Che cosa ho capito del vino di oggi.
Consumare vino oggi.
Quando ero piccolo, molte famiglie milanesi - tra cui la mia - organizzavano una spedizione annuale nelle colline dell’Oltrepo’: si fermavano da un produttore (nel mio caso “dal Bisio”), caricavano in macchina due o tre damigiane, tornavano a casa e, nell’intimità della propria cantina, imbottigliavano il vino per tutto l’anno. Ricordo ancora mio nonno e mio papà impegnati a travasare il vino con la cannuccia, mentre io e mio fratello ci occupavamo di togliere le pagine della “guida tv” accartocciate e utilizzate come tappo per non fare entrare la polvere nelle bottiglie vuote stoccate sugli scaffali.
Oggi il consumo di vino è (un po’) differente.
Da allora – parliamo degli anni ’90 – il consumo di vino è un po’ cambiato. Oggi possiamo dividere i consumatori in due famiglie: chi beve tutti i giorni, ma ha abbandonato le damigiane a favore delle offerte del supermercato, e chi beve meno, ma vuole bere meglio (con tutto che il Bisio nel frattempo è diventato un ottimo produttore biologico).
Chi vuole bere meno e meglio, “vive” il vino più come un’esperienza che come un prodotto: vuole conoscerlo, capirlo e parlarne con gli altri. Solitamente cerca una filosofia da seguire e individua e promuove gruppi di discussione sui social media.
Così, mentre i locali corrono ai ripari ottimizzando la carta dei vini e specializzandosi in prodotti di nicchia per contrastare l’avanzata dell’e-commerce, nascono vari gruppi: da quelli che “il vino è fatto solo con l’uva” a quelli che bevono solo piccoli produttori o grandi marchi, solo bolla francese e via dicendo.
La mia esperienza.
Queste considerazioni, alla luce della mia esperienza in EnoMI arricchita dal mio lavoro nel mondo della comunicazione, mi portano a trarre alcune conclusioni sulle caratteristiche che deve avere un vino per fare colpo oggi, a Milano, secondo il mio punto di vista (che non deve per forza essere condiviso da tutti, sia chiaro).
Le due caratteristiche del vino che accontentano il consumatore.
1) Pulizia. I vini ruffiani, quelli che cercano di piacere a tutti, stanno lasciando spazio a vini più caratterizzati da vitigno e territorio ma bisogna comunque stare attenti ai difetti. In realtà va bene tutto: tradizionale, bio, naturale, in anfora... Insomma, quello che si vuole, ma a una condizione: il vino deve farsi bere e piacere ad un pubblico ampio (e non perché omologato). Se poi non ti ferma al primo bicchiere è anche meglio.
2) La storia. Pensiamo al cibo: visto che mangiare è sempre più un’esperienza, sono sempre di più le persone che si interessano alla storia, alle origini e ai vari aspetti di un alimento. Lo stesso vale per il vino.
Un esempio:
“Assaggia questo vino, è molto buono.”
“Assaggia questo vino: nasce da un piccolo appezzamento impervio, si nutre di roccia vulcanica e per questo motivo lo sentirai sapido. Pensa che la famiglia che lo produce possiede questa piccola vigna da 600 anni e segue da sempre i principi della coltivazione biologica per preservare le caratteristiche del terreno, perché un giorno, proprio questo terreno, sarà la fonte di sostentamento delle generazioni future che lo erediteranno.”
In base a quanto letto sopra, quale dei due vini assaggeresti? A chi daresti retta, al primo o al secondo consiglio? La risposta è scontata.
Che cosa non deve dimenticare il produttore (dando per scontato che il prodotto sia eccezionale).
1) La presentazione. È l’aspetto più complesso da far comprendere ai produttori, forse perché in tanti fanno una considerazione di questo tipo:
“Se proprio devo spendere, preferisco investire in qualcosa che migliori la qualità del mio vino o diminuisca la fatica che faccio per realizzarlo”.
In Italia abbiamo una grande varietà di vini: siamo il Paese al mondo con più varietà autoctone di uva; probabilmente ci sono più vitigni da noi che in tutti gli altri Paesi messi insieme. E siamo anche bravi a farlo, il vino.
La competizione è altissima: lo scorso anno la sola EnoMI, senza fare scouting, ha ricevuto un centinaio di candidature per entrare in catalogo (e per la gran parte si trattava di vini di qualità).
L’etichetta, la bottiglia, ma anche il sito web o il profilo social del produttore rappresentano quindi un veicolo importante, soprattutto a Milano, perché è un mercato dove tutti vogliono essere, la concorrenza è altissima e anche il consumatore pensa:
“Se devo spendere, preferisco investire in qualità, cercando un’esperienza da vivere e condividere (certo, anche sui social)”.
2) Il sistema. È un problema che non riguarda solo il mondo del vino, ma molti settori dell’impresa italiana: la difficoltà a unire le forze per fare “rete”. È vero, esistono i consorzi a tutela del prodotto e le fiere di settore, però i produttori non fanno sistema verso il consumatore e soprattutto non lo fanno sul web.
Qui però mi fermo. Ho in testa qualche idea che a prima vista sembra molto interessante, ma non ve la racconto subito. Alla prossima!
Quadro presso Banco Bpm
6 anniAndrea, ho letto con piacere il tuo articolo. Hai ragione, il vino non è solo una bevanda in sé, è qualcosa di più e per il nostro Paese rappresenta un asset (passami il termine) importantissimo. Ben vengano quindi le iniziative che valorizzino ancora di più questa risorsa. Attendiamo quindi gli sviluppi della tua idea... Personalmente non sono un grande bevitore, mi piace bere poco ma bene, i miei preferiti sono Ripasso ed Amarone dalla Valpolicella ed il Sagrantino di Montefalco.
Head of Communication & CRM
6 anniIl mio like vale doppio perché sono astemio ;)