produttività.
L'auspicio è che quando l'emergenza sarà finita (e che lo sia il prima possibile) la Pubblica Amministrazione prenda atto dei problemi che ha dovuto affrontare e modifichi la sua organizzazione adottando soluzioni smart come mezzi ordinari, senza tornare a quella normalità che in termini tecnologici la condanna all'arretratezza.
Senior Delivery Manager Financial Services Client Lead | Software Development & Delivery @ Quid Informatica | Agile & ITIL Expert
4 anniHai ragione a parlare di cristallizzazione. Non sono più sul settore della PA da diverso tempo, ma mi ricorda la situazione di diversi anni fa.