Era giusto pubblicare?

Era giusto pubblicare?

Secondo me no, perché...

Forse non dovrei essere così sorpreso: anche qui su LinkedIn diventiamo tutti giuristi, penalisti, Pm, magistrati, avvocati…

Ieri mi sono perso tra i commenti di un post (sì sì, ho commentato anche io) che riguardavano la pubblicazione di un’intercettazione ambientale tra un padre e un figlio indagato.

Le “fazioni” sono due accomunate, credo, dalla unanime condanna di quelle parole che, decontestualizzate, sono il riassunto perfetto dell’aberrante assoluzione del carnefice: non è colpa tua, è stato un attimo etc. etc.

Non sta a me (faccio altro di lavoro) giudicare quelle parole, ma ho anche io un’opinione (da bar?): quelle frasi non dovevano essere divulgate.

Per alcuni motivi

- Viviamo in uno stato di diritto e, piaccia o no, anche gli indagati godono di diritti.

- Viviamo in uno stato di diritto (2) i familiari dell'indagato godono, anche loro di diritti (tipo la riservatezza dei colloqui)

- Il femminicidio è un problema, un grosso problema, e non si può risolvere sbattendo il mostro in prima pagina, men che meno sbattendoci i familiari perché si finisce a scannarsi tra i commenti.

- Con la pubblicazione del mostro in prima pagina, di quelle frasi dette da una persona non colpevole, ma solo connessa all'indagato, si corre il rischio di diventare tutti detentori della verità, ciascuno di noi diventa “giudice finalmente arbitro in terra del bene e del male” [Fabrizio de Andrè - Un giudice]

Tutto questo parlare mi ha fatto venire in mente un passo di Delitto e Castigo

Aveva sognato che tutta la terra cadeva preda d’una tremenda pestilenza, inaudita e incredibile, che proveniva dal profondo dell’Asia e avanzava verso l’Europa.

Erano tutti destinati a morire, tranne pochi, un numero esiguo d’eletti. Erano comparse certe nuove trichine, esseri microscopici che s’insinuavano nel corpo umano. Solo che questi esseri erano spiriti dotati d’intelligenza e di volontà. E le persone in cui s’insediavano diventavano immediatamente come indemoniati e folli.

Mai, mai nessuno si era considerato tanto intelligente e sicuro delle proprie certezze quanto quelli che erano infettati. Mai si erano sentiti tanto sicuri dei propri giudizi, delle proprie conclusioni scientifiche, delle proprie convinzioni morali e religiose.

Interi villaggi, città, nazioni finivano infettati e venivano presi dalla follia. Erano tutti in ansia e nessuno capiva l’altro, ognuno pensava di essere l’unico depositario della verità, e guardando gli altri si disperava, si batteva il petto e piangeva nel più totale sconforto.

Non si sapeva più chi giudicare, e come, non ci si accordava su cosa fosse il male e cosa il bene. Non si sapeva chi incolpare e chi discolpare. E la gente si uccideva con una cattiveria insensata.

Si formavano eserciti che volevano marciare contro altri eserciti, ma già quando erano in marcia cominciavano a dilaniarsi da soli, si rompevano le file e i soldati iniziavano a lanciarsi sui propri compagni, si scannavano, si sgozzavano, si mordevano e si divoravano fra loro.

Nelle città le campane suonavano tutto il giorno a martello: si chiamava tutti a raccolta, ma nessuno sapeva chi fosse stato a chiamare, e a che scopo, e tutti erano in allarme. Venivano abbandonati anche i mestieri più comuni, perché ognuno voleva proporre la sua opinione, la sua soluzione, e non si riusciva a trovare un accordo; si arrestò il lavoro nei campi. In certi posti, qua e là, si formavano capannelli di persone che trovavano un accordo su qualcosa, si promettevano di non separarsi più, ma subito cominciavano a fare qualcosa di completamente diverso, che loro stessi poco prima non avrebbero nemmeno immaginato, cominciavano ad accusarsi l’un l’altro, a picchiarsi, a scannarsi. Iniziarono gli incendi, la fame.

Tutti e tutto veniva distrutto.

[Fëdor Michajlovič Dostoevskij - Delitto e Castigo]

Fabrizio Costanzo

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6 mesi

Credo che dovrò rileggermi il libro...Ho vissuto qualche anno in più dall'ultima volta, e i miei occhi sono diversi.

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